L'ultima tappa del progetto si focalizza su alcune pratiche di 'dislocamento continuo da una sfera ad un'altra, che mantengono sempre fluente la creazione di scambi simbolici e di relazioni contestuali'. In mostra opere di Ra di Martino, Marius Engh, Bjorn Melhus, Olaf Metzel e Thomas Zipp.
A cura di Giacomo Zaza
La mostra Fantasie Fluttuanti nel Torrione Passari di Molfetta (Bari),
promossa dal Comune di Molfetta e dalla Regione Puglia, sostenuta da OCA
(Office for Contemporary Art Norway), si pone come ultima tappa di un
progetto di attenta analisi dell’arte contemporanea.
Il progetto è pensato in quattro tappe, una per anno, dal 2009 al 2012, che
intendono guardare al sincretismo di attitudini che attraversano l’arte
visiva, spinte al di là dei confini estetici e degli standard stilistici.
Le quattro mostre evidenziano la connotazione cangiante delle ricerche
multimediali e “intermediali”, inoltre evidenziano l’impiego della
tecnologia per nuove pratiche al confine con la realtà. Gli artisti
invitati nel 2011 sono stati Gianfranco Baruchello, Olga Chernysheva,
Wolfgang Plöger, Grazia Toderi. Mentre nel 2012 il Torrione Passari ospita
una mostra dedicata alla frontiera delle pratiche fluttuanti con artisti
quali: *Rä di Martino, Marius Engh,Bjørn Melhus, Olaf Metzel, Thomas
Zipp.
Tale progetto focalizza un tipo di *fantasia* che attraversa la “scena”
polifonica del reale e del vissuto, quanto dell’utopico e del sognato, una
fantasia contemporanea che, a detta di Adorno, potrebbe posizionarsi “nel
mezzo” della coscienza e del linguaggio. Questa pratica fluttuante
privilegia il dislocamento continuo da una sfera ad un’altra, mantenendo
sempre fluente la creazione di scambi simbolici e di relazioni contestuali.
La frammentazione e la riproposizione di noti personaggi, argomenti
mediatici e strategie comunicazionali veicolano in *Bjørn Melhus* nuove
interpretazioni e codici visivi. Sulla scia di Nam June Paik e Bruce
Nauman, Melhus si sofferma sui lati assurdi del medium cinematografico e
televisivo. Conosce bene la lezione impartita da Neil Postman secondo la
quale i mass media influiscono sulle nostre forme d'organizzazione sociale,
sui nostri abiti mentali, sulle nostre concezioni politiche. Riflette
intorno agli interrogativi aperti da McLuhan sulle* *conseguenze sociali e
culturali della nuova tecnologia della comunicazione.* *I nuovi media
creano un ambiente e cambiano il modo di pensare e di vivere a beneficio
dello show-business e dell’intrattenimento. L’immaginario fluttuante di
Melhus riserva una sottile ironia e affronta i confini labili della realtà,
tra divertimento, sogno, dramma e consumazione passiva delle informazioni.
Melhus favoleggia motivi tratti dal repertorio cinematografico, utilizza
colonne sonore o voci di celebri star. Attraversa tutti i ruoli, persino il
ruolo di un puffo in *Happy Rebirth*, 2004: una creatura blu simile ad un
folletto augura con voce infantile, su un sottofondo di fischi e voci
stridule, una “felice rinascita”.
L’interesse di Melhus ruota intorno all’identità personale e collettiva,
alla nostra origine - da dove veniamo e dove andiamo - al confine tra sé e
il mondo dei media, al doppio, all’ambivalenza tra maschile e femminile. Il
video *The castle*, 2007, si presenta come un trailer dove si amalgamano
riflessioni a partire dal significato di “dimora” che può assumere il
castello. Una sequenza di parole amplifica la trama di relazioni con
significati e norme etico-culturali.
L’uso di ritagli di giornali ha inizio nel percorso di *Olaf Metzel* verso
la fine degli anni ‘80, ad esempio per le opere *Il balletto della crisi*,
1988, e *Il messaggero*, 1989. Pagine di giornali, dal quotidiano alla
rivista, con argomenti riferiti a cronaca, cultura e politica, vengono
recuperate e scelte per creare delle opere in alluminio che riproducono su
grande scala alcune immagini “accartocciate”. Ritratti, testi o ritagli di
giornale appaiono in rilievo grazie all’impiego di lastre di alluminio
sulle quali sono impressi su entrambi i lati. I due grandi lavori *Gaddafi*e
*Pasolini*, 2011, presentati nel Torrione Passari di Molfetta, sono lastre
deformate, incurvate e piegate, da sembrare degli enormi giornali “da
gettare”. Queste opere riservano allusioni politiche e sociali, misteri
irrisolti (Pasolini) e vite controverse (Gheddafi), dati reali e spunti
immaginari.
Metzel chiama in causa i “media” tradizionali, il loro flusso di immagini e
la loro caducità, il loro bagaglio di argomenti riferito alla vita di
tutti i giorni. Raduna le tracce scritte e i documenti visivi transitori
che passano all’attenzione del lettore e spariscono in fretta per essere
cestinati. Trattiene la “traccia”, quasi per sospenderla prima dell’ultima
lettura e della “perdita” dell’argomento. I contenuti delle opere ci
tengono impegnati più della semplice durata di lettura del giornale: le
pagine corrugate e rattrappite esistono e resistono come rilievi imperanti.
Ed ancora Metzel costringe l’osservatore a riflettere sull’immagine e sulla
sua storia. *Restposten*, 1990, riproduce in cemento lo stemma della DDR
(Deutsche Demokratische Republik – Repubblica Democratica Tedesca), lo
stato socialista della Germania Est esistito dal 1949 al 1990, definito un
“progetto politico operaio”. Qui il martello (simbolo degli operai) e il
compasso (simbolo degli intellettuali) circondati da due spighe (simbolo
dei contadini) si attestano quali reperti di una realtà ideologica
“estinta” ormai obliata.
*Marius Engh* si appropria del mondo circostante, produce dei cloni e
conquista nuovi punti di vista intorno alle “cose” che appartengono al
vissuto. Attraverso la ri-creazione del reale Engh indaga lo spirito e la
storia che gli oggetti portano in se e prova ad allontanarli dal loro
contesto iniziale per esprimere un potenziale inespresso. L’oggetto
quotidiano transitando in nuove circostanze produce un diverso significato,
spostandosi da una valenza storica ad una valenza formale/poetica. Tale
processo spinge al limite l’approccio con la realtà interpretabile e
riconoscibile, arrivando a sperimentare ciò che non è visibile e dicibile.
Marius Engh progetta un nucleo di opere in dialogo con il Torrione Passari
in termini di storia, architettura e uso dello spazio come centro d'arte.
Ad esempio il lavoro *Moon* prende le mosse da una poesia Zen che si chiama
“No Water, No Moon”, in cui si recita: “Non più acqua nel secchio! Non più
luna nell'acqua!”. Un contenitore circolare in alluminio dipinto di nero e
riempito di acqua fino all’orlo, in riferimento alla forma della torre e
all’uso iniziale di cisterna di acqua piovana nel mare. La superficie
d’acqua rifletterà la luce, quella artificiale e forse quella notturna
della luna. Invece l’opera *Napoleon Bonaparte*, una sequenza di cinque
fotografie, fa riferimento alla veduta notturna del Pont de Pierre di
Bordeaux, il primo ponte a collegare la riva destra a quella sinistra del
fiume Garonne. Il ponte è stato voluto da Napoleone nel 1819, lungo 500
metri, articolato su 17 archi che corrispondono al numero delle lettere del
nome Napoleon Bonaparte, simbolo del suo dominio e del suo “impero”. Le
immagini fotografiche mostrano una infrastruttura come segno indelebile del
potere.
*Thomas Zipp* assembla nel suo lavoro differenti elementi - dipinti,
sculture, stampe, disegni, oggetti - per creare un ambiente globale che
integra gli spazi della sede espositiva. L’opera di Zipp è una “oscura
fantasmagoria” nutrita da riferimenti alla storia, alla scienza e alla
religione, alla politica e alla società, all’arte e alla filosofia. Viaggia
su rotte divergenti e antagonismi di senso. Si addentra in ambiti tematici
antitetici: bene e male, verità e menzogna, norma e deviazione, corpo e
mente, ossessione ed estasi, beatitudine e sessualità, esperienze limite.
Operando all’interno di poli opposti, Zipp svolge una sorta di
“esplorazione del sé” che trova il suo massimo risultato a Kassel nel 2010
presso la Kunsthalle Fridericianum trasformata in un ospedale psichiatrico,
“Mens sana in corpore sano” (citazione del poeta latino Giovenale), luogo
ombroso le cui sale diventano “stanze della visione” intrise di concetti
della tradizione filosofica, scientifica, religiosa. Le posizioni
riformatrici di Lutero sono una parte dei concetti emersi nell’opera di
Zipp, per il quale i pensatori come “psiconauti” hanno mutato la condizione
umana e veicolato l’esperienza (auto) riflessiva della conoscenza.
L’opera di Zipp include un eccesso di elaborati ermetici, elementi
dall’aspetto cupo e satirico, collages di testi e immagini, sempre
all’interno di una metamorfosi di significati. L'installazione *Theatre
Technique (cercle: Gisela, Hansi, Irmgard) *pensata per la sala circolare
del Torrione Passari comprende tre sculture antropomorfe, *Gisela, Hansi,
Irmgard*, simili a delle bambole coniche a grandezza umana, combinate a un
lampadario centrale munito di neons e un disegno realizzato per
l’occasione. Le tre figure con base sferica e teste di manichino possono
essere “giocate”: esse oscillano e si muovono come giocattoli emettendo un
suono simile al clic-clac, compongono un insediamento ludico-teatrale a
carattere visionario. Zipp vuole creare uno scenario esoterico e
formalmente “anarchico” rispetto alla finta “lucidità” del mondo
globalizzato. Un ambiente surreale, criptico, grottesco.
L'artista mette sempre in scena una sottile simbiosi tra familiare ed
estraneo, associazione e dissociazione, evocazione e dissacrazione
culturale. Mantiene una figurazione “noir” e una partecipazione gestuale
del fruitore. Una visone dall’inconscio dove lo sguardo raggiunge la scala
umana e resta perturbato.
Per il Torrione Passari *Rä di Martino* presenta un insieme di lavori
fotografici - *No more stars (star wars)*, 2011, e alcuni scatti inediti
del 2012 - realizzati a partire dal sopralluogo su alcuni set
cinematografici abbandonati in varie località della Tunisia e del Marocco:
ad esempio gli insediamenti di Tatooine dell’universo fantascientifico di
Guerre Stellari, rovine nelle dune del deserto.
Rä di Martino esplora l’idea del paesaggio come “controfigura”, ponendo
l’accento sul potere persuasivo delle immagini. Nel deserto del Marocco è
avvenuta una continua “dislocazione visiva” per la quale sono stati
ricreati contesti ambientali e culturali differenti come l’Antico Egitto,
Gerusalemme (nei film Il Gladiatore dell’antica Roma o Gesù di Nazareth),
il New Mexico, il Tibet (Kundum). La percezione di questo territorio segue
una traiettoria di sovrapposizioni visive e mentali, tra la realtà del
paesaggio Nord Africano e il retaggio cinematografico sedimentato nella
memoria collettiva.
All’interno di set abbandonati e rimaneggiati dalle produzioni
Hollywoodiane, le antiche rovine originarie del posto vengono
inglobate/contaminate dal materiale scenico lasciato in loco. Ne deriva una
visione ibrida sempre in trasformazione, incrocio di reale e artificiale.
Significativa appare la veduta della kasbah di Ait Ben Haddou nel sud del
Marocco, importante sito nell’Atlante marocchino che ha ospitato più di
trenta film al suo interno essendo priva di costruzioni moderne. Nei lavori
fotografici il dislocamento visivo permette sottili richiami ad opere sui
generis di Land Art (le finte torrette di avvistamento, le strutture aliene
del set di Mos Espa,..). In accordo con il suo lavoro precedente, da *
Between* a *not360*, l’opera recente di Rä di Martino elabora contesti
apparentemente quotidiani e reali, ma carichi di straniamenti e
spaesamenti, incoerenza e ambiguità, panorami oltre la analogia. L’artista
attraverso un’evidente abilità fotografica mostra il volto surreale del
Marocco solcato dalla presenza di un berbero.
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Inaugurazione: Sabato 29 settembre ore 19:00
Torrione Passari
via S. Orsola, 7 - Molfetta (BA)
Orari di apertura: tutti i giorni ore: 11.00/13.00 – 18.00/20.00