L'artista utilizza pastelli, pastelli grassi, gessetti, acquerelli, acrilici: strumenti 'umili' per una pittura che nega la magniloquenza.
Dell’artista Chietina scrive Tonita Di Nisio
...Finalmente una donna che ha trovato “una stanza tutta per sé”! E’ stata la prima emozione che ho provato, quando Teresa Piras mi ha confidato il progetto di voler allestire una mostra delle sue opere. La seconda è scaturita dalla finalità della mostra: niente in vendita, né quadri, nè sculture. L’intenzione dell’autrice è di raccontarsi, ripercorrendo velocemente tutta la sua produzione artistica. E’ come se Teresa aprisse per noi un brogliaccio segreto, un diario in cui, dai primi anni Settanta ad oggi, ha annotato i percorsi della sua creatività. Non quella che pure conosciamo e che si è espressa a tanti livelli, come nell’insegnamento, ma quella più intima e sconosciuta. Sconosciuta ai più, persino ai figli, se guardando uno dei quadri ora in mostra, possono chiederle: -Ma questo, quando l’hai fatto?-, oppure: -Dove l’hai realizzato? La “stanza tutta per sé” Teresa la portava dentro, come una seconda identità riposta e soprattutto come un bisogno di esprimersi e di ricercare. Riflettiamo sul ricercare: anche l’osservatore più superficiale può cogliere negli elaborati, diversi per tecniche, tematiche e composizioni, un itinerario, che segue un filo rosso di esplorazione delle proprie possibilità e di analisi della coscienza e che, come ogni itinerario, scopre diramazioni del percorso che hanno un inizio ed una fine e talora si chiudono in ring composition. E’ indicativa la persistenza in tutta la produzione di un disco carminio che ricorre in tanti quadri, ora imponendosi come elemento dominante in un cielo ghiacciato, ora occhieggiando sminuzzato sui tetti, nei fiori, sugli alberi, ora lumeggiando scenari paesaggistici e riaffiorando in contesti anti-naturalistici e astratti: è il colore che guida la ricerca o è la forma che la condiziona? E’ la logica del “colore in sé” a prevalere o quella dei simboli cosmici? Teresa dice: “Dal caos tutto ritorna nell’ordine e nell’equilibrio”.
Difatti, la tensione che l’atto creativo comporta non si esprime mai in Lei attraverso una forma tormentata: trova espressione in una forma limpida, armoniosa, fluida. Per Lei si può parlare di una necessità fisica e mentale della creatività: il suo fare artistico si configura proprio come un “fare”, impastando, disegnando, modellando, colorando, tagliando.. .grazie al talento che risiede nelle sue mani. E’ per questo che il suo fare prescinde da teorizzazioni, a monte, di carattere ideologico o finalistico: Teresa ha lavorato per sé, utilizzando, com’è ovvio, un enorme bagaglio di abilità e competenze tecniche, però senza aderire a nessuna scuola o moda. La sua autonomia estetica è stata assoluta, perché ha sentito di poter e dover esprimere, in uno spazio tutto suo, tematiche vissute nella quotidianità, senza tuttavia ignorare i cambiamenti al di fuori di essa. Così la consapevole cultrice di arte (specie le avanguardie del Novecento), la frequentatrice di mostre (Die Brùcke, Boccioni, il Futurismo, Arp. Moore... Munari), l’appassionata studiosa dei fenomeni culturali del passato e attuali, versata in discipline diverse, ha messo da parte condizionamenti e modelli precostituiti espliciti ed ha costruito un suo microcosmo poetico. Significativamente la mostra si intitola “Volo libero”, dal nome di un’opera in esposizione: Teresa ha voluto volare sui territori infiniti dell’espressione possibile con la consapevolezza di essere donna, in un contesto, quello artistico, che pare, nonostante tutto, ancora di appannaggio maschile.
Tutto questo è stata una chance in più: ha potuto mescolare immagini e modi formali diversi, al di fuori di accademie e conventicole di mercato e di moda dell’arte. La scelta di libertà si dichiara subito, a partire dai materiali: fondamentalmente qui vediamo usati carta e argilla. E’ come se Teresa avesse voluto partire dal grado zero dell’espressione artistica, dai materiali più semplici, meno “supponenti”, meno pregiati e, se vogliamo, meno compromessi con il mercato; ha voluto ribadire il “ritorno al mestiere”, se posso rubare una formula a De Chirico. Di qui la predilezione per la carta in tutti i suoi variabili aspetti: carta bianca per disegnare e dipingere, carta a mano, carta colorata per i collage, carta pergamena... L’istinto ha guidato l’autrice a utilizzare una base, che le permetteva la visualizzazione immediata della sua idea. -Così le idee si trasformano in disegni, tempere, collages e successivamente in dipinti.- Se il riferimento ad un archetipo illustre si può fare, è alla mostra di Man Ray “Carte varie e variabili” a Milano nel 1984, ove non erano esposte le opere dadaiste del Maestro: Teresa la visitò e la colpì l’incisività dei disegni grandi, piccoli, anche estrema semplicità.
Capì in quel momento che quello era anche il “suo” lessico, la “sua” grammatica e la “sua” poesia. Come sappiamo. lo ripeto, Teresa non è artista naìf: convinta della possibilità di interscambi, della permeabilità tra settori diversi, ha sperimentato il connubio della carta con la stoffa, della stoffa con la carta, della stoffa con il colore, della carta con la carta, della carta con la lamina metallica. Parimenti il segno è tracciato da matite. pastelli, pastelli grassi, gessetti, acquerelli, acrilici: strumenti “umili”, primari. Sono scelte queste nè semplicistiche, nè dilettantesche: hanno il significato di una rivolta verso lo stile magniloquente. D’altronde, grandi pittori del Novecento, imitando quelli rinascimentali, hanno talvolta preferito la tempera su tavola all’olio sulla tela ed altri hanno dipinto pannelli, abiti e stoffe da usare come tela, o hanno scelto i pennarelli per rappresentare il moderno tramite il moderno. Esemplare di questo Novecentesco melting pot artistico è il pannello di” Ricordi classici” che ha per base una stoffa, dipinta con acrilico, pastelli ed altro: la sovrapposizione dei materiali è la base, coerente con il soggetto, della sovrapposizione dei temi (templi, nudi, disco solare, foglia di quercia): qui significante e significato coincidono. Dalla carta e dal disegno nasce anche la scultura, di cui in mostra abbiamo pochi esemplari: le forme scaturiscono sempre da una ricerca grafica e successivamente, attraverso studi chiaroscurali, nascono forme tridimensionali, che, solo a quel punto, vengono plasmate con l’argilla. Se sono rifiutati aprioristicamente le fusioni in metallo e lo scalpello, un motivo di fondo ci sarà? Dice Teresa: - Plasmare la materia significa fissare in essa una tua idea, qualcosa che senti dentro di te e necessariamente renderla tangibile.- Le sue parole riconfermano, a mio avviso, il carattere femminile dell’atto creativo di un demiurgo-donna che ha bisogno di impastare e modellare per dare prima corpo all’idea di partenza e poi vita, alitandole il suo spirito. - ll blocco informe deve necessariamente diventare oggetto. Per fare questo si scava, si batte, si graffia la materia.- E’ solo così che si creano piani e profondità, dove la luce crea forme geometriche essenziali e concrete. E’ a questo punto che, per dare unicità alla “creatura”, Teresa-Prometeo compie un’operazione sofisticata: attua sull’argilla la patinatura secondo un procedimento degli anni Trenta, che conferisce all’oggetto una preziosità originale.
Quanto alla tematica rappresentata, è proprio questa che più intriga nei suoi significati allusivi e misteriosi. Sorprende e fa riflettere la rappresentazione degli alberi: l’autrice non disegna solo ciò che spunta dal suolo, ma ciò che dà vita alle piante, la terra, che nutre le radici in “Albero con frutti”, “Albero con foglia di quercia” ,“Albero fiorito”, “Paesaggio con alberi”, fino all’ “Albero della vita” del 2001, non a caso dedicato alla figlia; lo stesso può dirsi per “Cactus” e “Cactus fiorito”, che si insinuano nel terreno con il loro apparato radicale. E’ in queste immagini che Teresa esalta un principio “femminile”, quello della Madre Terra che è sempre datrice di vita. Dimostra la fondatezza di questa impressione “Rinascita”, in cui il sinuoso intreccio di bacche e foglie prevale in primo piano e si afferma come vitale rispetto all’algido rigore stilizzato dei rami secchi. In antitesi si potrebbe leggere nel mare un principio “maschile”, confermato dallo splendido “Mare di pietra” che sembra bloccare la navigazione di due battelli alla cui guida si stagliano due ombre maschili. Anche i nudi ci inducono a riconoscere, nell’approccio necessario per qualsiasi disegnatore al tema del corpo, una valenza antiaccademica e personale: non sono figure dal vero. ma allegorie di una sessualità non sensuale. Dalla forte immediatezza espressiva di “Figura dormiente” si passa a schizzare figure che sono sempre più sillhouettes e sempre più sono sfumate e incomplete di particolari (“Lo specchio” e “Figura speculare”); ma, quel che più conta, è che esse sono iscritte in figure geometriche di ascendenza classico-rinascimentale (tondo, mezzaluna, quadrato, archi allungati), eppure non risultano esercitazioni retoriche, perché scopriamo un messaggio nel freddo degli azzurri e dei verdi che colorano gli sfondi o contornano le immagini. “Le tre età” appare un’allucinata astrazione della materia gelata in tre pose diverse. “La luna” inquieta l’osservatore, che si chiede quale sia la relazione tra la figura accasciata e la luna: sono due Assoluti, la Donna e il simbolo astrale che dalla mitologia le è legato indissolubilmente. Ancor più arcano è il messaggio di” Sogno”, in cui la sfera e la donna appaiono estranei l’una all’altra, mentre un velatino rende più impercettibili le nudità...
Immagine: La metà, 2008, terracotta-Patinata, cm. 30x30
Inaugurazione 18 settembre ore 17,30
Mediamuseum
piazza Alessandrini, 34 - Pescara
Orari: mattino 10,30-12,30, pomeriggio 17,00-19,00 aperto tutti i giorni feriali
Ingresso libero