Diario Fotografico. La mostra e' costituita da una sessantina di scatti in bianco e nero: un estratto del repertorio di due fotografi che hanno percorso strade, visitato mondi, incontrato persone, utilizzando uno strumento visivo per scrivere soprattutto pagine di storia italiana e non solo della fotografia.
a cura di Daniela Trunfio
Nuovo appuntamento con la fotografia alla Fondazione
Bottari Lattes di Monforte d'Alba (Via Marconi 16 - Cn). Dopo il confronto
tra Franco Fontana e Arno Minkkinen, è la volta di due tra i più grandi
protagonisti del Fotogiornalismo italiano: Mario Dondero (Milano, 1928),
reporter militante, e Pepi Merisio (Caravaggio ' Bg, 1931), fotografo
antropologo.
Da anni si discute sulla morte vera o presunta del Fotogiornalismo, sul
rapporto tra immagine e informazione e sul ruolo del fotoreporter nell'era
del digitale e dell'evoluzione tecnologica che concede a chiunque la
possibilità di produrre immagini con il cellulare, gli smartphone e altri
supporti informatici. È per riflettere su queste tematiche che la Fondazione
Bottari Lattes ha voluto realizzare, oggi, una mostra che celebra due grandi
personalità del mondo dell’immagine e della fotografia di testimonianza, due
figure che pur nella loro diversità di percorso, rappresentano la forza che
uno scatto ha in sé di raccontare una storia al di là della parola.
La mostra è costituita da una sessantina di scatti in bianco e nero: un
estratto dell'immenso repertorio di due fotografi che hanno percorso strade,
visitato mondi, incontrato persone (dai contadini agli intellettuali),
utilizzando uno strumento visivo per scrivere soprattutto pagine di storia
italiana e non solo della fotografia.
Nella sala al primo piano della Fondazione i preziosi vintage di Pepi
Merisio e al secondo piano una serie dei più noti ritratti di Mario Dondero.
Fra le immagini in esposizione, di rilievo, il ritratto di Paolo VI
(Merisio, 1964) dal servizio Una Giornata con il Papa e la fotografia di
Mario Dondero che ritrae un gruppo di grandi scrittori e che a detta di
Alain Robbe Grillet fu all'origine della nascita del movimento che prese il
nome di Noveau Roman. E poi ancora: la contadina della Valle Cogne che nel
periodo della fienagione, con orgoglio e un pizzico di ironia, trasporta
sulle sue spalle e sul suo capo un enorme cesto di stoffa colmo di fieno
(Merisio, anni Cinquanta), cui fa da contrappunto il contadino di Dondero
ritratto nel 2002 che con sguardo fiero, ma solcato dalle rughe della
fatica, mostra il suo strumento di lavoro.
«Il percorso fotografico di Pepi Merisio e di Mario Dondero – spiega la
curatrice Daniela Trunfio ' ha in comune un periodo storico, gli anni
Cinquanta e Sessanta, e una testata, quella di Epoca, per la quale hanno
lavorato entrambi. Ma i punti di convergenza si esauriscono qui.
Gli inizi di Pepi Merisio affondano nell'amatoriato: la sua frequentazione
del Circolo Fotografico Milanese, alcuni premi poi, nel 1956, la
collaborazione con il Touring Club Italiano e con importanti riviste (dalle
raffinate svizzere Camera e Du a quelle legate al Fotogiornalismo nazionale
come Famiglia Cristiana e internazionale come Stern e Paris Match, fino alla
chiamata di Epoca nel 1963).
Mario Dondero invece scopre la fotografia come prezioso e necessario
supporto alla sua pratica di giornalista di nera a Milano Sera (anni
Cinquanta), per poi iniziare a vendere fotografia al settimanale Le Ore e
abbandonare la scrittura per collaborare alle più importanti testate, tra
cui Il Manifesto, L’Unità, L’Avanti, Illustrazione Italiana, Newsweek e
molte atre.
Le scelte di Pepi Merisio si collocano in un preciso orizzonte: quello della
cultura cattolica fatta di fede, tradizione, conservazione delle abitudini
antiche, un po' spiazzate alla fine degli anni Sessanta dall'avanzare del
nuovo. In quel nuovo invece si immerge totalmente Mario Dondero, nomade
curioso dei cambiamenti, frequentatore del mondo intellettuale, e al quale
la militanza partigiana nella Brigata Cesare Battisti della Val d'Ossola, ha
insegnato che doveva essere antifascista per sempre, e battersi contro gli
oppressori, gli sfruttatori, i criminali.
Il microcosmo di Merisio è la cultura contadina e la tradizione popolare
della nostra terra che costituiscono il corpus fotografico dei 28 volumi
della collana Italia della nostra gente e gli 11 sulle Regioni Italiane, ma
anche tutte le indagini che si soffermano su luoghi, mestieri e ambienti che
Merisio documenta non solo con l'occhio attento del fotogiornalista, ma
anche con quello dell'antropologo che teme la scomparsa di quanto rimane
della civiltà contadina.
Il macrocosmo di Dondero va dal Maggio Francese (si stabilisce a Parigi nel
1952), alla Grecia dei Colonnelli, alla guerre di liberazione in Africa,
alla Berlino pre e post caduta del Muro e poi ancora Russia, Spagna,
Portogallo, Cuba nell'attenta osservazione della fotografia militante.
Micro e macro sono però due risvolti della stessa medaglia: la fotografia
sociale, umanista che sviluppa il suo interesse nei confronti della gente e
del quotidiano, intesi come protagonisti del farsi della Storia.»
«In questo percorso espositivo – prosegue Daniela Trunfio – non ci interessa
tanto ragionare sulle icone che rendono celebri, con il rischio di
penalizzare una vita dedicata alla fotografia. Qui vogliamo esaltare le
personalità di due grandi che hanno utilizzato uno strumento visivo per
scrivere indimenticabili pagine di storia non solo della fotografia.
Per godere appieno della mostra bisogna farsi osservatori attenti dei
dettagli contenuti nei reportage di Merisio, come degli sguardi complici dei
ritratti di Dondero, e considerare come la lentezza, caratteristica
imprescindibile che entrambi hanno nel loro Dna, sia la sola in grado di
trasformare un singolo scatto in un'immagine oltre l'istante, consegnata a
noi contemporanei per riflettere sul futuro. La loro slow photography è
un'attitudine mentale, un modo di essere nella fotografia come nella vita.
Il loro punto di osservazione è ravvicinato e attento, frutto di conoscenza
e frequentazione. La camera è un taccuino prezioso per sé e per gli altri.
Una lezione di grande Fotogiornalismo secondo il quale si fotografa solo ciò
che si conosce.
In una riflessione di Dondero probabilmente sta il compendio di una vita
vissuta per entrambi gli autori nella ricerca della verità, attraverso gli
scatti: “Ho sempre cercato di essere il più semplice e lineare possibile. E
poi non si deve perdere di vista la verità. Mi infastidiscono le costruzioni
artificiose. Malgrado tutto, esiste un’autenticità che il fotografo può
restituire. Ma occorre essere leale, franco, generoso”».
Pepi Merisio, nato a Caravaggio (Bergamo) nel 1931, comincia a fotografare
da autodidatta nel 1947. Progressivamente protagonista del mondo amatoriale
degli anni Cinquanta, è oggi considerato uno dei principali fotografi
italiani.
Ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti tra i quali: New talent of Popular
Photography (New York, 1963), Premio Fermo Reportage Fotografico (Fermo,
1963), Premio Nazionale Fotoreporter Italiani (Milano,1964), Premio
Internazionale Fotogiornalismo (Genova, 1965).
Nel 1956 inizia la collaborazione con il Touring Club Italiano e con
numerose riviste: Camera, Du, Réalité, Photo Maxima, Pirelli, Look, Famiglia
Cristiana, Stern, Paris-Mach. Nel 1962 passa al professionismo e l'anno
seguente entra nello staff di Epoca. Nel 1964 pubblica sulla popolarissima
rivista, il suo grande servizio Una giornata col Papa, avviando così un
lungo lavoro con Paolo VI.
Nel 1972 la Rai gli dedica una puntata della trasmissione Occhio come
mestiere, curato da Piero Berengo Gardin. Nel 1979, per la Polaroid, esegue
un reportage in bianco e nero ora conservato nella Collection Polaroid
International di Boston. Nel 1982 è l'Editoriale Fabbri che lo accoglie
nella collana I grandi fotografi. Nel 1988 è nominato Maestro della
Fotografia Italiana dalla Federazione Italiana Associazioni Fotografiche.
Nel 1989, insieme a Roiter e a Gianni Berengo Gardin, rappresenta l'Italia
nel volume commemorativo dei 75 anni della Leica.
Più di cento i volumi fotografici pubblicati. Per l'Editrice Atlantis e
Zanichelli ha realizzato undici volumi sulle Regioni d'Italia, e otto volumi
per la Bolis sulle Terre Marchigiane. Per il Centro Studi Valle Imagna ha
curato Per le antiche strade (2003), Acqua (2003), Un altro Paese (2005) e
In Valle Imagna (2009). Nel 2008 realizza per il Ministero degli Esteri il
libro Piazze d'Italia. Con Mario Luzi ha pubblicato il volume Mi guarda
Siena (2002).
Nel 2010 la Regione Lombardia ha ospitato la sua retrospettiva Ieri in
Lombardia nella sede del Grattacielo Pirelli a Milano. Nel 2011 una sua opera viene esposta nel padiglione Italia alla Biennale di
Venezia.
Mario Dondero, figura leggendaria del Fotogiornalismo italiano, nasce a
Milano nel 1928 da famiglia di origine genovese. Dopo aver partecipato
giovanissimo alla lotta partigiana in Val d'Ossola, pubblica nel 1951, il
suo primo articolo su Il Lavoro Nuovo di Genova. Collabora successivamente
con l'Unità, Avanti!, Le Ore, Cinema Nuovo, Settimo Giorno, Il Mondo e
Milano Sera. Sono anni, questi, di scambio e amicizia con gli artisti e gli
intellettuali milanesi, in particolare legati al Bar Giamaica, tra cui Ugo
Mulas, Uliano Lucas, ma anche scrittori come Luciano Bianciardi, giornalisti
come Camilla Cederna e artisti come Piero Manzoni.
Si trasferisce a metà anni Cinquanta a Parigi, dove rimarrà, in un clima di
scambio con i principali intellettuali della capitale e di intenso lavoro
per la stampa francese (Le Monde, Le Figaro, Le Nouvel Observateur) fino a
fine anni Novanta (se si esclude una feconda parentesi romana, dove
frequenta personaggi come Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Dacia
Maraini).
Gli anni Settanta sono una stagione di viaggi in tutto il mondo, per
realizzare reportage di impegno sociale e politico, dalla situazione in
Algeria fino alla presenza di Emergency in Afghanistan. Nel 1985 vince il
Premio Scanno per un reportage fotografico sul mondo del lavoro, pubblicato
su Le Monde e L'Illustrazione Italiana.
A metà degli anni Ottanta si trasferisce a Fermo. Il rientro definitivo in
Italia è segnato dalla collaborazione con quotidiani e riviste (Il
Manifesto, Diario, La Repubblica tra gli altri).
Nel 2008 l'Accademia di Belle Arti di Macerata gli conferisce il Premio
Svoboda al talento artistico. Nell'ambito di Spilimbergo Fotografia vince il
Premio Friuli Venezia Giulia Fotografia e il Premio Chatwin a Genova.
Moltissime sono le mostre personali e collettive che lo hanno visto
protagonista, così come tutti i libri a lui dedicati, tra cui basti
ricordare, nel 2008, anno del suo ottantesimo compleanno, gli importanti
volumi Dondero 4 20 e Donderoad.
Ufficio Stampa: Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura
Paola Galletto, galletto@salonelibro.it, 011.5184268 int. 907 ' 340.7892412
Inaugurazione sabato 22 settembre ore 18
Fondazione Bottari Lattes
Via Marconi 16 - Monforte d'Alba (Cn)
Orari: da lunedì a venerdì 14.30 – 17 / sabato e domenica 14.30 – 18.30
Ingresso gratuito