Non vedo tutto quello che dipingo. Le tele invitano a una riflessione sulla relazione tra opposti come dentro/fuori e morbido/ruvido.
a cura di Chiara Adele De Michele
Uno sguardo vero sa leggere il mondo senza essere ingannato dalla sua ultima superficie.
La pittura di Santo Leonardo ci ricorda per prima cosa che ogni superficie è, nello stesso tempo, maschera e volto.
“Io non dipingo quel che vedo…” poiché ciò che vedo è l’apparenza. Qui ci si cala invece in quel fondo di visioni che aprono nuovi possibili scenari di senso, o di allusioni a senso ulteriore.
Ecco allora tutto un procedere per slittamenti. Il dentro e il fuori, il morbido e il ruvido, lo spirito e il corpo.
E intanto, da ogni margine di queste tele ci parla quell’indefinibile color carne, su tutto pervadente. Sì, c’è un corpo. Corpo di carne, certo, quasi anatomico, ma che in essenza chiede di diventare corpo di materia pittorica, quindi di luce. Scivola nella luce, tra il viscerale e il metafisico.
Questa di Santo Leonardo è un’opera fedele alla luce. Con la luce delle sue forme cancella, scompone e ricompone le forme del mondo visibile. Le contempla. Quel che resta, il distillato alchemico, è un farsi e disfarsi della materia davanti all’occhio spalancato della visione. E’ l’occhio di chi cerca in mezzo alle nuvole (là, dove tutto affiora…) quel fluttuante che riaffiorerà poi dal basso, dall’altro lato, in timbro di colore.
Queste opere ricordano una suite musicale di assonanze. Voci che si chiamano, si fanno eco, si succedono e, nel succedersi a se stesse, si completano. Voci che nel sussurro indicano la strada. L’artista si è messo in ascolto, ha intercettato l’eco per noi.
Pittura di un veggente che, senza far rumore, spalanca porte impreviste, intravede misteri tra le fenditure, aggiunge disordini necessari alla mente, in una zona della mente dove avere visioni non significa certo perdere la ragione.
C’è un vento, una forza, una presenza che guida il pennello a scorrere fluido sulla grana della tela. La tela diventa allora lo spazio e il tempo del sogno, calato in andatura terrestre, ma intento a registrare le pulsazioni di un pensiero incantato che avanza, e nell’avanzare si precisa. Grado dopo grado.
Noi siamo attratti da una spirale che raduna immagini, mischia e congiunge corpo e cielo. Folate di questo cielo ci avvolgono, entrano, sono entrate fin nel buio, sotto la pelle dell’apparenza. O meglio, dove la pelle cede e il corpo si ritrova da sé. C’è un vento, dicevo, pensando anche a qualche suggestione turneriana, ed è un vento sottile che, senza clamore, turbina enigmi. Enigmi da non risolvere.
Dario Capello
Inaugurazione: 10 Novembre ore 18
arignani Belle Arti
Via Vanchiglia, 16/d- Torino
Orario: lun 15.30-19.30 mar-sab 9.30-13 e 15.30-19
Ingresso gratuito