Posso essere racchiuso in uno spazio di noce e considerarmi un re dello spazio infinito. Tra gli oggetti della camera di un uomo il suo diario, le sue abitudini e le sue aspettative.
A cura di Cecilia Tirelli
C'è stato un momento molto significativo in cui si ragionava sulla vita di questo individuo, sulle sue abitudini, e ad
un certo punto, addirittura sulle sue aspettative. Tutto ciò lo si faceva osservando le tracce della sua esistenza.
Per esempio: Elena ricordava che la prima volta che siamo entrati nella sua camera aveva notato un certo
disordine generale, però, i pochi libri impilati sul tavolo erano perfettamente allineati l'uno sull'altro, quasi si
trattasse di una libreria orizzontale nella quale, per leggere i titoli sul dorso dei libri, devi piegare la testa di
quarantacinque gradi, o viceversa, ruotare il mondo della stessa quantità di gradi, ma in senso opposto.
A questa
stranezza se ne aggiungeva un'altra – ciò che colpì Elena – i libri erano tutti rovesciati, come dire...ti davano le
spalle, protetti nella loro posa introversa. Questo dettaglio aveva dato ad Elena la sensazione di ritrovarsi nella
camera di un individuo per il quale un libro rappresenta una sorta di mondo da custodire, una via d'accesso da
mantenere lontana da sguardi – come i nostri – indiscreti.
Comunque... credo che il lavoro di Elena possa presentare delle debolezze. Non sono molto convinto dell'efficacia
di un diario. Anche Cesare, quando Elena gli ha parlato del progetto, ha sottolineato quanto fosse importante
definire con cura le modalità di fruizione del diario da parte del pubblico. Forse perché un diario andrebbe letto
nella stessa condizione di solitaria intimità in cui viene scritto e, certamente, il contesto di una mostra d'arte non
risponde a queste caratteristiche, la gente potrebbe annoiarsi, se non addirittura ignorare del tutto il diario.
Comunque, tra gli oggetti che ci sono nella camera, il diario è l'elemento più direttamente legato al nostro uomo,
quindi, bisogna inevitabilmente utilizzarlo.
A questo punto dobbiamo fare in modo che la gente lo legga. Leggendo alcune pagine del suo diario ho avuto l'impressione che questo tizio non pensa le cose che ti aspetteresti
possa pensare un immigrato a Venezia e, più in generale, un immigrato così come viene solitamente concepito. Mi
sembra che lui sia estremamente entusiasta di vivere in questa città, nonostante viva una condizione economica e
sociale che non può dirsi ideale. Forse perché immagino che un uomo che decide di allontanarsi dal suo paese
d'origine, lo fa fondamentalmente per migliorare la sua condizione di esistenza, e certamente deve esser così, ma
devo aver fatto confusione, nel senso che ho sovrapposto, anzi, ho fatto del tutto coincidere un individuo con le
sue esigenze.
A me, più che un immigrato, sembra un veneziano turista a Venezia, come dire... uno straniero indigeno.
Il punto è che si stava ragionando sui modi possibili di essere “altro”, e non sull' ”altro”. Non so se mi spiego: si era
partiti da un'indagine su questo individuo e si era giunti invece, ad un diario nel quale anche se si mantiene una
certa ambiguità utile a sottolineare una volontà di confronto, la prima impressione del lettore, così come l'ultima, è
quella di una comprensione confusa, imprecisa, inafferrabile, che induce al fraintendimento. La sensazione è
quella di trovarsi dinnanzi ad uno sguardo senza volto.
Per questo credo che il lavoro di Elena non è un progetto artistico che può essere esposto in una galleria o in un
museo, insomma in uno spazio comunemente deputato all'arte, perché si tratta di un' esperienza di vita, o meglio,
della vita particolare di un individuo. Ed è chiaro che non è possibile mettere in forma l'individualità, perché questa
non è mai visivamente connotata. Cioè, credo che un individuo possa presentare delle particolarità solo nel tempo,
nei diversi tempi.
Ho letto un libro su Szeemann che mi ha prestato Cecilia. Ad un certo punto del testo relativo alla mostra sul
nonno egli afferma: " ...riordinando la sua casa, misi da parte tutto quello che ricorda i miei nonni. Da anni ritenevo
quel nido degno di una mostra, come visualizzazione di una storia, testimonianza di uno stile di vita..."
Non sono esattamente d'accordo con Szeemann , o forse, non ho esattamente compreso cosa volesse dire, o più
probabilmente, il mio è un paragone inadeguato.
Parlando con Elena del suo progetto, ad un certo punto mi è venuta in mente l'idea di contattare alcuni musicisti di
strada che generalmente suonano da queste parti e proporgli di fare un piccolo concerto, magari per
l'inaugurazione. Ne ho conosciuto uno, Gabriel. Mi ha detto subito che sarebbe stato contento di suonare per
l'occasione. Il giorno successivo però non era più sicuro perché gli altri suoi amici non erano disponibili. Dopo una
settimana ha nuovamente cambiato idea, “non c'è problema” mi ha detto. Insomma, c'è poco da fidarsi, quindi mi
fido.
L'ultimo accordo prevede che per il 24 gennaio alle ore 19.00 Gabriel e i suoi amici eseguiranno un concerto nel
campiello che c’è di fronte la galleria. Purtroppo non è il giorno dell'inaugurazione, ma fa lo stesso. Comunque,
stanno preparando dei pezzi tratti dall'opera “I Masnadieri” di Giuseppe Verdi. Per questo gli ho consigliato di
chiamare il loro gruppo musicale “La Masnada”. A dire la verità è solo per l'occasione che ho scoperto il significato
di questo termine: gruppo di persone che agiscono insieme e di comune accordo in modo prepotente e
disonesto... una masnada di furfanti, di ladri, di avventurieri!
Certo, una cosa rimane sempre uguale quando si parla con un artista della sua opera: la discussione viene
sviluppata per negazioni o sovrapposizioni, mai per affermazioni.
Lo sapevo, Gabriel, il musicista, mi ha dato buca.
Niente concerto, per il momento.
Magari cambierà di nuovo idea.
Inaugurazione: Sabato 12 gennaio 2013 ore 18.30
La Fenice Gallery
San Marco 1948, Venezia
Orari: da giovedì a domenica dalle 14.00 alle 18.00 o su appuntamento
Ingresso libero