In Be(a)Bop sono esposte anche alcune sculture ed alcuni mobili di Beatriz Millar: le ballerine delle sculture altro non sono che la parola, il concetto che si appropria dello spazio. Prendono forma e richiamano da vicino i fumetti, le scenografie di un teatro.
BE(A)BOP
BE(A)BOP: è la risposta di Beatriz Millar alla ricorrente domanda che le viene rivolta: “Ma tu sei pop?â€.
Beatriz Millar è pop, talvolta. Ma sostiene, e le opere qui esposte ne sono una chiara dimostrazione, di essere soprattutto “bopâ€.
Ci sono radici d’ispirazione nella Pop-Art inglese.
Ma Beatriz Millar non usa un solo canale di comunicazione: non appartiene distintamene alla pittura, né alla musica, neppure alla scultura o alla fotografia.
In un’ipotetica invocazione alle Muse, tutte nove hanno risposto, e convivono in una continua contaminazione ed intersezione.
“One, one John in BE(A)BOPâ€: dal riferimento evangelico “In principio era il verbo†nascono questi lavori in cui le parole si incrociano, si scontrano, si fondono, annullandosi e rinascendo. Trasformandosi in un ciclo senza fine. Sullo sfondo del cruciverba si staglia un simbolo. Ciascuno di noi, di fronte ad un segno, innesca una potenzialmente infinita catena di libere connessioni. Ricordi, suggestioni, impressioni. Senza soluzione di continuità : le idee fluiscono, provengono dall’alto, se ne può quasi percepire l’armonia musicale.
Linee verticali che ripercorrono il legame con il Superiore, unite a tracciati orizzontali che rappresentano i rapporti umani. Ne nascono croci, abitate da milioni di parole.
Simbolo e forma, materia e parola. Il verbo si fa arte.
Il verbo si astrae e diviene pensiero. Il verbo proferito di volta in volta da bocche differenti: urlato, taciuto, cantato o sussurrato.
“Coloured Lipsâ€: partendo da bocche rosse, carnose e piene, inizia un viaggio che, utilizzando arte digitale su legno telato, vuole arrivare ad esplorare il legame fra il mondo esterno, talvolta sovraffollato di espressioni verbali, ed il mondo interiore.
“I’m the thought. I think. I am the word I sayâ€: questo è l’inizio e, attraverso variazioni cromatiche connesse a differenti sentimenti e diverse realtà (blu e verde), si approda a parole in combattimento, che vincono un round ideale “in a TV happeningâ€. Ma non è che la fine di un primo scontro, appunto. Perché queste bocche hanno ancora molto da dire.
Nel mondo di BE(A)BOP, le parole non abitano sole. “Flags in BE(A)BOPâ€: mille bandiere di un Paese che ha, appunto, il ritmo del be-bop, sventolano e raccontano un’altra realtà possibile, traendo spunto dall’attualità . Un’attualità studiata, conosciuta: amata ed odiata, e, in generale, attesa con curiosità . Per poterla poi manipolare, mostrando come un sapiente cronista i singoli eventi, quasi fossero di volta in volta materiali differenti.
La realtà si può plasmare. Beatriz Millar non si pone come un regista, bensì come uno sceneggiatore idealista: sa di non poter cambiare la realtà . Non lo desidera nemmeno. Vuole solo mostrare un’altra possibilità .
Un’alternativa in cui Bush e Saddam Hussein, Sharon ed Arafat convivono tutti, resi più umani dall’ironia.
In BE(A)BOP sono esposte anche alcune sculture ed alcuni mobili di Beatriz Millar: le ballerine delle sculture altro non sono che la parola, il concetto che si appropria dello spazio. Prendono forma e richiamano da vicino i fumetti, le scenografie di un teatro.
Non esistono confini o rigide regole prescritte: una matita può essere sostituita da una traforatrice. Ed allora la parola diviene un mobile, un incastro di comunicazione.
Dove silenzio e musica convivono: è il mondo di BE(A)BOP.
Gabriella Citroni
Nota Biografica: Beatriz Millar nasce ad Einsiedeln, in Svizzera, luogo di pellegrinaggio per il culto della “Madonna Neraâ€. Per alcuni anni insegna presso le scuole elementari di Kuessnacht am Rigi, al contempo frequentando l’Accademia di Scultura in Legno a Lucerna. Dal 1988 si trasferisce in Italia dove, a Milano, studia fashion design. Le sue opere, a partire dal 1984, sono esposte in varie mostre in Italia ed all’estero, in gallerie, musei e nel corso di fiere d’arte.
Stra, Venezia
Museo Villa Nazionale Pisani