Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC
Lissone (MB)
viale Padania, 6
039 2145174 FAX 039 461523
WEB
5 mostre
dal 13/3/2013 al 27/4/2013
mar-ven 15-19, gio 15-23, sab-dom 10-12 e 15-19

Segnalato da

Matteo Fato




 
calendario eventi  :: 




13/3/2013

5 mostre

Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC, Lissone (MB)

"Readesign" prende spunto dalla collezione di design del MAC; "Index G" e' una piccola rassegna incentrata sulle arti grafiche; Paolo Chiasera presenta 9 video realizzati tra il 2001 e il 2012; Gianni Moretti in "Entre chien et loup" propone una catalogazione spontanea, un'evidenza che contempla il fallimento della visione; "La scultura interroga la pittura" vede protagoniste due opere rispettivamente di Piero Dorazio e Gehard Demetz.


comunicato stampa

G.I.U.D.A. Geographical Institute for Unconventional Drawing Arts
La geografia della linea di Boetti

a cura di Gianluca Costantini e Elettra Stamboulis

Il nuovo appuntamento della rassegna Index G è stato affidato al collettivo G.I.U.D.A.(Geographical Institute for Unconventional Drawing Arts) che presenterà un'installazione realizzata da Gianluca Costantini e Elettra Stamboulis dal titolo La geografia della linea di Boetti, in cui saranno incluse alcune opere originali di Alighiero Boetti.

Il numero IV di G.I.U.D.A, rivista di ricerca visiva sulle intersezioni tra rappresentazione geografica e fumetto, è stato dedicato alla Linea Durand, il confine tra Afghanistan e Pakistan che si dipana nella stretta gol a del Khyber Pass. Il Khyber Pass unisce e divide Kabul e Peshawar, é una via sempre contesa, mai completamente in pace (annessa di volta in volta agli imperi o agli stati, benché continuamente sfuggita al controllo delle massime potenze politiche), itinerario
imprescindibile degli eserciti alla conquista dei tesori dell'Hindustan, cerniera tra le civiltà euroasiatiche e quella indiana.

Il geografo e la guida d'eccezione di questo viaggio su carta è Alighiero Boetti, le cui Mappe informa di arazzo furono realizzate dalle ricamatrici di Kabul. Boetti diventa personaggio, narratore, riferimento visivo ed eversivo di quest'operazione di sovrapposizione - di tempi e luoghi - che gioca sulla evocatività di opere che sono diventate dei capisaldi dell'arte contemporanea, come il fotomontaggio Gemelli del 1968, che vede qui Boetti tenere provocatoriamente la mano al mullahOmar. Le storie e le cartine cambiano, nuovi personaggi e nuove storie prendono il posto di altre; il compito delle storie-disegnate è forse quello di trovare le eliminazioni e le giustapposizioni, disegnandone la rappresentazione su nuove carte narrative?

Nata nel 2009, G.I.U.D.A. è una rivista che indaga il tradimento delle immagini. Lo fa usando il disegno in forma intensiva, cartografando il dicibile e il rappresentabile. Si pone come uno spazio programmato di ricerca visiva ed estetica. Insegue i luoghi sulle cartine, sapendo che la mappa non è il territorio ma una sua rappresentazione, e che a partire dalla cartografia si stabilisce il nostro posto sul mondo e lo spazio che occupiamo a livello simbolico.

G.I.U.D.A. è una rivista da collezione, che non concede sconti all'epoca delle veline editoriali. Ha una vocazione decadente e romantica, utilizza l'arte del disegno per inseguire le strade cimiteriali delle metropoli e la globalizzazione delle provincie. Concorrono alla sua realizzazione un gruppo di disegnatori di cui Gianluca Costantini è l'ideatore e l'instancabile sperimentatore della nona arte, assieme a Armin Barducci, Ciro Fanelli, Angelo Mennillo, Rocco Lombardi, Robert Rebotti - Jacklamotta, Alice Socal, Liliana Salone, Niccolò Pellizzon, Darkham e diversi altri autori. Vi collaborano inoltre Marco Lobietti e Elettra Stamboulis.

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LEGGERE IL DISEGNO, RACCONTARE IL DESIGN:
Thonet-Francalanci-Krüger

a cura di Alberto Zanchetta

Prelevati dallo spazio del vissuto, i complementi d'arredo possono interrogare la nostra esistenza?
Da questo quesito nasce il progetto READESIGN, il quale prende spunto dalla collezione di design del MAC di Lissone e intende mettere a confronto un autore - sia esso un critico oppure uno scrittore, un attore o un personaggio dello spettacolo - con una delle sedie che hanno segnato la storia del design, rendendola protagonista di un breve testo. Il discorso, spezzato/speziato in forma di racconto o di commento, si appellerà all'arguzia e alla vivacità intellettuale dell'autore, al suo spirito d'osservazione e alla sua disposizione d'animo. A fianco della sitzmaschine ("macchinada sedere" secondo la definizione che ne diede Josef Hoffmann) sarà posizionata una macchina da scrivere, che servirà a dattiloscrivere il testo fornito per l'occasione.

LEGGERE IL DISEGNO, RACCONTARE IL DESIGN: la parola design (che è un ritorno semantico alla parola rinascimentale "disegno") significa "progetto", ovvero disegno di un'idea. Diversamente dai designer che chiamano in causa il ductus, gli autori interpellati invocheranno per sé il diritto al ductus, gli autori interpellati invocheranno per sé il diritto al dilectus e alla capacità di s-piegare gli oggetti a proprio piacimento, appellandosi alla possibilità di crogiolarsi in un loisir estetico che li metta "a proprio agio", come se si stessero effettivamente accomodando sulle sedie esposte in mostra e volessero picchiettare sui tasti delle macchine da scrivere. Ovviamente READESIGN non è un'esposizione concepita per sedersi ma per sedurre lo spettatore: l'arredo domestico sarà il momento/motivo scatenate per funambolici intrichi (di senso) e imprevedibili incontri (tra persone e oggetti).

Relativamente breve, la storia del design fa risalire i suoi motivi pregressi al XIX secolo. Fuga nel passato in cui troviamo la sedia Thonet No.14, che Adolf Loos definì come l'unica sedia moderna. Bruno Munari narra che tutto ebbe inizio allorquando Michael Thonet, un falegname intagliatore nato a Boppard sul Reno, «pensò che forse si sarebbe potuto inventare una sedia più semplice, fatta senza spreco, leggera ed elegante. [...] La sedia così progettata e costruita risultò più economica, più pratica, leggera ed elegante per la coerenza formale del materiale, della tecnologia usata, senza nessuna forzatura decorativa oltre alle forme nate dalla tecnica». È così che, verso la metà del'Ottocento, Thonet mise a punto un sistema che permetteva di lavorare il legno ottenendo
delle sedie dalle forme morbide ed eleganti che ancor oggi rappresentano «un simbolo culturale nelle case dove sono usate».

A Ernesto L. Francalanci è stato chiesto di interrogarsi sul modello capomastro di Thonet e sulla sua essenziale politezza. L'argomentazione/divagazione da lui proposta sarà dattiloscritta con una Olympia Plana di Johannes Krüger, macchina da scrivere prodotta in Germania alla fine deglianni trenta, gli stessi anni che hanno dato i natali a Francalanci.

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VIDEOGRAPHY:
PAOLO CHIASERA

a cura di Alberto Zanchetta

14 marzo - 28 aprile 2013 Museo d'Arte Contemporanea di Lissone

La rassegna che il MAC di Lissone dedica alle video-produzioni delle ultime generazioni continua la sua programmazione con la sessione affidata a Paolo Chiasera, che per l'occasione presenta nove video realizzati tra il 2001 e il 2012.

Dopo anni passati a dipingere in silenzio, nel 2000/2001 Chiasera si trasferisce a Berlino e inizia a lavorare con il video: «Mi sentivo un pittore e non un regista» - ammette l'artista - «Le immagini degli artisti erano il punto di partenza per sviluppare pensieri e prospettive conoscitive, relazioni segniche di un atlante warburghino».
20° Livello , il video posto in apertura di questa selezione, si rifà agli anni in cui l'artista abitava nella zona est di Berlino, in un grattacielo di venti piani con i corridoi gialli. Nell'opera traspare in modo evidente l'atmosfera berlinese, mescola inoltre la presenza ingombrante della storia passata con il futuro e inserisce un ritratto di donna di Velasquez alla maniera di un "interrogativo oracolare".

Seguono i video The wall, ispirato al paesaggio metafisico di Giorgio de Chirico, Madonna della Scodella, che svela una nuova interpretazione del dipinto di Correggio, the trilogy in cui l'artista rivisita le figure di Vincent van Gogh, Pieter Brueghel e Maurits Cornelius Escher all'interno del paesaggio contemporaneo. Le rappresentazioni urbane nella pittura del XVII secolo fanno quindi da sfondo a Spazi circoscritti (Chiasera ricorda che l'idea gli venne guardando dalla finestra della sua cucina, in Schoenhauser allee, da cui si scorgeva un cimitero che gli ricordava il Guido Reni che ai tempi dell'accademia era solito vedere alla pinacoteca di Bologna).

Completano la selezione altri due video. The Following Days ha per protagonisti tre ragazzi che scoprono una grande scultura effigiante il volto di Pasolini, uno di loro decide di scalare la scultura ed entrarci dentro per riposare e farla poi esplodere. Young dictators' village parla invece della fascinazione estetica per i simboli del potere; un'esplosione finale conclude il video girato nella silente campagna bolognese, che con la sua nebbia fa da sfondo ai miraggi e alle malinconie di un gruppo di giovani dittatori.

«Non ho mai rivisto i miei video», ha ammesso Chiasera, «ma oggi che sono tornato alla pittura mi sorprendo quando ritrovo nei miei lavori delle immagini che mi riportano indietro, svelando parentele sepolte ma mai sopite. Mi rendo conto che sono sempre stato me stesso e in questa selezione preparata per la rassegna Videography ci sono molte immagini che probabilmente mitroverò a riscoprire in futuro».


Paolo Chiasera è nato a Bologna nel 1978, vive e lavora a Berlino. Sue mostre personali sono state allestite presso lo Stedelijk Museum voor Actuele Kunst di Gent, MARTa di Herfod, PSM di Berlino, MACRO di Roma, W139 di Amsterdam, MAMbo di Bologna, Raine's Foundation School di Londra, Columbia University
di New York, Verein am Rosa Luxemburg Platz di Berlino, GAM di Torino, galleria Francesca Minini di Milano e Galleria Massimo Minini di Brescia. Prossimamente inaugurerà una mostra personale alla Gemäldegalerie di Berlino. Tra le sue mostre collettive si ricordano If You Want it You Can Get it For the Rest of Your Life (Truth is What Works) all'ISCP di NYC nel 2012, Oh how time flies alla Kunsthalle di Bergen nel 2011, Ibrido al PAC di Milano nel 2010, Misura Italiana al Museo Reina Sofia di Madrid e la Seconda Biennale di Tessalonico nel 2009, la Quadriennale di Roma nel 2008, Laws of relativity alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino e Apocalittici ed integrati al MAXXI di Roma nel 2007, Italymade in art now al Museum for Contemporary Art di Shanghai nel 2006. Nel 2011 ha scritto The Horizonafter commodity, notes on perversion e Painting 1 Analysis and convergences.

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LA SCULTURA INTERROGA LA PITTURA #1
Gehard Demetz & Piero Dorazio

14 marzo - 28 aprile 2013 Museo d'Arte Contemporanea di Lissone

a cura di Alberto Zanchetta

Per Pablo Picasso «la scultura è il miglior commento che un pittore possa fare sulla pittura», Barnett Newman definiva invece la scultura come «quella cosa su cui inciampi quando indietreggi per guardare bene un quadro». Ma cosa accadrebbe se l'inciampo diventasse il fruitore delle opere che l'attorniano? Cosa accadrebbe cioè se scultura e pittura si trovassero a contrapporsi, esponendosi l'una alla presenza dell'altra? Il sarcastico Salvador Dalí affermava che «il meno che si possa chiedere a una scultura è che stia ferma», nulla vieta di poterle però accordare la facoltà di guardare la propria "nemesi".

Il ciclo La scultura interroga la pittura cercherà di instaurare dei momenti dialettici in cui unascultura possa colloquiare con un dipinto, creando così un legame tra un maestro del passato e un artista contemporaneo. Ogni scultura - figurativa e a grandezza reale - sarà posizionata di fronte a un quadro della collezione permanente, dando l'idea che le sculture siano esse stesse dei connoiseurs d'arte, assorti nella suadente allure della pittura. Le prime opere che instaureranno traloro un rapporto di affinità elettiva sono la Marmaraviglia II di Piero Dorazio (1963, olio su tela,196x111 cm) e I forgot how the prayer ends di Gehard Demetz (2010, legno, 182x46x32 cm).

Piero Dorazio è stato l'erede della pittura astratta e concreta delle avanguardie storiche. Nel dipinto Marmaraviglia II assistiamo alla stratificazione di trame coloristiche che si intersecano sinoa creare una sorta di saturazione visiva. Organizzati sottoforma di linee-forza autonome, gli elementi del quadro sono scanditi in modo armonico e strutturati secondo rapporti cromatici.
Fermamente convinto del valore simbolico dei colori, Dorazio ha spinto la sua ricerca sino a dar vita a dipinti che producono nel percipiente una fortissima tensione psicologica. Tensione che sembra recepita dal fanciullo di Gehard Demetz, costretto a serrare le proprie palpebre. Il rigore geometrico del colore pare inoltre irraggiarsi dal quadro verso la scultura, imbevendo la maschera antigas che il ragazzo stringe nella mano sinistra. Come fosse inebriato dai reticoli del maestro aniconico, l'intervento pittorico tradisce così la vera "pelle" del legno.

Se la ricerca di Dorazio è sempre stata diretta verso la definizione di un'immagine plastica, l'effetto volumetrico di Demetz si muove sotto il segno di uno scarto rispetto alla tradizione e di un respiro nel climax della contemporaneità; l'artista ridona attualità alla poetica del legno, materiale che trova nuova linfa vitale nelle figure di adolescenti (che non sono altro che forme disegnate dalla forza espressiva dello scalpello). Le due opere diventano quindi parti inscindibili di un dialogo tanto ineffabile quanto serrato: un intreccio di trame-colori nel caso di Dorazio e di legni-tasselli nel caso di Demetz. E poiché il fanciullo dichiara di aver "dimenticato come finisce la preghiera", siamo indotti a identificare Marmaraviglia II con i "sacri rettangoli", ossia le icone che un tempoadornavano le chiese e che oggi invadono la nostra vita - la più quotidiana, sin dall'infanzia.

Piero Dorazio è nato a Roma nel 1927. Muore a Perugia nel 2005.

Gehard Demetz è nato a Bolzano nel 1972, vive e lavora a Selva di Val Gardena.

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ENTRE CHIEN ET LOUP
GIANNI MORETTI

a cura di Martina Cavallarin e Alberto Zanchetta

Il MAC di Lissone ospita una mostra personale di Gianni Moretti composta da una decina di opere che saranno disseminate al pianterreno dell'edificio, intervallando e/o interferendo con gli altri progetti espositivi del museo. La mostra, curata da Martina Cavallarin e Alberto Zanchetta, si ispira all'espressione ENTRE CHIEN ET LOUP (terminologia che identifica una situazione in cui non si ècerti di cosa si vede o non si vede, generando un'indefinitezza che trae in inganno e rischia di scambiare gli uni per gli altri). La locuzione francese non fa però specifico riferimento alla luce, come accade per il termine anglofono twilight, bensì all'effetto che ha sulla visione, che consiste nel fallimento di saper distinguere le differenze tra un cane e un lupo.

Come spiega Martina Cavallarin: «Gianni Moretti indaga ed espande organismi al limite del collasso, opera sull'ipotesi del fallimento inteso come un insieme di prove e condizioni propositive, sulla reiterazione che implora un'uguaglianza che è solo simile, ma mai identica, sullo spazio d'esistenza che evidenzia continuamente un'imperfezione narratrice di verità o di verosimile. La sua forma artistica contiene la specificità di perseguire lo srotolarsi dell'errore e l'irresistibile, inconscia volontà di lavorare sul falso identico, ovvero sulla sedimentazione delle forme, sul mettersi in gioco come un equilibrista che esercita senza rete, sull'indagine lenticolare che esplora i materiali e li tocca con una passione e una delicatezza da amante perduto. Un falso identico che contempla lavori differenti, anche se solo linguisticamente, un'ipotesi di arte relazionale che si moltiplica tra analisi più intimiste o maggiormente rivolte al sociale. Arte quindi pronta a denunciare, ma in stato di apparente silenzio, arte che si svela attraverso la lateralità di frammenti, carte, indugi, ossessioni, raffinatezze, mutazioni, poesie».

L'esposizione al Museo d'Arte Contemporanea di Lissone si propone come una catalogazione spontanea, un'evidenza che contempla il fallimento della visione, uno sfasamento della percezione provocato dalla presenza di opere eterogenee, dal carattere spurio e ambiguo, perché in costante "esercizio di mutazione". Aspetti che si riassumono nel titolo della mostra, ENTRE CHIEN ETLOUP, il cui significato è legato a un'accezione francese del XIII secolo, già presente in un testo ebraico del II secolo a.C., che recita: quand l'homme ne peut distinguer le chien du loup.

Gianni Moretti è nato a Perugia nel 1978, vive e lavora tra Milano e Berlino. Disegno, installazioni e mixed media sono le tecniche utilizzate nella sua ricerca, la quale si focalizza sulla scoperta del limite e della struttura di vari tipi di organismi. Dal 2003 il suo lavoro è stato presentato in varie mostre personali: M.A.R.S. di Milano, Otto gallery di Bologna, Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro, Changing Role - Move Over Gallery di Napoli, Gaya Art Space di Bali, Basilica Palladiana di Vicenza, Galleria Michela Rizzo di Venezia, Montrasio Arte di Milano, Galleria Officina 14 di Roma. Tra le mostre collettive recenti: On cloud seven,C.A.R.S., Omegna (VB) - Minima Marginalia, Dolomiti Contemporanee, Taibon Agordino (BL) - Undiciallunaggi possibili, Palazzo Zenobio per l'Arte, Venezia - Dà fuoco al fuoco / acqua all'acqua / e ciò ti basti,Sala Dogana, Palazzo Ducale di Genova - Chain Reaction cap.1 L'appeso, La sospensione, Still life, ARTcore contemporary art project, Bari - Follow the broken, Kreuzberg Pavillon Neukoelln, Berlino - Roundthe Clock, Spazio Thetis, Evento collaterale della 54° Biennale di Venezia.

Inaugurazione 14 marzo ore 19

Museo d’Arte Contemporanea
Viale Padania 6 (fronte stazione FS) - 20851 Lissone - MB
Martedì, Mercoledì e Venerdì h 15-19
Giovedì h 15-23; Sabato e Domenica h 10-12 / 15-19
Ingresso libero

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