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Francisco Sierra e a Stefano Spinelli
dal 22/3/2013 al 10/5/2013

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Laboratorio Kunsthalle Lugano



 
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22/3/2013

Francisco Sierra e a Stefano Spinelli

Laboratorio Kunsthalle Lugano, Lugano

Corpo a Corpo. Il laboratorio prosegue e approfondisce la sua specifica linea di indagine basata sul dialogo e sul confronto fra linguaggi espressivi.


comunicato stampa

Con la mostra “CORPO A CORPO”, dedicata a Francisco Sierra e a Stefano Spinelli, il Laboratorio KUNSTHALLE Lugano prosegue e approfondisce la sua specifica linea di indagine basata sul dialogo e sul confronto fra linguaggi espressivi. Una ricerca che si profila con scelte mirate, essenziali e al tempo stesso sempre di forte impatto, e che ormai da anni contribuisce in modo significativo al dibattito sull’arte contemporanea non solo in Svizzera.

Il titolo “Corpo a corpo”, in apparenza limpido nel suo significato, allude invece a un contesto più stratificato e complesso. Si parla di corpo, certo, di corpi che si incontrano e si scontrano, di forme biomorfe, di corpi amorfi. Ma si parla pure di un corpo a corpo con il “reale” come concetto fragile, non assoluto, multiforme; e, anche, di un corpo a corpo fra mezzi d’espressione, in particolare fra pittura e fotografia e le valenze storiche, culturali, tecniche che le connotano. Pittura fotografica, fotografia pittorica: i lavori di Francisco Sierra e di Stefano Spinelli creano un andirivieni costante in cui pittura e fotografia scivolano l’una nell’altra, fluide e promiscue, e si contaminano a vicenda.

Lo spettatore deve dunque districarsi in una dimensione carica di rimandi, non univoca, fatta di confini incerti, di slittamenti semantici, di spiazzamenti percettivi.

Francisco Sierra (*1977, Santiago del Cile), violinista di formazione e artista autodidatta, ha vinto il premio Manor per il 2013 ed è reduce dall’esposizione al Kunstmuseum di Berna “Merets Funken. Surrealismen in der zeitgenössischen Schweizer Kunst”, che analizza l’influsso di Meret Oppenheim sulla giovane arte svizzera. Assimilare l’opera di Sierra al surrealismo storico richiede cautela: il suo lavoro, caratterizzato da un iperrealismo fantastico a cavallo fra un’immediatezza apparente e un’interpretazione enigmatica su più livelli, si avvale di un’accuratezza tecnica estrema e raffinata ed è di fatto una profonda riflessione – critica e colta – sulla pittura come medium e sul margine di manovra che essa, con il suo immenso, tradizionale corredo di regole e di convenzioni, permette oggi all’artista. Si tratta di scardinare il ruolo indiscusso e l’enorme potere che la pittura a olio da sempre esercita all’interno del nostro sentire culturale: il vocabolario espressivo è manipolato con ambiguità, ironia, umorismo, per metterne alla prova limiti e possibilità. Nella sua perfezione artigianale, il realismo di Sierra sembra inserirsi di diritto in una linea che dagli esiti più recenti (si pensi al realismo e all’iperrealismo americani), attraverso surrealismo, Neue Sachlichkeit, realismo ottocentesco, giunge alla pittura fiamminga del rinascimento. A una lettura più approfondita si rivela tuttavia come messa in discussione radicale della sua stessa essenza: il confine fra realtà e sur-realtà sfuma, assurdo e grottesco si mescolano al razionale in dinamiche inattese.

La serie esposta negli spazi del Laboratorio KUNSTHALLE Lugano, “Amorphus iactans”, esemplifica in modo magistrale l’approccio e la ricerca di Sierra, che così si esprime a questo proposito: „Il nome Amorphus iactans è stato inventato da me ed è composto dal termine medico per ‚aborto’, un feto che nasce senza testa o membra, mentre ‘iactans’ deriva dal latino e significa qualcosa come ‘superbo’, ‘fiero’. Attraverso la messa in scena pittorica attribuisco a una forma qualsiasi, e più o meno malriuscita, un significato: posso così sedurre – ma anche ingannare – lo spettatore, con la ‘forza’ della pittura a olio radicata in modo così profondo e serio nella nostra idea di arte”.

A metà strada fra natura morta e antico trattato di medicina, fra curiosità da Wunderkammer e gioco di materia inerte che ammicca al quadro di paragone o alla grisaille, Sierra elabora un volume multiforme che si muove su uno sfondo dalla cromìa ricercata. La discrepanza estetica fra la perfezione di uno stile “finito”, che suggerisce e presuppone la ricerca del bello, e il motivo in sé poco attraente, attiva nello spettatore un senso di incertezza e di destabilizzazione.

Allo stesso modo, l’ambiguità di “Amphisland” risiede non tanto nel motivo delle persone che salgono sul mezzo anfibio per avventurarsi in un mare pieno di ghiacci – immagine che l’artista stesso collega per assurdo all’Arca di Noè – quanto piuttosto nel complesso legame con la fotografia: il dipinto è stato infatti eseguito sulla base di uno scatto effettuato dall’artista in Islanda. Come dichiara lo stesso Sierra, “attraverso la pittura il rapporto con la realtà viene rimesso in questione senza sosta”.

Stefano Spinelli (*1963, Sorengo) è sociologo e utilizza da oltre trent’anni la fotografia come mezzo privilegiato per esplorare l’uomo e il mondo. La fotografia è per lui strumento polivalente, carico di sfumature soggettive, emotive, intellettuali, di concetto ma al tempo stesso magiche, oniriche. L’artista si muove su un terreno sempre al limite fra riconoscibile e irriconoscibile – o, meglio, inconoscibile –, fra razionale e irrazionale: la realtà documentaristica si ribalta – o si deforma – per farsi realtà esistenziale. L’obiettività è solo illusoria: dappertutto si aprono spiragli verso l’ignoto, verso il mistero nascosto negli anfratti del reale. La fotografia stessa non è più medium univoco, diventa strumento mobile, liquido, composito, impuro: ecco allora l’immagine-testo, o la scrittura-immagine, della recente serie “Transcriptions”, nella quale la lettera, lo scritto, è una porzione d’immagine che si svela soltanto nel contatto ravvicinato – nel corpo a corpo – con la superficie, in un comporsi di senso che è insieme visivo e verbale; oppure la forte pittoricità del lavoro qui presentato e che dà il titolo alla mostra, “Corpo a corpo”. L’artista, ispirandosi agli incontri di boxe, si volge al corpo in tutta la sua fisicità, sostiene di volerlo cogliere nella sua “immediatezza di carne, muscoli, pelle, sudore, contatti, forza, fatica, emozioni, piacere, sofferenza, movimento, danza, energia, antagonismo, agonismo, spettacolo”. Ma anche nella sua connotazione comunicativa, psichica, sociale. “E il tutto – aggiunge – restando, per quanto possibile, in una dimensione astratta o forse, meglio, essenziale. Non il corpo di qualcuno in particolare. Solo corpo. In modo da poter diventare un corpo universale. Il corpo di tutti. Diventare metafora”. L’eleganza compositiva, l’accurata ricerca cromatica, la forza evocativa, l’aspetto seriale fanno di questi corpi anche dei forti segni estetici: i lavori rivelano raffinate valenze pittoriche e si collocano assertivamente non solo nel dibattito attuale relativo alla potenza e alla legittimità dei linguaggi contemporanei, ma anche in quella riflessione – eterna – relativa all’artista che, “come il pugile, combatte ogni giorno un corpo a corpo vitale, all'ultimo sangue, tra la materia e lo spirito”.

Vernissage 23.03.2013 alle ore 17.00

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