Relitti. Vecchie fabbriche, un manicomio, edifici in rovina. Sono questi i soggetti del progetto fotografico che Virdis ha realizzato in collaborazione con l'antropologo Paolo Chiozzi su luoghi dismessi a Firenze, Sassari, Roma, Pontassieve.
"L’umanità non è in rovina è in cantiere."
Marc Augé
Lo spazio WE MADE FOR LOVE, cuore pulsante di Labloft a Torino, ospita dall’ 8 al 30 maggio la mostra fotografica di Davide Virdis RELITTI; l’ex spazio industriale (quella che fu una tintoria) dialogherà dunque con le immagini in mostra che ritraggono luoghi abbandonati, vecchie fabbriche, un manicomio, edifici in rovina…
Sono questi i soggetti delle immagini di Davide Virdis che, in collaborazione con l’antropologo Paolo Chiozzi, ha realizzato un progetto fotografico su luoghi dismessi a Firenze, Sassari, Roma, Pontassieve che, per una ragione o per l’altra, sono stati svuotati dall’attività e dalla presenza umana.
Ma la presenza dell’uomo è quanto mai viva in queste immagini a colori che ritraggono l’abbandono: una fotografia che sbuca dall’interno di un armadietto, la scritta sui muri del manicomio, un indumento a terra… Il passaggio dell’uomo è ben impresso nella memoria delle immagini pazientemente ritratte dal fotografo.
E di pazienza ce ne vuole tanta per lavorare, di questi tempi, con il banco ottico; lo sguardo di Virdis infatti è uno sguardo attento, quasi affettuoso a volte. Egli scopre luoghi abbandonati e vi si posiziona, con lo spirito dell’esploratore, per ritrarli. La mostra si intitola RELITTI, ma potremmo anche rinominarla RILETTI perché questa è l’operazione che compie il fotografo: rilegge i luoghi abbandonati, vi trova nuovi significati che poco o nulla hanno a che vedere con quelli iniziali.
Non si tratta di un lavoro di archeologia industriale, l’interesse verso i luoghi non è quello dell’architetto, sebbene la formazione di Virdis venga proprio di lì; la sua tesi di laurea era infatti basata sul rapporto tra fotografia e architettura e durante la stesura ha avuto la fortuna di imbattersi nel compianto Gabriele Basilico, il cui stile compositivo ha sicuramente lasciato una traccia nel suo approccio fotografico. L’interesse di Virdis è più di tipo antropologico se non sociale; come diceva proprio il suo primo maestro, Basilico, “la vita rende belle e interessanti anche le cose brutte”. Dunque Virdis ritrae ciò che la vita ha impresso negli spazi abbandonati: i pavimenti calpestati da innumerevoli passi che portano il segno del peso sostenuto, gli sportelli aperti degli armadietti che hanno contenuto chissà quale tesoro personale, un reggiseno rosso abbandonato vicino ad un letto improvvisato. A volte la vita ritratta da Virdis non è quella che abitava il luogo quando era nella sua primaria incarnazione; spesso nelle sue fotografie troviamo tracce di passaggi successivi, come se i luoghi abbandonati vivessero una seconda vita, come se avessero una seconda chance. Sono spesso luoghi abbandonati da decenni su cui si sono stratificate esistenze diverse, che sono essi stessi in trasformazione perché, come diceva Marc Augé citato da Chiozzi: “L’umanità non è in rovina, è in cantiere. Appartiene ancora alla storia. Una storia spesso tragica, sempre ineguale, ma irrimediabilmente comune”.
Davide Virdis si laurea in Architettura a Firenze con una tesi sul rapporto tra linguaggio fotografico e rappresentazione dello spazio.
La sua ricerca si sviluppa principalmente nel campo della fotografia di architettura e paesaggio con una attenzione all’aspetto antropologico collaborando spesso con sociologi, antropologi ed urbanisti.
Dal 1995 conduce una ricerca fotografica tesa ad esplorare il complesso rapporto tra il paesaggio della Sardegna, con la sua forte identità culturale e storica, e le dinamiche in continua evoluzione relazionate ai processi di sviluppo ed evoluzione del territorio intimamente legati alle forme proprie della modernità.
I risultati della sua ricerca sono presentati in varie mostre che, negli anni, sono state esposte in diverse sedi e manifestazioni in Italia e all’estero
Nel 2011 ottiene un finanziamento dall’ISRE (Istituto Superiore Etnografico della Sardegna) e realizza il suo progetto dal titolo “Uomini d’acqua”, una ricerca fotografica di 132 immagini avente come tema una lettura del paesaggio sardo rappresentato attraverso la interpretazione dei segni generati dal rapporto tra uomo, acqua e territorio.
Nel 2012 inizia una collaborazione con l’Università di Firenze per la quale, nell’ambito del Progetto Europeo Mare Nostrum, ha l’incarico di realizzare una ricerca fotografica che, tra Siria, Grecia, Libano, Malta e Tunisia, ha toccato alcune tra le più antiche città portuali riconducibili alle rotte fenicie nel Mediterraneo.
Nell’autunno del 2012 presenta i risultati del suo lavoro con una mostra fotografica dal titolo “Routes of water” che espone a ottobre in Tunisia e a dicembre in Libano.
Immagine: A. vetreria Savia Empoli 2012
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Inaugurazione 7 maggio 2013 ore 18.00
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