Terra Platonica. La mostra e' la tappa piu' recente del percorso di Tognon fra arte contemporanea e tecniche tradizionali della lavorazione del vetro.
A cura di Simone Menegoi
Palazzo da Ponte, Calle del Dose in Campo San Maurizio, San Marco 2746, Venezia, Italia.
31 maggio / 5 ottobre 2013 (Agosto chiusura estiva)
Caterina Tognon è lieta di presentare la mostra personale Terra Platonica dell’artista portoghese
Francisco Tropa, con opere quasi esclusivamente create per l’occasione. Queste nuovi lavori,
ispirati ad antiche cosmologie, comprendono esili strutture in ottone e canne in vetro multicolore; un
ciclo di sculture formate da lastre vitree colorate appoggiate con lievità a supporti in legno; oggetti di
vetro soffiato, due dei quali presentati sotto forma di installazione luminosa; un ciclo di quaranta
carte serigrafiche, anch’esse realizzate appositamente, e infine due sculture lignee sospese del
2002, scelte per affinità tematica.
La mostra è la tappa più recente del percorso di Caterina Tognon fra arte contemporanea e
tecniche tradizionali della lavorazione del vetro. Si aggiunge a un ciclo iniziato con l’esposizione di
Claire Fontaine (2011) e proseguito con quella di Hubert Duprat (2012) in cui artisti di prestigio
internazionale, con il quale la galleria non aveva mai lavorato in precedenza, vengono invitati a
realizzare alcune opere in vetro a Venezia, per poi presentarle in una personale nello spazio di
Calle del Dose.
Scelto per rappresentare il Portogallo alla Biennale di Venezia del 2011, Tropa aveva trasformato lo
spazio del padiglione in una specie di caverna platonica popolata di ombre capovolte di oggetti
naturali e artificiali: un esempio eloquente del modo in cui l’artista ama porre interrogativi filosofici
sull’arte e sulla realtà in generale, attraverso opere di grande suggestione visiva e poetica. Terra
Platonica riprende la questione, particolarmente cara all’artista, della finzione e della verità in
rapporto all’arte, a partire da alcune obsolete raffigurazioni del cosmo. La prima, tratta da un testo
ottocentesco di Flammarion sui “miti astronomici” e intitolata appunto “Terra platonica”, mostra il
nostro pianeta come un cubo sospeso nello spazio, la cui faccia superiore, quadrata e piatta,
costituisce la parte abitata.
La seconda raffigurazione del cosmo è quella sviluppata nelle tavole
della Topografia Cristiana di Cosma Indicopleuste del VI secolo d.C.: la Terra vi appare piatta e
rettangolare, sormontata da un firmamento dalla volta a botte simile a un baldacchino. La terza
raffigurazione, con la quale gli spettatori moderni hanno forse più familiarità, è quella sottesa alla
Divina Commedia di Dante: ipotizza una Terra sferica, scavata da un lato da una profonda voragine
conica (l’Inferno) e dominata dal lato opposto da un altissimo monte (il Purgatorio). Tutte le
raffigurazioni sono ovviamente inattendibili; quella tratta da Flammarion, che dà il titolo alla mostra,
lo è doppiamente, non solo perché propone un modello del nostro mondo incompatibile con la
scienza moderna, ma perché l’attribuzione a Platone di tale modello è errata. Platone infatti associa
la forma del cubo alla terra in quanto elemento fondamentale, al pari dell’acqua, dell’aria e del
fuoco, ma non descrive il pianeta su cui viviamo come un cubo.
L’interesse di Tropa per questi modelli è di ordine filosofico ed estetico. Da un lato essi testimoniano
l’impulso umano fondamentale a raffigurare la realtà secondo principi ideologici, religiosi, etc.,
anche a costo di deformarla e di cadere in contraddizione. (La cosmologia di Indicopleuste era
considerata inattendibile già dai suoi contemporanei, perlopiù sostenitori dell’ipotesi geosferica).
Dall’altro, queste immagini del mondo attraggono Tropa per il loro fascino estetico: sia in quanto
pure forme ormai svuotate di senso, sia come possibili modelli di ciò che l’arte può essere: una
sospensione della domanda sulla “verità” per dar vita a un universo che trova in sé stesso, nella
propria coerenza interna, la propria giustificazione.
Dalle illustrazioni del trattato di Cosma Indicopleuste Tropa ha tratto una serie di serigrafie dai colori
smaglianti, disposte sulle pareti della galleria come un fregio. Stilizzate e private delle originarie
scritte esplicative, riproposte in decine di variazioni cromatiche come delle Marilyn di Warhol, queste
raffigurazioni del cosmo vecchie di quindici secoli si riducono a motivi astratti, dalla grazia
decorativa.
La Terra immaginata da Dante si trasforma in due bottiglie di vetro soffiato – riprese deformate, ma
ancora riconoscibili, del modello Inferno-Purgatorio – che a sua volta si trasformano in ombre: due
potenti lampade ne proiettano le forme sulle pareti. Da notare che l’artista ha usato come maschere
per sagomare la luce, due sezioni di agate con un foro centrale: la forma irregolare del foro fa
apparire le ombre delle due bottiglie sospese in una sorta di caverna – ancora una volta, l’archetipo
platonico del luogo dell’illusione.
La Terra cubica che il volume di Flammarion attribuisce a Platone è il motivo centrale della mostra,
e al tempo stesso quello interpretato in modo più astratto e generale. Il cubo compare nelle sculture
lignee sospese Approaching Creative People (2002), raffigurazioni di cubi in assonometria che
ruotando su se stesse e generano illusioni ottiche – ciò che è concavo appare convesso e
viceversa. È basata sulla forma del cubo la serie di sculture composte di quattro lastre quadrate di
vetro colorato appoggiate su supporti di legno; opere che omaggiano, oltre al solido platonico, la
celebre scultura di Richard Serra House of Cards (1969), formata da quattro lastre quadrate di
piombo che si sostengono a vicenda. Infine, il cubo, associato al cerchio, ritorna in un ciclo di
piccole sculture di ottone e bacchette di vetro colorato che hanno l’aspetto di modelli architettonici.
La loro eleganti variazioni di forma e colore possono far pensare tanto alla logica formale di un altro
artista minimalista, Sol LeWitt, quanto alle architetture fantastiche sognate da Paul Scheerbart
(Architettura di vetro, 1914). Ognuna di esse, come un gioiello o uno strumento di precisione, è
contenuta in una scatola di legno realizzata su misura che, una volta aperta, funge anche da
piedistallo.
Occupa una posizione a parte una coppia di opere in vetro soffiato, una sorta di oggetto a forma di
clessidra e uno a tronco di cono. Sono forme che intendono evocare le polarità del maschile e del
femminile, l’uomo e la donna: gli abitanti simbolici di questi cosmi impossibili.
La mostra sara’ accompagnata da un video realizzato dal noto regista portoghese Joao Botelho
nella fornace Gianni Seguso a Murano. Le fotografie delle opere sono di Pedro Tropa.
Le opere in vetro sono state realizzate con il sostegno di COTISSE associazione culturale senza
scopo di lucro costituitasi a Venezia nel 2011. L’associazione promuove e diffonde la conoscenza
del patrimonio artistico, tecnologico ed umano costituitosi in funzione della lavorazione del vetro
soffiato a Murano.
Contemporaneamente a Venezia. l’artista espone da Gregor Podnar a Berlino.
Alcune opere provenienti da Terra Platonica saranno esposte alla personale di settembre alla
Verrière della fondazione Hermès a Bruxelles.
Si ringrazia:
Formia, Scuola del Vetro Abate Zanetti e Roberto Finotto, Gianni Seguso, Effetre International,
Paolo Cenedese, Pietro e Riccardo Ferro, João Pinote Wood Prototypes Cascais, Damiano e Leo
de Mattia, Pieve di Livinallongo,Belluno. Serafim Machado and NSF Laser Cut, Lisbon, Jorge
Bastos printmaking Studio, Lisbon, e, in particolare, il Centro Vittore Branca della Fondazione Cini,
San Giorgio, Venezia per l’ospitalità all’artista.
Opening 30 maggio ore 21.00 / 24.00
Caterina Tognon
Palazzo da Ponte in calle del Dose
(Campo San Maurizio) San Marco 2746 30124 Venezia
Orario: martedi’ - sabato 10-13 / 15-19.30