Nelle fotografie l'Ophelia shakespeariana non appare, ma la sua presenza e' una suggestione che basta citare perche' affiori alla mente degli osservatori l'immagine di un legame impossibile e destinato a fallire.
a cura di Marco Izzolino
Un oggetto di plastica, accartocciato, che galleggia o si lascia affondare sulla superficie di uno specchio d'acqua su cui si riflettono i rami di alberi nei pressi.
Un'immagine che rappresenta un legame impossibile, per la materia stessa di cui sono costituiti gli elementi coinvolti, liquidi o solidi.
Se quell'oggetto di plastica fosse un fiore, naturale, assimilerebbe sempre più acqua fino a disciogliersi completamente. Ma quell'oggetto, che pure appare come un fiore, è stato plasmato dall'uomo, artificialmente, e mai potrà legarsi alla materia naturale che lo circonda (o che appare tale).
Il legame esteriore, estetico, che si instaura tra le parti - la plastica è l'unico elemento dai vividi colori nel contesto di una sbiadita, terrea colorazione naturale - resta dunque l'unica forma di relazione possibile.
L'artista esalta allora questo connubio costruendo una immagine in cui ogni elemento, compreso il titolo, rimanda a qualcosa d'altro, il naturale all'artificiale e l'artificiale al naturale: la plastica crea l'immagine di un fiore così come i riflessi degli alberi sull'acqua rimandano ad una superficie di un liquido inquinante (l'artista usa in realtà proprio dei liquidi inquinanti, che il colore e il riflesso degli alberi fanno interpretare come soggetti naturali).
Il titolo, Ophelia, è stato scelto dall'artista per caricare le proprie immagini d'ulteriori suggestioni simboliche che apparentemente sembrano non manifestare.
L'eroina shakespeariana dell'Amleto è la metafora del legame impossibile, per propria stessa natura, combattuta com'è tra l'amore per il principe e i doveri di obbedienza verso il padre che la sua educazione le impone.
Ma Ophelia è anche un soggetto molto amato dai pittori romantici e preraffaelliti. John Everett Millais la dipinge in un celebre quadro che è tra i più famosi della Tate Gallery: la giovane donna è ritratta mentre si lascia coscientemente affogare, abbandonando lentamente il proprio corpo alla superficie dell'acqua. Il suo viso, bellissimo, e la sua veste, preziosa, appaiono come "fiori" tra i fiori veri che circondano il ruscello in cui la giovane è immersa.
Nelle fotografie di Biermann, la Ophelia shakespeariana non appare, ma la sua presenza è evidente: è un ricordo, una suggestione, che basta citare, perché affiori alla mente degli osservatori l'immagine di un legame impossibile e destinato a fallire. Ciò che è umano resterà umano, ciò che è naturale resterà tale. Da Shakespeare a Millais, a Biermann, vi è un filo conduttore che ci racconta di come ciò che è frutto dell'agire dell'uomo a volte si spinge troppo oltre perché possa considerasi parte dell'ordine naturale delle cose. Biermann ce lo racconta non con la poesia, non con la pittura, ma con immagini fotografiche che riproducono forme e colori di ascendenza Pop.
A Capri questo progetto sembra caricarsi di un ulteriore significato, mostrato in un luogo dove la Natura, che per secoli è vissuta in armonia con ciò che qui è stato prodotto da coloro che vi hanno abitato, oggi corre il rischio di essere schiacciata dalle esigenze del turismo e dalle mode internazionali che conducono sull'isola oggetti e modelli di vita che non sono nati qui e non appartengono a questi luoghi. In questa mostra di Capri, così, diventa tanto più urgente sottolineare il fatto che i sacchetti di plastica sono in realtà fotografati in un vassoio con olio motore. L'artista utilizza questo tipo di olio come simbolo di mobilità (che implica diffusione e mutazione) e le buste di plastica come simbolo della società del consumo.
Marco Izzolino
Inaugurazione martedì 11 giugno ore 18.30
White room Capri
via Vittorio Emanuele, 56 - Capri (NA)
Ingresso libero