Museo Carandente Arti Visive - Palazzo Collicola
Spoleto (PG)
piazza Collicola, 1
0743 46434 FAX 0743 46434
WEB
Gianfranco Chiavacci / Giuliano Corelli / Giuseppe Ripa
dal 28/6/2013 al 28/9/2013
10-13 e 14.30-17, chiuso il martedi'

Segnalato da

Meri Marini




 
calendario eventi  :: 




28/6/2013

Gianfranco Chiavacci / Giuliano Corelli / Giuseppe Ripa

Museo Carandente Arti Visive - Palazzo Collicola, Spoleto (PG)

Binaria: un focus sulla ricerca pittorica di Chiavacci, coerentemente dedicata al tema della Binarieta'. Un artista per riflettere sui legami tra immagine e tecnologia, scienza e composizione visiva. Le 9 sculture di Corelli raccontano gli spazi di apparente normalita' e i confini di normale ambiguita' dell'uomo contemporaneo. Ripa presenta invece "In un certo senso una mostra antologica".


comunicato stampa

Giuseppe Ripa

In un certo senso una mostra antologica

a cura di Italo Bergantini e Gianluca Marziani

Continua l’indagine di Palazzo Collicola Arti Visive nel mondo della fotografia contemporanea. Il Piano Nobile ospita oggi una mostra di Giuseppe Ripa, artista italiano di matura esperienza sul campo instabile del Pianeta, autore di sette momenti seriali caratterizzati da una parallela linea editoriale con il marchio Charta. Il progetto di Spoleto avrà il suo focus sui cicli americani Moondance e Liminal, esposti, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura, rispettivamente alla Leica Gallery di New York e all’Italian Embassy di Washington per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Una terza sezione verrà dedicata alla nuova serie dal titolo Seaside. L’ultima sezione riguarderà i precedenti cicli Anima Mundi, Tibet, Memorie di pietra, Lightly, Aquarium, evocati in mostra attraverso gli omonimi artbooks (editi da Charta) e uno slide-show con i lavori non esposti nelle altre sale. Prima sala: Moondance… la realtà dei luoghi contemporanei in una metafisica da science-fiction, tra sospensioni liminali e nomadismi dell’occhio interiore.

La vita reale si trasforma in una fantasy dentro l’apparenza, a conferma di uno sguardo “lunare” che determina la chiave risolutiva dietro un’immagine fotografica. Seconda sala: Liminal… New York secondo l’occhio fluido di Ripa, un viaggio nel bianconero che veste il dinamismo urbano, l’architettura e l’inaspettato, i corpi mobili e i feticci metropolitani. Le stesure estetiche scorrono ai confini dell’astrattismo, in un flusso elettrico e fantasmatico tra realtà e rappresentazione. Terza sala Seaside… qui siamo davanti al mare, sulla sabbia che accoglie frammenti vagabondi e disarticolati. Assistiamo alle nature che ancora respirano, ai brandelli che il pianeta acquatico ci restituisce dopo la sua vorace bulimia biologica. E’ la natura morta che torna a morire per rinascere. Quarta sala: 7 artbooks (Charta) e slideshow sui lavori non esposti… il mondo degli acquari, la Nuova Fiera a Milano e le rovine di Angkor, il misterioso Tibet, le nature possenti alla ricerca dell’anima mundi, diversi momenti per una coda espositiva che è raccordo e riassunto narrativo, visione dentro la visione in una sorta di montaggio interiore. Giuseppe Ripa si affida alla coerenza elegante del suo bianconero, modulato con ampie scale di tonalità intermedie, così da evocare le chiavi sensoriali attraverso la natura mutante della luce. La sua fotografia, evitando le gabbie rigide del timbro univoco, si muove come un ciclo acquatico che si stratifica sul reale e imprime contrasti, annebbiamenti, distorsioni, fluidità semantiche. Una soglia tra visibile e plausibile, un dinamismo ritmico che aderisce simbioticamente ai cicli della Natura. La coscienza autoriale parla di uno sguardo ora liquido ora gassoso, fluido come fonte acquatica, aereo come nuvole in scorrimento.

Anche la grana stilistica si lega agli elementi della Terra, in una simbiosi riuscita tra significati ed estetica. E’ la luce a dettare le regole del gioco ed esprimere il codice della forma, l’ambiguità tra reale e immaginario. Una luce che è l’embrione dell’immagine, una luce inspiegabile e quasi incosciente, intrisa di notte e lampi ancestrali. Ripa porta la fotografia ai suoi archetipi, ad una purezza universale che riparte dalla pura luminosità, da una luce originaria poiché astratta, soggettiva, retinica. Sembra dirci che non contano realmente i luoghi specifici ma l’occhio, l’approccio conoscitivo, la disposizione emotiva: e tutto questo significa fotografare l’immagine con l’immaginazione, ricordando che non esiste la realtà ma solo una molteplicità di interpretazioni del vero. a cura di Italo Bergantini e Gianluca Marziani

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Gianfranco Chiavacci

Binaria

A cura di Piergiorgio Fornello e Gianluca Marziani
In collaborazione con Aldo Iori

Cinquant’anni di ricerca tra pensiero e linguaggio
Leggere il mondo partendo dalla tecnologia
Dipingere con una logica binaria
Quando la teoria diventa soluzione

Gianfranco Chiavacci (Pistoia, 1936-2011) è stato un maestro della sperimentazione veggente, un ricercatore sfrenato che per cinquant'anni ha lavorato sui codici iconografici e sui temi concettuali dietro l’approccio scientifico, concentrando i maggiori sforzi tra fotografia e pittura. Palazzo Collicola Arti Visive presenta un focus esclusivo sulla sua ricerca pittorica, coerentemente dedicata al tema della BINARIETA’. Un artista per riflettere sui legami tra immagine e tecnologia, scienza e composizione visiva, materiali e percezione. Una lezione che si riverbera sul presente, dimostrando la limpida qualità di una ricerca archetipica dalle molteplici chiavi teoriche.

Gianfranco Chiavacci ha sempre abitato e lavorato in Toscana. Autodidatta, ha creato le prime opere dalla seconda metà degli anni ’50. Verso il 1962 iniziò a frequentare i corsi IBM per programmatore di elaboratori elettronici. A livello locale ha avuto un lungo rapporto di amicizia e collaborazione con l'artista Fernando Melani. A Firenze ha frequentato l'ambiente della Galleria Numero di Fiamma Vigo, luogo di rilevanti dibattiti sui temi della sperimentazione. In questo periodo avvenne lo scatto dell'interazione tra ricerca artistica e teoria attorno alla programmazione sugli elaboratori elettronici. Dal 1963 iniziò il suo viaggio nella pura ricerca…

Ha scritto Aldo Iori: “L’opera di Gianfranco Chiavacci è frutto di cinquant’anni di serio lavoro artistico condotto con costanza e tenacia intorno a nodi cruciali del linguaggio e del pensiero contemporaneo. Le opere prodotte sono moltissime, a tutt’oggi quasi duemila e spaziano dalla pittura, realizzata con eterogenee tecniche classiche e sperimentali, a opere tridimensionali vicine alla scultura, da sperimentazioni materiche a indagini fotografiche, da piccoli libretti a diffusione limitata a episodi classificabili come mail-art.”

Chiavacci ha stabilito alcune coordinate per l'invenzione autentica. Secondo lui bisognava eliminare il riferimento al sé pensante in un indecifrabile solipsismo o al sé storicizzato; di contro era necessario alimentare le conoscenze positive che trasformano il mondo e l'uomo in esso. In questa formula è la BINARIETA' (la logica a due stati, da non confondere con la dualità o il dualismo) che diviene tecnica-processo per creare e indagare il mondo formale attinente alla bidimensionalità. Si tratta di valutazioni radicali che nascevano nei primi anni Sessanta: a lunga distanza possiamo confermare l’intuizione dell’artista toscano rispetto ad un futuro che avrebbe ragionato sempre più con una logica binaria.

Chiavacci: “…Un lavoro in cui ci fosse il massimo delle modificazioni possibili con una sintassi rigida, precalcolata. Così al bit elettronico si sostituisce il bit spaziale. Certo successivamente il lavoro si complica, forzando i limiti di questa regola, si auto genera. Io adotto anche delle auto provocazioni, cambio completamente registro pur rimanendo nel quadro generale dell’elaborazione binaria, però poi amplio, dilato anche questo concetto. Tutte le opere sono legate da un filo invisibile…”

Aldo Iori: “…l’opera diviene il frutto di una mediazione tra il pensiero e il reale attraverso la contaminazione di differenti ambiti non immediatamente sovrapponibili. Essa si arricchisce in una tolleranza che permette l’abbandono di radicalismi, ideologici o dettati da interessi esasperati, che l’arte del Novecento spesso possiede, senza mai comunque perdere di vista il percorso intrapreso…”

In parallelo alla ricca produzione di opere, Chiavacci ha dedicato ampio spazio all’approccio teorico, alla diffusione dei presupposti che muovevano le azioni pittoriche e fotografiche. Ha scritto diversi testi analitici, fornendoli e inviandoli per posta alle persone che potevano apprezzarne il valore. Ha anche elaborato libretti tra la funzione teorica e l’atto creativo. Per lui era fondamentale la comunicazione nel sistema dell’opera, anche qui anticipando l’approccio odierno di molti artisti.

La mostra di Spoleto fa parte di un doppio progetto espositivo: dopo la tappa estiva sulla pittura, sarà Palazzo Fabroni (Pistoia, primavera 2014) a dedicare un’ampia antologica all’opera fotografica di Chiavacci.

In occasione della mostra a Spoleto, verrà ristampato il catalogo sull’opera pittorica (a cura di Aldo Iori, Settegiorni Editore), uscito nel 2007 in occasione della mostra a Pistoia (Palazzo Comunale, Palazzo Azzolini).

Una parte del ricavato derivante dalla vendite delle opere sarà devoluto a sostegno del progetto “Campi pedagogico-ricreativi”, realizzato dalla Fondazione Un Raggio di Luce Onlus di Pistoia, mirante a favorire lo sviluppo cognitivo e rafforzare le competenze, le capacità e la creatività di bambini e ragazzi del comune di Yalgo in Burkina Faso.
Per info:unraggiodiluce.org

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Giuliano Corelli

Daily Mirror

a cura di Italo Bergantini e Gianluca Marziani

PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE presenta Corpi. Feticci. Marmo di Carrara. Ritratti in scala realistica I nuovi gesti tipici dell’uomo urbano Il presente mediatico e la sua archeologia viva La scultura come foglio bianco su cui riscrivere noi stessi L’opera come specchio deformante del nostro quotidiano GIULIANO CORELLI / Daily Mirror a cura di Italo Bergantini e Gianluca Marziani

Spoleto mantiene salda la sua attenzione verso la scultura contemporanea, con un occhio particolare alla memoria dei materiali nobili e al loro cortocircuito nelle strutture dinamiche del presente. GIULIANO CORELLI (Condino, 1971) è un artista anomalo e raffinato, privo di foga espositiva, concentrato a lavorare nel suo studio dal 2007, anno in cui si è trasferito in Toscana e ha iniziato a scolpire il marmo. Da quel giorno sono nate nove grandi sculture col tipico bianco di Carrara, tutte in scala naturale, nove posizioni di vita quotidiana dei suoi uomini urbani dai lineamenti contemporanei e catalizzanti.

Ecco a voi i nuovi gesti tipici: guardare la televisione, parlare al cellulare, scrivere su un laptop, riprendere con una videocamera, versare benzina da una tanica, indossare occhiali da sole, un asciugamano o una borsa a tracolla… unica fuoriuscita dal volto/corpo anonimo è il lavoro dedicato a Roberto Saviano, una sorta di epilogo narrativo con un simbolo del nostro tempo mediatico. Impeccabile e vorticosa la perfezione tecnica delle opere, quasi ipnotiche nel gioco di rimandi specchiati tra scultura e spettatore. Mentre le guardi entri in automatica sintonia con uno o più gesti, senti come il bianco sia un ideale foglio su cui stai scrivendo il tuo nome e le tue predilezioni, capisci che lo spunto canoviano ti porta oltre la metafora, nel gioco figurativo del realismo interiore, tra concetti che si calibrano attorno alle merci, al culto feticistico, ai temi del narcisismo, del possesso, dell’apparire. Opere che hanno una loro tattilità neoclassica, una dimensione estetica che capta i perimetri del reale e le proietta fuori dal tempo, rendendole un implicito archetipo archeologico, una pagina narrativa sul presente condiviso. Significativi, in tal senso, il pezzo sul Made in Italy e l’altro con l’asciugamano a mo’ di bandiera tricolore: doppio richiamo ad una dimensione geografica che in realtà proietta le sculture verso una sociologia globale, verso quel consumismo diffuso che ha reso l’Italia un marchio da imitare. Da qui Corelli elabora una necessaria critica al sistema sociale, alle deformazioni dietro quel termine, “bellezza”, così contaminato da subire una riflessione chirurgica. Palazzo Collicola Arti Visive ospita nove sculture che raccontano gli spazi di apparente normalità e i confini di normale ambiguità dell’uomo contemporaneo.

Nove visioni che, tramite posture e azioni catartiche, ribaltano la staticità del manichino e implicano una lettura morale, un codice etico che prende il monumentalismo per ricondurlo al vissuto quotidiano, proprio come accadeva ieri con George Segal e oggi con Charles Ray. Non è casuale la scelta di Saviano, simbolo di una certa Italia che sottolinea valori dispersi e stigmatizza la sottocultura del malaffare, dell’ignoranza, della volgarità dilagante. La presenza dello scrittore ribadisce un DNA italico che avvolge l’intero progetto, sorta di azione centripeta in cui Corelli analizza i significati metaforici e le chiavi simboliche del suo sguardo sulla società, sui desideri, sul senso dell’individuo. E sulle nuove vie di una certa scultura, intrisa di memoria ma con la sostenibile intelligenza dell’essere (contemporanea).

Opening: sabato 29 giugno 2013 ore 12:00 Gianfranco Chiavacci, alle ore 15 Giuliano Corelli
Preview stampa: sabato 29 giugno 2013 ore 11:00

Palazzo Collicola Arti Visive – Museo Carandente (2° piano)
piazza Collicola, 1, Spoleto
Orari 10.00/13.00 – 14.30/17.00
Biglietto: intero - € 4.00 ridotto A - € 3.00 (dai 15 ai 25 , oltre 65 anni e oltre 15 persone) ridotto B - € 1.50 (dai 7 ai 14 anni) omaggio (fino a 6 anni) Residenti - fino 14 anni gratuito, da 15anni e oltre € 1,50

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