Biografia in ritratti. Mostra collettiva. Per Marini il ritratto era una sorta di provocazione e confronto: mettersi in posa era un gioco, un modo di disfarsi della maschera imposta dagli estranei per rivelarsi.
a cura di Fabio Norcini
Opere di Bueno, Chiesi, Fallani, Faraoni, Funi, Gatto, Maccari, Moretti, Reggiani, Rosai, Scatizzi, Vacchi
Un vezzo, quello di farsi ritrarre dai pittori, che potrebbe essere equivocato quale aspetto di personalità megalomane o, peggio, tacciato di narcisismo. Non è certo il caso di Marini, “l’uomo più ritrattato d’Italia”, come amava definirsi non senza ironia. Per lui era una sorta di provocazione e confronto: mettersi in posa era un gioco, un modo di disfarsi della maschera imposta dagli estranei per rivelarsi. Si potrebbe quindi ricostruire la sua biografia attraverso i ritratti: si contano a centinaia le istantanee pittoriche che lo raffigurano sui supporti più diversi, degli artisti più distanti. Ma ognuno segna una tappa della sua intensa esistenza e di riflesso quella dell’Indiano, la galleria che è stata un’esperienza unica a-e per Firenze alla quale erano legati non solo i pittori più autentici di quel “naturalismo” che è la cifra più autentica della tradizione fiorentina (da Faraoni, Loffredo, Scatizzi), ma anche i pop romani (il trio Lescano, come lui chiamava Festa, Angeli e Schifano, che per primo fece esporre a Firenze), i Vacchi, Treccani, Chiesi. Ma anche Berti, Guidi, Puliti, Mirko, Guttuso, Zancanaro, Reggiani, gli ispanoamericani Caballero, Smyhe, Penarette, e maestri europei quali Hamilton o Schumacher, eccetera.
Forse un resoconto analitico dell’intensa attività, che è stata fatta in svariate tesi di laurea, darebbe misura della necessità di storicizzare L’Indiano; la galassia di intelligenze che vi operavano (da Rafael Alberti, Macrì, Guillen, Landolfi, Parronchi, Luzi, Bodini, Bigongiari, Sylvano Bussotti, Betocchi, Agostino Lombardo, Ferruccio Masini fino a Baldacci, tanto per fare alcuni nomi) basterebbe a far capire che la cultura si poteva fare anche fuori dai palazzi e dai caffè per tutta la seconda metà del Novecento e oltre. Marini diede vita, a fianco della galleria, ad un vivace “Bollettino”, a un Premio, ad una serie di memorabili mostre-omaggio, con cataloghi divenuti preziosi, con scelte coraggiose (presentazioni di poeti e non di critici) dibattiti infuocati, concerti, mostre portate al conservatorio e in palestre (e lo sport a Palazzo Strozzi).
Tutto questo traspare sul suo volto, tratteggiato dalla matita di Rosai (uno dei primi) o inciso da Maccari, impastato da Chiesi o polarizzato da Moretti, esaltato da Scatizzi o scarabocchiato a biro da Alfonso Gatto. Un discorso a parte meriterebbero le “radiografie” di Fallani (suo anche l’ultimo, drammatico e spietato, quasi autoritratto, finito l’inverno scorso) e Faraoni, autore di una vera e propria “epopea marinica” che comprende decine di ritratti, compresi anche nudi, alcuni “fuori formato”, denominati Il ritorno dell’eroe. Proprio il rapporto privilegiato tra Marini e Faraoni, un’amicizia durata oltre sessant’anni, fa capire la concezione e il significato che il ritratto aveva per Paolo: complicità con il “ritrattatore” al quale poteva abbandonarsi quale materia di arte. Non per immortalarsi, casomai per immolarsi.
Inaugurazione 10 luglio ore 18
Studio Rosai
via Toscanella, 18 - Firenze
mar-sab 15.30-19.30 o su appuntamento