Glasgow. Processo di trasformazione della citta' - 1969. Il lavoro di Basilico attraversa senza fatica i mondi della fotografia documentaria e di quella "artistica", dell'architettura, dell'urbanistica, del paesaggio, dell'arte in generale.
a cura di Giovanna Calvenzi
presentazione di Pippo Ciorra
Like a rolling stone
Da Milano, ritratti di fabbriche in poi il lavoro di Gabriele Basilico
è un patrimonio collettivo che incontriamo quotidianamente.
Rappresenta senza dubbio uno dei fondamenti della nostra cultura
visiva e attraversa senza fatica i mondi della fotografia documentaria
e di quella “artistica”, dell’architettura, dell’urbanistica, del
paesaggio, dell’arte in generale. Quando poi ci si ritrova in
consessi maggiormente “addetti ai lavori”, si ricorre volentieri agli
indimenticabili dittici con le impronte di sedie (Contact, 1978), che
servono a smentire allo stesso tempo il disinteresse di Basilico per
la figura umana e per la piccola scala del design. Oppure, più spesso
nel mio caso, si recuperano le spettacolari immagini di quella specie
di Quinto Stato che è il Parco Lambro (1976), che è un progetto in
grado di aiutarci a trovare molte tessere chiave del mosaico
basilichiano: la natura politica del suo lavoro, il legame con Milano
e la sua cultura artistica, l’attrazione per la plastica dei corpi –
qui addirittura in massa – quando diventano essi stessi dispositivi
sui quali si riflettono l’immagine e la storia di una città. Questa
serie Glasgow. Processo di trasformazione della città invece non si
vede mai. Nell’aprire i file ho provato sorpresa e un po’ di vergogna
per il fatto di non conoscere (o almeno non ricordare) queste
fotografie, di molto precedenti, scattate da un autore appena
venticinquenne, immagino ancora molto coinvolto nei suoi studi di
architettura. Nelle foto ci sono davvero un sacco di cose: il senso
tragico e “di rovina” che ancora permeava le città che avevano subito
bombardamenti pesanti durante la seconda guerra mondiale; la
disinvoltura mod con la quale gli abitanti più giovani si muovevano
con indifferenza tra quelle rovine, calamitati verso un futuro che
speravano diverso; la forza delle infrastrutture, discrete nella
vecchia versione “rotaia del tram”, per la quale Basilico abbassa il
punto di vista quasi a terra, e ben più invasive e arroganti,
oscuranti, nel caso dei nuovi viadotti.
Come sarà poi nelle foto del Parco Lambro e in qualche altra
occasione, l’autore sembra attribuire un valore particolare alla
presenza dei bambini, come fossero attori più naturali e veloci di
altri della scena urbana, interpreti perfetti di quella incerta
trasformazione cominciata col dopoguerra e ancora in atto che Gabriele
si è dedicato a raccontare per tutta la vita. I piccoli abitanti di
Glasgow trasformano con indifferenza in spazio da gioco le rovine di
un quartiere, la serranda di un negozio atavicamente chiuso, un
marciapiede o un viadotto. Sanno by heart che ogni angolo di spazio
urbano ha un uso alternativo che loro individuano rapidamente, e
sfruttano fino in fondo a fini “sociali”. Già sulla soglia tra
architettura e fotografia, Basilico individua il carattere di una
città colta “alla sprovvista”, nell’atto di passare dalla prima alla
seconda metà del secolo – e quindi da una cultura urbana a un’altra -
e la racconta sovrapponendo alla resa sapiente degli spazi e degli
edifici la presenza delle persone, che si muovono veloci in uno spazio
lento, che abitano già la Glasgow successiva. Siamo in Inghilterra
alla fine degli anni ’60, non c’è resistenza al futuro, non c’è
nostalgia, e le crepe nella fiducia nella modernità sono ancora
visibili a pochi. Tutt’altra cosa rispetto a quello che accade in un
lavoro praticamente coevo e legato da mille fili all’opera di
Basilico, quello di Paolo Monti su Bologna. Che viene svuotata,
allestita, messa in scena, proprio per spettacolarizzare una sfiducia
già consolidata nei confronti della cultura spaziale moderna,
giudicata inadeguata e incapace di dialogare con il patrimonio
storico. Rispetto al quale non si può che adottare un atteggiamento di
protezione (“salvaguardia”). Basilico raccoglie l’eredità di Monti e
la capovolge completamente, ibridandola con quella dei Becher, dei
fotografi americani e francesi, della tradizione pittorica italiana, e
trasformandola infine in una macchina per monumentalizzare tutto ciò
che monumento non è: le fabbriche milanesi, i paesaggi marginali e
incompiuti, i palazzi crivellati di Beirut, le brutte torri di
Shangai. Mettendo insieme la sapienza nello scegliere le visioni
ravvicinate (i blow up) della trasformazione delle città (in questo
caso di Glasgow) e la naturalezza nel ridefinire i criteri estetici
dello spazio urbano Basilico ci ha insegnato non solo a comprendere ma
a vivere le città del nostro tempo.
Pippo Ciorra
luglio 2013
Gabriele Basilico nasce a Milano nel 1944. Dopo la laurea in
architettura (1973), si dedica con continuità alla fotografia. La
forma e l’identità delle città, lo sviluppo delle metropoli, i
mutamenti in atto nel paesaggio postindustriale sono da sempre i suoi
ambiti di ricerca privilegiati. Considerato uno dei maestri della
fotografia contemporanea, è stato insignito di molti premi, e le sue
opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private
italiane e internazionali.
“Milano ritratti di fabbriche” (1978-80), è il primo lungo lavoro che
ha come soggetto la periferia industriale e corrisponde alla sua prima
mostra presentata in un museo (1983, PAC, Milano).
Nel 1984-85 con il progetto “Bord de mer” partecipa, unico italiano,
alla Mission Photographique de la DATAR, il grande incarico
governativo affidato a un gruppo internazionale di fotografi con
l’obiettivo di documentare le trasformazioni del paesaggio francese.
Nel 1991 partecipa, con altri fotografi internazionali, a una missione
a Beirut, città devastata da una guerra civile durata 15 anni.
Da allora, Gabriele Basilico ha prodotto e partecipato a numerosissimi
progetti di documentazione in Italia e all’estero, che hanno generato
mostre e libri, tra i quali “Porti di mare” (1990), “L’esperienza dei
luoghi” (1994), “Italy, cross sections of a country” (1998),
“Interrupted City” (1999), “Cityscapes” (1999), “Berlino” (2000),
“Scattered City” (2005), “Appunti di viaggio” (2006),
“Intercity” (2007).
Tra i lavori recenti, “Roma 2007”, “Silicon Valley” (2008, su incarico
del San Francisco Museum of Modern Art), “Mosca Verticale”, indagine
sul paesaggio urbano di Mosca, ripresa nel 2010 dalla sommità delle
sette “Torri Staliniane”, “Istanbul 05.010”, Shanghai 2010, Beirut
2011, Rio 2011.
Partecipa alla XIII Mostra Internazionale di Architettura della
Biennale di Venezia (2012) con il progetto “Common Pavilions”, su
progetto di Adele Re Rebaudengo e realizzato in collaborazione con
Diener & Diener Architekten, Basilea.
Gabriele Basilico ha intrecciato la sua instancabile indagine
fotografica sulla morfologia e le trasformazioni della città e del
paesaggio contemporaneo con attività seminariali, lezioni, conferenze,
e riflessioni presentate anche con testi scritti.
Gabriele Basilico muore a Milano il 13 febbraio 2013.
L'associazione culturale Spazio Lavì! è a Sarnano, in via Roma 8, in
una vecchia bottega all'interno di un palazzo antico, la cui
proprietaria si chiamava Lavinia.
Spazio Lavì! promuove la conoscenza dell'arte contemporanea intesa
come comprensione della società multiculturale nelle sue relazioni con
i luoghi di vita e con l'ambiente; e come mezzo di rappresentazione
critica del paesaggio, scena privilegiata del complesso rapporto
esistente tra le persone, da un lato, la tradizione e il cambiamento,
dall'altro. Sarnano è un centro storico posto a 539 m.s.l.m.,
nell'area del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Il paesaggio
marchigiano, denso di panorami di grande bellezza, famoso per la
dolcezza dei rilievi e per la persistenza delle sue forme rurali, si
confronta sempre più spesso con modificazioni radicali, sulla costa e
lungo le principali vie di penetrazione verso l'Appennino. Spazio
Lavì! si propone di realizzare un programma espositivo capace di
generare incontri tra pratiche artistiche diverse – fumetto,
fotografia, disegno, video – e organizza seminari, incontri con gli
artisti e convegni; promuove attività di formazione; realizza e
diffonde pubblicazioni e materiale visivo e audiovisivo.
Spazio Lavì! è aperto come sede espositiva in luglio-agosto, dicembre-
gennaio, durante le festività pasquali; negli altri periodi dell'anno,
su appuntamento.
Ufficio stampa:
servizixarte servizixarte@gmail.com
Con il patrocinio di:
Provincia di Macerata, Accademia di Belle Arti di Macerata, Comunità Montana dei Monti Azzurri e Comune di Sarnano.
Inaugurazione 3 agosto 2013, ore 18.30
Spazio Lavì!
via Roma 8, 62028 Sarnano (MC)
tutti i giorni dalle 17,30 alle 19,30 o su appuntamento