'L'artista nel suo atelier. 1900-1950'. Ogni opera e' stata scelta perche' potesse 'parlarci', dicendoci con la lingua dei simboli e delle immagini non tanto chi e' l'artista, ma come l'artista si vede e si considera, in una lettura trasversale della migliore arte della prima meta' del Novecento.
L'artista nel suo atelier
1900 - 1950
Dal 30 ottobre 2003 all'8 febbraio 2004 a Torino, a Palazzo Cavour (via Cavour 8), verrà allestita la mostra 'L'Officina del mago - L'artista nel suo atelier. 1900-1950', organizzata dalla Regione Piemonte.
Ideata per Palazzo Cavour da Maurizio Fagiolo dell'Arco, che da tempo rifletteva intorno al tema dell'artista nel luogo fisico e mentale della creazione, la mostra avrebbe dovuto essere curata a quattro mani da lui e da Ada Masoero. Dopo la sua scomparsa prematura, nel maggio del 2002, questo che è stato il suo ultimo progetto viene ora realizzato in sua memoria dalla Regione Piemonte, con la cura di Ada Masoero e la collaborazione di Beatrice Marconi e Flavia Matitti, che hanno lungamente lavorato al suo fianco.
"L'Officina del Mago" è dunque l'atelier dell'artista, 'lo spazio sacro e profano della creazione - come scrisse nel suo progetto - quel luogo creativo nel quale si presentano le apparizioni e i miraggi, si evoca la musa e la famiglia'.
Per illustrare questo tema denso di simboli e intessuto di seduzioni intellettuali, Maurizio Fagiolo dell'Arco aveva scelto la prima metà del Novecento, la stagione che insieme al Seicento (è stato uno dei massimi studiosi del Bernini e della cultura barocca romana) occupava tutto il suo impegno di studioso.
Il titolo rende omaggio al dipinto che è stato scelto sin dall'inizio come immagine-simbolo della mostra, quella Casa del Mago di Fortunato Depero in cui l'artista si ritrae insieme alla moglie nella 'Casa d'Arte' in cui i due, dipingendo e disegnando lui, lei tessendo arazzi, impunturando tarsìe di panno, ricamando, inventavano un nuovo mondo, rivoluzionato dai principi del Futurismo.
Tutt'intorno si dispongono gli artisti che nel corso della prima metà del Novecento hanno voluto ritrarsi nel luogo della creazione, in quella 'bottega' piena di sortilegi in cui l'arte prende corpo e forma: lo studio dunque come microcosmo abitato dal solo artista (Giuseppe Pellizza da Volpedo, nell'Autoritratto degli Uffizi, unica opera dell'estremo Ottocento; Giorgio de Chirico nello studio di Parigi, della Gnam di Roma; Francesco Trombadori, Primo Conti, Gianfilippo Usellini), oppure come luogo deserto di presenze (le Maschere di Felice Casorati, della Pinacoteca Civica di Alessandria, ma anche i dipinti di Giovanni Colacicchi, Italo Cremona, Orazio Amato...) o ancora, come nel caso del capolavoro di Felice Casorati proveniente dalle Civiche Raccolte milanesi, abitato dal solo riflesso dell'artista nello specchio, in un gioco allusivo di presenza e di assenza.
Altri hanno voluto ritrarre anche la loro 'musa', che per taluni, come per Giacomo Balla e Ferruccio Ferrazzi, si identifica con la famiglia, per altri, come per Mario Tozzi (Le Bonnet basque della Banca Toscana) o per il dipinto di Trombadori che giunge dalla Galleria Civica di Palermo è invece la modella (o il modello, come nel caso di Filippo de Pisis). In altri casi l'artista ha voluto accompagnare la propria figura a un simbolo, che di volta in volta allude alla malattia (la 'melanconia' del giovane, aggrondato Mario Sironi, il disagio di Ottone Rosai, il letto di Carlo Levi), oppure a una compagna mai ripudiata (che lo porterà alla morte) come la sigaretta di Renato Guttuso nell'Autoritratto della Galleria Civica di Palermo. Per altri invece la compagnia è quella della morte tout court (Fausto Pirandello nel minuscolo Autoritratto con il teschio). C'è poi chi allude alla cultura come compagna assidua di vita (Francesco Menzio, ma anche Pellizza da Volpedo che si ritrae orgogliosamente davanti alla libreria dello studio d'artista) e chi ritiene ineludibile la lezione della classicità (il Sironi novecentista, che si autoritrae più volte in veste di architetto fra architetture vitruviane e solidi platonici).
Ad alcuni di loro (le grandi passioni di Maurizio Fagiolo dell'Arco) è stata dedicata una sala monografica: sono Giacomo Balla, gioiosamente intento a ritrarsi lungo l'intera vita, da solo o con la moglie e le figlie; Giorgio de Chirico, presente con autoritratti che sono autentici capolavori tramati di simboli (accanto a lui ci sono di volta in volta l'onnipresente madre, un busto classico; la 'propria ombra' oppure è lui stesso a trasformarsi in un Ulisse in riva al mare o a farsi statua) e la coppia Mario Mafai e Antonietta Raphaël, di cui la mostra ricostruisce in una grande sala lo studio romano, esponendo i loro autoritratti, i reciproci ritratti e dipinti in cui compaiono gli stessi oggetti che la generosità delle figlie (Simona, Miriam, e Giulia, scenografa, a cui si deve l'allestimento della sala-studio dei genitori) sono messi qui a confronto con la reinterpretazione poetica che loro ne diedero.
Ogni opera dunque è stata scelta perché potesse 'parlarci', dicendoci con la lingua dei simboli e delle immagini non tanto chi è l'artista, ma come l'artista si vede e si considera, in una lettura trasversale della migliore arte della prima metà del Novecento.
A cura di: Ada Masoero, con la collaborazione di Beatrice Marconi e Flavia Matitti
Progetto dell'allestimento a cura di: Arch. Massimo Venegoni - Studio Dedalo
Catalogo: Edizioni Skira - Milano
Organizzazione: Regione Piemonte - Assessorato alla Cultura
Inaugurazione: giovedì 30 ottobre 2003
Orari: martedì - domenica ore 10.00-19.30 / giovedì ore 10.00-22.00. Chiuso lunedì
Ingresso: euro 6.20 intero - euro 4.20 ridotto - euro 2.50 ridotto speciale
Informazioni: Via Cavour 8, Torino - tel. 011 530690 fax 011 531117
Ufficio stampa: Stilema (Roberta Canevari - Ilaria Gai)
Via Cavour 8, Torino, tel. 011 5624259 fax 011534409
Luogo: Torino, Palazzo Cavour - Via Cavour 8