La nuova selezione di opere esposte nella grande vetrina della galleria giapponese presenta un gran numero di ventagli dipinti che offrono una significativa panoramica della pittura giapponese su questo particolare supporto tra la fine del XVIII e l'inizio del XX secolo.
Questa nuova
rotazione presenta esclusivamente un gran numero di ventagli dipinti che offrono una
significativa panoramica della pittura giapponese su questo particolare supporto tra
la fine del XVIII e l’inizio del XX secolo.
Si ritiene che il ventaglio pieghevole a stecche (ogi) sia stato inventato in
Giappone prima del periodo Heian (794-1185), e si sia diffuso poi in Corea e Cina
secondo il percorso inverso rispetto a gran parte degli elementi culturali che
l’arcipelago ha invece recepito dal continente. In seguito, nel XVI secolo, i
portoghesi introdussero il ventaglio pieghevole in Occidente e la sua diffusione
divenne mondiale.
Tra le opere esposte ricordiamo un ventaglio raffigurante un ramo di forsizia,
delineato a inchiostro bruno e colore di tonalità giallo ocra da Tani Buncho
(1763-1840). Attivo a Edo, Buncho (la cui firma con sigillo compare a destra in alto
nella composizione) è stato uno degli artisti giapponesi più influenti tra il XVIII
e il XIX secolo. Dotato di grande abilità tecnica, riusciva a destreggiarsi con
diversi stili pittorici, oltre ad avere innate qualità per l’insegnamento e grandi
conoscenze della pittura antica, sia cinese sia giapponese. Dopo avere studiato con
diverse personalità, entrò nelle grazie di Matsudaira Sadanobu (1758-1829), reggente
dello shogun, su commissione del quale compilò il celebre Shuko jussho (“Dieci
varietà di antichità da collezionare”) pubblicato nel 1800, nel quale compaiono suoi
disegni raffiguranti le moltissime opere antiche che aveva avuto modo di vedere nel
corso di un viaggio lungo tutto il Giappone.
Un altro interessante ventaglio esposto è quello raffigurante un gallo e una gallina
appollaiati su un tamburo da guerra parzialmente ricoperto di piante rampicanti,
datato 1820-1830. Tale motivo ricorre frequentemente nelle arti del Giappone a
significare un’era di pace, durante la quale il simbolo delle battaglie perde la sua
funzione originaria e, dismesso, diventa dimora per gli animali da cortile. In
questo caso il soggetto sembra implicare anche un augurio di armonia e prosperità a
livello coniugale, come si addice per esempio ad un dono per l’Anno Nuovo. L’autore
della composizione è un esponente della scuola Kano, la tradizione pittorica più
longeva del Giappone: risale al XV secolo e i suoi epigoni si manifestano ancora
agli inizi del ‘900. Pur nella sua intrinseca eterogeneità, una caratteristica
saliente della scuola nei secoli è la felice mediazione tra l’austera tradizione
dello stile cinese e il decorativismo tipico del gusto nipponico.
Ufficio Stampa: Daniela Matteu - Tanja Gentilini tel. 011 4429523
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MAO – Museo d’arte Orientale
Via San Domenico 11 - 10122 Torino
Da martedì a domenica: ore 10-18
Chiuso il lunedì.
La biglietteria chiude un'ora prima.
Ingresso: intero € 10 – ridotto € 8 – gratuito ragazzi fino ai 18 anni