Centro Culturale Aldo Moro
Cordenons (PN)
via Traversagna, 4
0434 932725 FAX
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Fabio Pasotti
dal 11/10/2013 al 30/10/2013
lun, merc, ven e sab ore 16-19

Segnalato da

Associazione MediaNaonis



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Fabio Pasotti



 
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11/10/2013

Fabio Pasotti

Centro Culturale Aldo Moro, Cordenons (PN)

Spazio disponibile. Nella produzione del pittore convergono due attivita' agli antipodi: la progettazione computerizzata di parti meccaniche e l'atto di disegnare sovrappensiero.


comunicato stampa

Il gesto per noi, non sarà più un momento fermato dal dinamismo universale; sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale.
Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido…

da: La Pittura Futurista – Manifesto Tecnico, 1910
(in Umbro Apollonio, Futurismo, Mazzotta ed., Milano 1976, p. 55)

New York, New York, il jazz, lo skyline della Grande Mela, il dinamismo futurista, l’ultimo Mondrian, quello dei boogie-woogie, i segni a forchetta di Capogrossi e i colori acidi di Keith Haring…

Viene in mente di tutto, di fronte ai quadri di Fabio Pasotti, e non solo perché il suo lavoro e lui hanno già oltrepassato l’oceano; non solo e non tanto perché alcuni riferimenti, nonostante l’ancora breve cammino artistico, sono effettivamente leggibili, anche se digeriti e assimilati fino a farli diventare parte del proprio personale immaginario; quanto perché il suo lavoro sprigiona una potente energia interna, una forza liberatoria dirompente che ricorda, anche se non imita, altri episodi di simile forza visiva, restando comunque originale e irriducibile a modelli.

Piuttosto, l’origine del linguaggio di Pasotti va cercata, per un verso, nel suo lavoro, la progettazione computerizzata di parti meccaniche; per un altro nell’atto di disegnare soprapensiero, negli sghiribizzi che l’artista traccia proprio nei momenti di massima concentrazione al computer. Due attitudini diametralmente opposte e complementari, il massimo della ratio e il massimo del caos; la forma calcolata e l’automatismo inconscio, al quale risalgono i due tipi di gesto-segno generatori di tutto il resto: quello di avvolgere forme circolari e potenzialmente infinite (cerchi, molle, curve…) e quello di circoscrivere, limitare, parcellizzare il bianco con segmenti lineari, ottenendo piani chiusi e spigolosi.

Ne nasce un alfabeto visivo di cui la caratteristica primaria è la natura meccanica: potrebbero essere, questi segni, parti di macchinari, ingranaggi, basi per schede elettroniche, o anche pezzetti del lego o del meccano; però questi elementi costruttivi… non costruiscono nulla, non si assemblano; sembrano invece “de-costruire” e liberarsi in un disordine apparente che, in alcune tele, diventa dinamismo incontenibile. Come se il “meccanismo” fosse stato investito da un’esplosione che “spara” i frammenti ai quattro angoli della tela e imprime alla composizione un gioioso moto centrifugo; come in un processo di fissione nucleare che slega e scinde le parti per produrre energia: segni che girano su se stessi, colori puri, basati su contrasti energici, decisi, un turbinio esuberante di forme nello spazio, che non è vuoto ma diventa forma esso stesso, in un continuo scambio di ruoli tra dentro e fuori, forma e sfondo. Anche se in realtà il quadro – mi raccontava Fabio – staziona almeno un mese in salotto, finché questo carosello di elementi non trova il suo punto di equilibrio.

Un equilibrio precario, certo, e dinamico, ma equilibrio, in cui si sente che arriva, per qualche via – dovuta alla sensibilità più che alla formazione, visto che Pasotti non ha compiuto studi artistici – l’effetto di una ormai secolare tradizione d’astrazione, che ha un suo punto nodale nell’informale del dopoguerra e in alcune ricerche, come per esempio Capogrossi, che nella novità del linguaggio ritrovano la possibilità di una classica armonia. A questo humus si aggiungono però i fertili contributi del pop, del graffitismo, del visual design degli ambienti informatici, di certo tecnologismo. Il tutto a dare corpo a una nuova possibilità d’astrazione, che si connota come postmoderna e postindustriale, a un linguaggio in cui il meccanico deflagra nella liberazione dell’inconscio e la pittura si riappropria di uno “spazio disponibile” – il titolo allude agli spazi dei cartelloni pubblicitari ai margini delle strade, rimasti liberi perchè inutili e obsoleti in un’epoca di comunicazione multimediale – che diventa il luogo della libertà, dell’espressione più intima, della felicità creativa.
Chiara Tavella

Inaugurazione 12 ottobre ore 18

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