1/9 Unosunove Arte Contemporanea
Roma
via degli Specchi, 20 (Palazzo Santacroce)
06 97613696 FAX 06 97613810
WEB
Jonathan VanDyke
dal 15/10/2013 al 28/11/2013
mar-ven 11-19; sab 15-19

Segnalato da

1/9 Unosunove Arte Contemporanea



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Jonathan VanDyke



 
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15/10/2013

Jonathan VanDyke

1/9 Unosunove Arte Contemporanea, Roma

VanDyke prende in prestito il titolo da un breve documentario girato da Antonioni nel 1948, Oltre l'oblio, e lo trasfoma in filo conduttore dei suoi nuovi lavori: dipinti, sculture, fotografie e video.


comunicato stampa

----- english below

Il personaggio…deve guardare altrove per capire, nel vuoto.*
Michelangelo Antonioni

Nelle parole e nei film di Michelangelo Antonioni è spesso evocato il tema dello sguardo rivolto nel vuoto, nel nulla che gradualmente e con fatica si rivela pieno di significato. In occasione della sua prima mostra personale in Italia, Jonathan VanDyke prende in prestito il titolo da un breve documentario girato da Antonioni nel 1948, Oltre l’oblio, in riferimento a questo processo evolutivo nella ricerca di significato che ci conduce “oltre l’oblio”, un motivo che fa da filo conduttore nei nuovi lavori di VanDyke, i dipinti, le sculture, le fotografie, e il video.

Una serie di fotografie in bianco e nero raffigura due performer, i danzatori Bradley Teal e David Rafael Botana, avvolti e mascherati da mantelli. Resi ciechi e immersi nell’oscurità dell’oblio dai cappucci che coprono le loro teste, i due, che sono anche una coppia, si vedono mentre l’uno cerca l’altro protendendo le braccia, nel tentativo di raggiungersi. I loro gesti promanano un senso di desiderio, di passione, di perdita, e insieme di scoperta rivelatrice. Questa azione di “discesa nell’oscurità” è rispecchiata anche nelle fotografie di VanDyke che, adottando il procedimento di stampa tradizionale, lascia emergere l’immagine sulla pagina bianca nelle fasi di sviluppo all’interno della camera oscura. Anche le tele di VanDyke subiscono un trattamento simile: inizialmente vengono utilizzate come superfici per le performances di Ellis e Botana, che, secondo precisa indicazione di VanDyke stesso, si muovono senza guardare mai a terra mentre la pittura gocciola dalle loro vesti, e sulle tele si accumulano macchie, gocce, striature che tracciano l’azione e l’interazione dei corpi e delle stoffe, mentre lo sguardo è rivolto altrove.

In Oltre l’oblio VanDyke propone un’esperienza spaziale e temporale in cui le opere subiscono una lenta ma continua trasformazione, che coinvolge anche lo spettatore che entra in contatto con esse. Nella prima sala VanDyke ha creato una struttura di valore al contempo scultoreo, architettonico e pittorico, una recinzione di legno aperta, che cela e insieme rivela il suo interno ed il suo esterno a chi guarda, come attraverso delle aperture. Camminandovi intorno e attraverso si possono vedere fronte e retro di sei dipinti e di sei fotografie sistemati all’interno e all’esterno del recinto. I pattern geometrici, che nelle fotografie decorano i vestiti da arlecchino dei performers, mentre nei dipinti si trasformano e si accumulano, riecheggiano l’aspetto di mattoni, sbarre di prigione, muri.

Alludendo ora ai tessuti, ora all’architettura o all’arte Moderna, pattern geometrici e reticoli invadono le fotografie, le sculture e il video, completando la mostra nella seconda sala della galleria. Le sculture di VanDyke, relazionandosi al corpo umano in termini di dimensioni e proporzioni, lasciano cadere gocce di vernice densa che si solidifica e si accumula sul pavimento in pozze colorate. La stessa vernice torna ancora su stoffa, tele e corpi nel video di VanDyke, palcoscenico di incontri performativi, scultorei e pittorici all’apice della sensualità e dell’ipnosi, mentre di fondo si sente il fruscio di un ventilatore, come nella scena iniziale del film di Antonioni L’Eclisse. Centrale sia nel lavoro fotografico che nel video, l’attenzione con cui VanDyke indaga le diverse possibilità insite nell’atto del dirigere e dell’interpretare, la relazione che intercorre tra il documentario (“la vita reale”) e il cinematografico (“la vita messa in scena”). Come potrebbe prender forma il terreno di confine, lo spazio vuoto che separa realtà e finzione?

Per VanDyke il titolo Oltre l’oblio “risuona attraverso i lavori.. immagino che si può andare “oltre l’oblio” attraverso l’accecamento (le maschere indossate negli scatti fotografici), scalando un muro (i muri creati dai dipinti), esplorando la rigidità e il mistero del nostro corpo (sensualità, sesso, malessere fisico, risveglio spirituale), attraverso l’arte (la pittura dell’Espressionismo Astratto e l’idea di mutevolezza e di sublime) attraverso l’abbattimento degli schemi (quelli da cui siamo condizionati così in profondità da non averne più coscienza). Poi c’è la vernice che goccia senza sosta dalle sculture cadendo nel vuoto". Materialmente, concettualmente, e metaforicamente, VanDyke riflette sul concetto di oblio, uno spazio vuoto, un nulla, attraverso cui tuttavia il pensiero, la vista e l’azione potrebbero infine trovare pieno significato. Davvero allora, il campo vuoto non è vuoto ma pieno.

* Michelangelo Antonioni, A volte si fissa un punto, Catania, Il Girasole, 1992, p. 26.
Lisa Hayes Williams


Jonathan VanDyke vive e lavora a New York. Nel 2005 si è laureato in Scultura presso il Bard College, ha poi frequentato la Skowhegan School nel 2008 e l’Atlantic Center for the Arts nel 2007, dove ha seguito le lezioni dell’artista Paul Pfeiffer. Tra le mostre personali più recenti si possono ricordare The Long Glance presso la Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, With One Hand Between us, tenutasi in occasione di Performa 2011, New York City, e The Painter of the Hole, presso Scaramouche, NY, 2013. Nel Dicembre del 2011 ha creato una nuova performance e una installazione su commissione del The Power Plant di Toronto nel contesto della mostra Coming After. La lunga performance Cordoned Area è stata presentata presso la National Academy Museum, New York (2013), la Vox Populi, Philadephia (2012) e il Socrates Sculpture Park, New York (2011). VanDyke ha partecipato a numerose mostre collettive, presso gallerie e diverse istituzioni come: Islip Art Museum, Y Gallery, On Stellar Rays, Columbia University, PS122 (New York); Museum of Fine Arts, Tallahassee; Luis de Jesus, Los Angeles; Rutgers University, University of Nevada, Texas State University, University of Wolverhampton, UK; Exile Gallery, Berlino.

----- English

Il personaggio…deve guardare altrove per capire, nel vuoto.
(The character…must look elsewhere to understand, into emptiness.)*
Michelangelo Antonioni

A recurring theme invoked in the words and films of Michelangelo Antonioni is the search or gaze into an empty space, which gradually and with effort becomes full of understanding and significance. In his first solo-exhibition in Italy, Jonathan VanDyke borrows the title of Antonioni’s 1948 documentary short, Oltre l'oblio, in reference to this transformative process of looking or traveling “over the oblivion,” a notion that persists throughout VanDyke’s new paintings, sculptures, photographs, and video.

A series of black and white photographs depicts two performers, dancers Bradley Teal Ellis and David Rafael Botana, cloaked and masked. Blinded and immersed in dark oblivion by their head coverings, the two, who are also a couple, are seen reaching out in search for the other and eventually making contact. Permeating their actions and gestures is a mood of desire, longing, loss, as well as the revelation of discovery. Mirroring these acts of “going into the dark” is VanDyke’s use of a now anachronistic photographic process, in which the photographic image emerges upon an empty page only after entering the dark room. Even VanDyke’s paintings receive similar treatment: initially serving as grounds for performances by Ellis and Botana, who are instructed by VanDyke “not to look at the canvas” while paint drips from their clothing, the canvases amass stains, drips, and smears that index the actions and interactions of bodies and materials made while sight is averted elsewhere.

In Oltre l'oblio, VanDyke presents a spatial and temporal experience in which his works, and one’s engagement with them, gradually but continuously change. Within the first gallery, VanDyke has constructed an apparatus that shifts from sculptural, to architectural, to painterly armature, an open wooden enclosure that simultaneously obstructs and reveals its interior and exterior to the viewer, as if through apertures. Circling outside the enclosure, one can see the front and back of six paintings installed within, and six photographs hanging without. Migrating throughout the photographs and paintings are geometric patterns that in the photographs appear in the performers’ harlequinesque habits, and in the paintings, transform and accumulate as if bricks, prison bars, or walls.

Alluding to textiles, architecture, or Modern art, geometric patterns and grids circulate throughout the second gallery in photographs, sculptures, and video. VanDyke’s sculptures, which possess a bodily relationality in size and scale, emit drips of viscous paint that harden and accumulate upon the floor in chromatic pools. The same paint reappears on fabric, canvas, and bodies in VanDyke’s video, a sensual and mesmerizing culmination of painterly, sculptural, performative, and cinematic encounters set against the sound of the whirring fan that marks the opening of Antonioni’s L’Eclisse. Central to VanDyke’s photographic and video works is an interest in degrees of control, choreography, or chance within direction and performance, and the relationship between documentary (i.e. “real life”) and the cinematic (“performed life”). How might the threshold or void between the real and the performed be articulated or materialized?

VanDyke describes the title Over the Oblivion as “resonating through the works…I imagine one goes “over the oblivion” through blindness (wearing masks in the photo shoot), by scaling a wall (the “walls” created by the paintings), through the rigors and mysteries of the body (sexuality, sex, disease, spiritual awakening), through art (Abstract Expressionist painting and the idea of the transformative or sublime), through the disruption of patterns (especially those patterns that surround us so much that we don’t even see them). And there's the paint dripping endlessly out of the sculptures and into the void.” Materially, conceptually, and metaphorically, VanDyke reflects upon oblivion, an emptiness or void, which through thought, vision, and action might ultimately become full. Indeed, il campo vuoto non è vuoto ma pieno.

* Michelangelo Antonioni, A volte si fissa un punto, Catania, Il Girasole, 1992, p. 26.
Lisa Hayes Williams


Jonathan VanDyke is a visual artist based in New York City. VanDyke received an MFA in Sculpture from Bard College in 2005, attended the Skowhegan School in 2008, and in 2007 attended the Atlantic Center for the Arts, where he was mentored by the artist Paul Pfeiffer. Recent solo projects include The Long Glance at the Albright-Knox Art Gallery in Buffalo, With One Hand Between Us, part of Performa 2011, New York City, and The Painter of the Hole, at Scaramouche, NY, 2013. In December 2011 he mounted a new performance and installation, commissioned by The Power Plant in Toronto as part of their exhibition Coming After. His durational performance work Cordoned Area has appared at The National Academy Museum, New York (2013), Vox Populi, Philadelphia (2012), and Socrates Sculpture Park, New York (2011). His work has appeared in group exhibitions at the Islip Art Museum, Y Gallery, On Stellar Rays, Columbia University, and PS122, all in New York; the Museum of Fine Arts, Tallahassee; Luis de Jesus, Los Angeles; Rutgers University, University of Nevada, Texas State University, and University of Wolverhampton, England; and Exile Gallery, Berlin, among others.

Inaugurazione Mercoledì 16 Ottobre 2013 ore 19

1/9unosunove
arte contemporanea
Via degli specchi, 20 Roma
Orari d’apertura: Martedì – Venerdì 11:00-19:00; Sabato 15:00-19:00 (o su appuntamento)
Ingresso libero

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