Giacomo Pozzi-Bellini
Guido Guidi
Alberto Martini
Aldo Rossi
Claudia Tinazzi
Federica Nurchis
Giulia Lambertini
Carlotta Crosera
Casa Testori si fa in quattro e, fedele alla propria mission, affida le sue stanze a quattro giovani curatrici, chiamate a trasformare la propria tesi di laurea o dottorato in una mostra. Le mostre approfondiscono la carriera artistica di Giacomo Pozzi-Bellini, Guido Guidi, Alberto Martini, Aldo Rossi.
L'Associazione Giovanni Testori mette alla prova Casa Testori con un progetto
innovativo e mai tentato in Italia. La grande casa dell'intellettuale verrà infatti
divisa in quattro spazi definiti, affidati a quattro giovani studiose chiamate a
trasformare la propria tesi di laurea o dottorato in una mostra. Nasce così "4
curatrici per 4 maestri", un format innovativo in cui l'Associazione Testori, il suo
staff e il suo comitato scientifico mettono a disposizione la propria esperienza
perché quattro studi destinati a rimanere in un cassetto o comunque confinati in
ambiti specialistici, possano trovare la meritata visibilità pubblica.
Le quattro esposizioni, infatti, costituiscono la traduzione in mostra di
altrettanti temi di grande importanza approfonditi dalle giovani curatrici nella
loro tesi: dall'idea di abitare del grande architetto Aldo Rossi, alla figura del
critico Alberto Martini, responsabile della rivoluzione cultural-artistica degli
anni Sessanta: i Maestri del Colore, fino a due grandi fotografi: Guido Guidi che ha
fotografato tutta la vita le opere di Guido Scarpa e Giacomo Pozzi-Bellini,
fotografo amato dagli artisti e dagli attori della Roma degli anni Sessanta.
Le istituzioni pubbliche e i grandi spazi espositivi privati spesso non possono
permettersi di dare voce e visibilità a progetti di giovani curatori, seppur
caratterizzati da grande scientificità, ritenendo insostenibile l'organizzazione di
esposizioni del genere, per gli standard e i budget a cui sono tenuti. Sono infatti
sempre più rare le sedi pubbliche disposte a rischiare le proprie risorse in mostre
nate da nuovi studi ed acquisizioni scientifiche e, comprensibilmente, quando questo
avviene, l'istituzione si affida a curatori di chiara fama, escludendo giovani e
talentuosi studiosi pronti ad offrire il risultato delle proprie ricerche ad un
grande pubblico.
Anche quando il giovane studioso ha la possibilità di pubblicare un lungo saggio in
una rivista specializzata, ciò limita notevolmente la divulgazione del proprio
studio e delle proprie scoperte, indirizzandole ad un gruppo di studiosi del
settore. Del resto, non avendo esperienza nel campo espositivo, in particolar modo
rispetto alla fruizione delle mostre e alle aspettative del pubblico, il giovane ha
bisogno di essere indirizzato perché possa capire come tradurre un interessante
studio in una mostra di facile comprensione pubblica e appetibile per chi deve
comunicarne i contenuti.
Casa Testori, dalla collocazione periferica e strategica insieme, al termine di un
percorso formativo presenta quindi il lavoro di quattro giovani studiose,
selezionate dal proprio comitato scientifico tra le più importanti università
milanesi.
ALDO ROSSI. L'idea di abitare
a cura di Claudia Tinazzi (Verona, 1981), Politecnico di Milano.
La mostra affronta il tema della definizione dello spazio dell'abitare in alcuni
progetti dell'architetto Aldo Rossi (1931-1997), nel cui lavoro viene riconosciuta
la necessità dell'architettura di ritrovare una dimensione collettiva all'interno
del mondo privato della casa, una dimensione che ancora oggi, sola, può dare qualità
e ricchezza agli spazi dell'intimità domestica.
I progetti di case di Aldo Rossi sembrano ricercare sempre, con misure e caratteri
differenti, l'equilibrio, il limite, in qualche modo la soglia tra lo spazio
pubblico e lo spazio privato, tra collettività e singolarità o ancora meglio tra le
relazioni umane e l'intimità domestica del singolo. Per Rossi la casa è il luogo
dove con più evidenza si stabilisce il legame fra l'architettura e la vita,
l'umanità, i sentimenti, le emozioni; una vita permeata, nella sua ricchezza, di
aspetti individuali e collettivi, limpidamente riflessi nelle architetture.
L'architetto milanese in tutto il suo lavoro, lo dimostrano i progetti e gli
scritti, è stato capace di tradurre la poesia della vita nelle forme delle
architetture, soprattutto in quelle domestiche dell'abitare. Il racconto di questa
ritrovata, elementare ma profonda "idea di abitare" viene esposta in mostra
attraverso alcuni progetti che meglio sottolineano l'equilibrio tra la razionalità
delle forme dell'architettura, la poesia e la capacità di immaginazione. Ogni stanza
affronta un progetto o un tema sotteso che si è scelto di dimostrare attraverso
quaderni e disegni originali, ricostruzioni ideali, modelli tridimensionali
appositamente realizzati e, quando possibile, immagini d'autore del costruito. Il
visitatore potrà contare sulle fotografie di Gabriele Basilico e Luigi Ghirri,
nonché materiale originale proveniente dalla Fondazione Aldo Rossi e dal DAM
(Deutsches Architektur Museum) di Francoforte.
Il progetto del quartiere al Gallaratese, unico edificio costruito in mostra,
racconta e sintetizza nella completezza di ogni fase, da quella ideativa all'aspetto
costruttivo, il senso della ricerca che si potrebbe e vorrebbe estendere a tutti i
progetti di case di Rossi. Da una parte la grande strada-portico che da sola
costruisce l'immagine iconica dell'edificio oltre che il suo luogo collettivo e,
dall'altra, al di sopra di questa, singole case che nella loro razionale
distribuzione stanno in equilibrio tra città e natura. A seguire, quasi come un
controcanto, i progetti, i disegni, le riflessioni in cui maggiormente emerge
l'aspetto ideale dell'abitare sono esposti nella loro capacità di mostrarsi come
archetipi dell'idea di abitare, un modo felice di vivere spiazzante ma altrettanto
profondo nel significato più generale: il progetto per la Casa dello studente a
Chieti, le Cabine dell'Elba come unità minima dell'abitare, il Teatro domestico e la
Casa Abbandonata quasi come un unico progetto raccontano questa sospensione tra
realtà, razionalità e la rappresentazione della vita.
Claudia Tinazzi (Verona, 1981), Scuola di Architettura Civile, Politecnico di Milano.
Mostra tratta dalla tesi di dottorato in Composizione Architettonica: Aldo Rossi,
realtà e immaginazione. La casa, espressione di civiltà - IUAV, Venezia, 2011
ALBERTO MARTINI. Un rivoluzionario a fascicoli
a cura di Federica Nurchis (Bergamo, 1984), Università degli Studi di Milano.
Per
quanto gli estremi anagrafici siano tanto ravvicinati (1931-1965), non è facile
condensare l'esperienza dello storico dell'arte Alberto Martini: editoria periodica,
mostre, radio e televisione sono solo alcuni dei mezzi utilizzati per esprimere i
propri interessi storico artistici che, spaziando dall'antichità al Novecento, seppe
trasmettere in un'emblematica unità tra cura scientifica e divulgazione artistica.
Nato in provincia di Mantova, ma presto trasferitosi a Ravenna, Martini inizia il
proprio percorso critico come allievo di Roberto Longhi, con cui si laurea nel 1954,
grazie a una tesi su un pittore complesso ed eccentrico come il fiorentino
Bartolomeo della Gatta (1448-1502). Trasferitosi a Milano nel 1958 in cerca di
maggiori opportunità lavorative, approda nel capoluogo lombardo in un momento di
straordinaria apertura culturale e di boom economico, in cui poter procedere a passo
sostenuto, con un'operosità frenetica e qualificata. È lui, infatti, la mente che,
alla Fratelli Fabbri Editori, sta dietro alla straordinaria avventura de I Maestri
del Colore, i celebri fascicoli settimanali che invasero a milioni le case degli
italiani negli anni Sessanta. Della fitta costellazione di conoscenze ascrivibili al
giovane storico dell'arte, l'esposizione dà conto grazie a una sorta di mappa
scandita a mo' di quadreria, nella quale si affastellano carteggi e fotografie
provenienti dall'archivio Martini, filmati, articoli di giornale, opere già di
proprietà dello studioso e una selezione di disegni, incisioni, sculture e dipinti
donatigli dagli amici artisti (Ottone Rosai, Mino Maccari, Renato Guttuso, Carlo
Carrà, Gianfranco Ferroni, Emilio Tadini, Luciano Minguzzi.).
Uno spazio a sé, guadagna invece uno straordinario dipinto di Mattia Moreni,
proveniente dalla collezione di Roberto Pagnani, posto a rappresentare gli artisti
conosciuti a Ravenna negli anni della giovinezza e il rapporto con due importanti
collezionisti della cittadina come appunto Pagnani e Guido Rosetti, della cui
raccolta sarà presente una tra le diverse opere di Rosai acquistate grazie al
giovane critico. Quale episodio determinante della variegata strada di divulgazione
artistica intrapresa da Martini, in mostra sarà possibile vedere un raro e prezioso
documentario realizzato dal critico nel 1959 per la RAI, dedicato a Medardo Rosso,
girato all'interno del Museo di Barzio, affiancato da un cospicuo numero di grandi
stampe fotografiche utilizzate per le riprese, dal copione dattiloscritto, nonché da
un saggio inedito di Martini, intitolato: Medardo Rosso, tra scapigliatura e
impressionismo. La particolare attenzione critica riservata allo scultore verrà
infine documentata dall'esposizione di un dipinto, una Natura morta, che Martini
attribuì allo stesso Rosso, aprendo il caso critico di un Medardo pittore a olio. Il
cuore della mostra è riservato al "fatale" incontro tra Martini e Dino Fabbri
(1922-2001), che fece della storia dell'arte un fenomeno di "massa", non più
riservata ad un'elite colta ma distribuita in edicola, senza rinunciare a un alto
livello scientifico e uno straordinario apparato fotografico a colori, realizzato ad
hoc anche grazie a diversi viaggi compiuti dallo stesso Martini per musei e
collezioni in Europa, America e Asia. In chiusura, lettere e saggi inediti, disegni
originali, nonché splendide fotografie, danno conto dell'amicizia che Alberto
Martini ebbe con Giorgio Morandi e Alberto Giacometti.
Federica Nurchis (Bergamo, 1984), Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli
Studi di Milano.
Mostra tratta dalla tesi di dottorato in Storia del Patrimonio Archeologico e
Artistico: Alberto Martini (1931-1965): da Longhi ai Maestri del Colore, Università
degli Studi, Torino, 2012
GUIDO GUIDI. Il mio Carlo Scarpa
a cura di Giulia Lambertini (Reggio Emilia,
1983), Università Cattolica di Milano.
«Cercavo di fare le fotografie con cura, avendo in mente l'architettura: volevo
essere preciso, esatto, per portarmi a casa quello che avevo visto».
In tanti si sono avvicinati all'opera dell'architetto Carlo Scarpa (1906-1978)
utilizzando la fotografia. Tra questi Guido Guidi (1941) è colui che più di tutti ha
saputo raccontare, attraverso il suo sguardo, la complessa opera dell'architetto
veneziano. Dall'inizio degli anni Sessanta, infatti, in un percorso conoscitivo che
ad oggi non è ancora terminato, Guidi avvicina con la sua macchina fotografica
l'opera architettonica del suo primo e più importante maestro di Venezia.
Lo scopo che si prefigge la mostra è di raccontare questa storia con gli scatti
realizzati in quasi 50 anni d'attività, per ripercorrere i passi del fotografo
all'interno delle architetture di Carlo Scarpa e cercare di comprendere i numerosi
punti di contatto tra i due artisti, l'affinità che si è creata tra due importati
protagonisti del Novecento che si sono parlati una sola volta durante la loro vita.
Il percorso si apre con le fotografie in bianco e nero realizzate nel 1964 con una
piccola macchina 6x6: fotografie che hanno il sapore degli appunti presi e raccolti
quando, ancora giovane studente, Guidi cercava di assimilare gli insegnamenti del
suo maestro, Carlo Scarpa, facendo attenzione ai dettagli, guardando "come sono
fatti i muri, la carpenteria, le assi di legno, i chiodi." delle sue opere
veneziane, come l'Aula Manlio Capitolo del Tribunale di Venezia, il Negozio Olivetti
di Piazza San Marco e la Fondazione Querini Stampalia. Seguono gli scatti
realizzati, a partire dal 1996, per l'esposizione canadese Carlo Scarpa Architect:
intervening with History (1999) in cui Guidi ci accompagna alla scoperta dei tre
importanti musei allestiti dall'architetto: la Gipsoteca Canoviana di Possagno, il
palermitano Palazzo Abatellis, che conserva la celebre Annunciata di Antonello da
Messina, e il Museo di Castelvecchio di Verona: uno degli allestimenti museali più
ammirati e copiati del mondo. Sarà l'occasione per vedere a confronto le foto
originali e ricche di appunti autografi di Guidi, conservate al CISA (Centro
Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio) di Vicenza con alcuni
disegni originali di Carlo Scarpa, conservati al Museo di Castelvecchio di Verona,
per cogliere come l'indagine di Guidi insegua la struttura architettonica alla
ricerca della sua genesi creativa. Infine, la mostra dà spazio all'articolato lavoro
realizzato presso il Complesso Monumentale Brion di San Vito di Altivole (TV),
opera-testamento di Carlo Scarpa nella quale si condensano e prendono forma tutti i
principi cotruttivi espressi dall'architetto nel corso della sua vita. Per Guido
Guidi è l'opera della vita, il luogo in cui continuare a tornare, a distanza d'anni,
per fotografare e ritrovare il suo Carlo Scarpa.
Giulia Lambertini (Reggio Emilia, 1983), Facoltà di Lettere e Filosofia, Università
Cattolica di Milano.
Mostra tratta dalla tesi di laurea in Storia della Critica d'Arte: Mezzogiorno
circa. Guido Guidi: fotografia e architettura, Università Cattolica, Milano,
2010/2011
GIACOMO POZZI-BELLINI. Un fotografo tra arte e vita
a cura di Carlotta Crosera
(Vigevano, 1980), Università degli Studi di Milano.
Quella di Giacomo Pozzi-Bellini (1907-1990) è una storia per immagini che si propone
di far scoprire, o riscoprire, il lavoro di un grande fotografo e regista di
documentari del Novecento. Ripercorrendo la sua attività si potrà seguirne la
vicenda biografica, rimanendo sorpresi dalla quantità di incroci con vicende e
figure importanti del panorama culturale italiano ed europeo. Celebrato in vita per
il suo promettente talento, ma osteggiato per via del carattere polemico e
burrascoso, Pozzi-Bellini è stato ingiustamente trascurato dagli studi più recenti,
e di lui, dopo la sua morte, ci si è quasi dimenticati; la sua fama si lega oggi
soltanto al documentario Il Pianto delle Zitelle (1939), l'unica testimonianza della
sua attività come regista, che si potrà vedere in mostra nella versione originale
(senza i tagli imposti al tempo dalla censura fascista) e mai distribuita in Italia.
Il film gli valse il primo premio alla Mostra del Cinema di Venezia, e ancora oggi è
oggetto di culto tra i cinéphiles, che, a partire da Michelangelo Antonioni, vi
hanno visto un antesignano del cinema neorealista del dopoguerra. Da questa breve
esperienza del cinema documentario ha origine anche la straordinaria serie di
fotografie siciliane esposte in mostra, che allarga ulteriormente lo sguardo sulla
poetica visiva di Pozzi-Bellini così come si forma negli anni intorno alla guerra,
in cui, in nuce, c'è già tutta la sua visione, sospesa tra una restituzione cruda
della realtà e una cura formale che ne trasfigura poeticamente i dettagli. Se le
fotografie siciliane raccontano il passaggio dal mestiere di regista a quello di
fotografo, nell'immediato dopoguerra la foto di scultura diventa il terreno
privilegiato degli esperimenti di Pozzi-Bellini, a partire dalla campagna
fotografica realizzata nel 1946 alla mostra della scultura pisana del Trecento,
rilevante per i suoi rapporti con le sperimentazioni che si stavano mettendo a punto
in quegli anni tra i fotografi dell'avanguardia italiana, oltre che come
testimonianza di una delle più importanti iniziative storico-artistiche del secondo
dopoguerra, anche per via delle condizioni eccezionali in cui molte delle sculture
furono fotografate.
Il mondo eterogeneo delle frequentazioni di Pozzi-Bellini, che lungo tutto l'arco
della sua vita passa con disinvoltura dalla Firenze della rivista "Solaria" e di
Roberto Longhi ai salotti degli intellettuali a Roma, dalle scorribande nel sud
della Francia con la bande a Prévèrt agli atelier degli artisti e ai set
cinematografici italiani e francesi, è forse l'aspetto della sua storia di che più
colpisce lo spettatore di oggi. Un mondo documentato in mostra grazie a una galleria
di ritratti eseguiti lungo tutto l'arco della sua attività, che raccontano una vita
di amicizie e incontri con alcuni protagonisti della storia culturale del Novecento,
tra cui: Eugenio Montale, Carlo Emilio Gadda, Vittorio De Sica, Emilio Cecchi,
Alberto Arbasino, Jean Genet, Jean Renoir.
Non mancherà infine una stanza dedicata al sodalizio con Giovanni Testori, la cui
visione delle opere d'arte, e quella della pittura in particolare, si lega
profondamente a quella di Pozzi-Bellini. Dagli articoli scritti da Testori e
illustrati dalle foto di Pozzi-Bellini per "Settimo Giorno", alla serie fotografiche
ideate per l'edizione del Memoriale ai Milanesi di Carlo Borromeo curata da Testori,
fino all'inedita sequenza di ritratti dello scrittore, verrà offerta al visitatore
un'ulteriore lettura dello sguardo del fotografo sull'opera d'arte, e della sua
partecipazione al rinnovamento della cultura visiva novecentesca.
Carlotta Crosera (Vigevano, 1980), Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli
Studi di Milano.
Mostra tratta dalla tesi di laurea in Storia dell'Arte Moderna: Giacomo
Pozzi-Bellini (1907-1990), Università degli Studi, Milano, 2009/2010
Ufficio Stampa: Maria Grazia Vernuccio tel. 335.1282864
mariagrazia.vernuccio@gmail.com
Immagine: Gabriele Basilico
Giovedì 17 ottobre vernissage stampa 10.30-17.00 | inaugurazione dalle 18.00
Casa Testori - Associazione Culturale
largo A. Testori, 13 - Novate Milanese (MI)
Gio/ven: 11.00-22.00 | sab/dom e festivi: 10.00-20.00
Giorni di chiusura: lun/mar/mer | 24-25 dicembre e 1 gennaio 2014
Ingresso libero