Sono 185 i titoli di questa 31ma edizione, di cui 70 lungometraggi opere prime e seconde, 46 anteprime mondiali, 25 anteprime internazionali, 5 anteprime europee, 62 anteprime italiane. Selezionati su circa 4000 film tra corti, medi e lungometraggi.
Riservata ad autori alla prima, seconda o terza opera, la principale sezione competitiva del
festival presenta quattordici film realizzati nel 2013, inediti in Italia; i paesi rappresentati sono
Canada, Corea del Sud, Francia, Giappone, Italia, Messico, Spagna, Stati Uniti, Thailandia e
Venezuela. Come sempre incentrato sul cinema “giovane”, il concorso si rivolge principalmente
alla ricerca e alla scoperta di talenti innovativi, che esprimano le migliori tendenze del cinema
indipendente internazionale. Nel corso degli anni sono stati premiati ai loro inizi autori come
Tsai Ming-liang, David Gordon Green, Chen Kaige, Lisandro Alonso, Pietro Marcello, Debra
Granik. Un cinema “del futuro”, rappresentativo di generi, linguaggi e tendenze.
Nel 2012, Shell di Scott Graham (Uk) ha vinto come Miglior film; Noi non siamo come James Bond
di Mario Balsamo (Italia) e Pavillion di Tim Sutton (Usa) hanno ottenuto ex æquo il Premio
speciale della giuria; Aylin Tezel per Am Himmel der Tag di Pola Beck (Germania) ha vinto il
Premio per la migliore attrice, e Huntun Batu il Premio per il miglior attore per il film Tabun
Mahabuda di Emyr ap Richard e Darhad Erdenibulag (Mongolia).
FESTA MOBILE
Santo protettore: Federico Fellini, al quale rendiamo omaggio, insieme alla Cineteca Nazionale
di Roma, Medusa Film e Cinecittà – Deluxe, con l’anteprima del primo restauro digitale di 8!.
Apertura: la commedia “matura” Last Vegas di Jon Turteltaub, dove i quattro amici Robert De
Niro, Michael Douglas, Morgan Freeman e Kevin Kline vanno nella città del gioco per un addio al
celibato (e relativo hangover) e fanno i conti con i difficili equilibri di un’amicizia che dura da
una vita.
Chiusura: il thriller Grand Piano di Eugenio Mira, dove Elijah Wood deve suonare per la propria
vita, minacciato da John Cusack, in una sorta di “Speed al pianoforte”.
Tra questi tre momenti, Festa mobile 2013 presenta come sempre (fuori concorso) il “bottino” di
film che ci sono piaciuti, raccolti in giro per il mondo e ancora inediti in Italia: dal caotico
viaggio di formazione della maldestra Greta Gerwig in Frances Ha di Noah Baumbach alla
rincorsa surreale del cantautore protagonista di Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen (due
spaccati tipicamente newyorkesi); dall’inedito, romantico, impacciato James Gandolfini di
Enough Said di Nicole Holofcener (omaggio postumo allo straordinario interprete di Tony
Soprano) ai vampiri colti, girovaghi e riservati Tilda Swinton e Tom Hiddleston di Only Lovers
Left Alive di Jim Jarmusch; dalla strana, laconica coppia di operai addetti alla segnaletica di
una strada texana di Prince Avalanche di David Gordon Green (remake del film islandese
vincitore del Tff 2011) alla solitaria lotta contro gli elementi di Robert Redford in All Is Lost di J.
C. Chandor, tutti questi personaggi hanno parlato alla nostra intelligenza, al nostro gusto, alla
nostra sensibilità.
In mezzo, una quantità di giovani autori: Nat Faxon e Jim Rash, gli sceneggiatori di Paradiso
amaro di Alexander Payne che esordiscono nella regia con il “coming of age” The Way Way Back;
l’algerina Narimane Mari, che in Loubia Hamra racconta la storia del suo paese attraverso un
travolgente gioco di ragazzi; il polacco Pawel Pawlikowski che mette in scena con rigore
doloroso la storia di Ida, giovane suora; gli americani Joe Swanberg e Chad Hartigan, che nel
logorroico Drinking Buddies e nel doloroso This Is Martin Bonner tratteggiano, con toni molto
diversi, storie di solitudini profonde, amicizie complicate, rapporti umani faticosi ma
indispensabili; il canadese Sean Garrity con l’inquietante Blood Pressure, l’indiano Anurag
Kashyap con il durissimo noir Ugly, la francese Katell Quilléveré con Suzanne, il piemontese
Paolo Mitton con The Repairman. Tra gli italiani, Piera Degli Esposti che si racconta (e “viene
raccontata”) in Tutte le storie di Piera di Peter Marcias, Alessandro Gassmann che, con
Giancarlo Scarchilli, presenta la sua riflessione su Riccardo III (Essere Riccardo... e gli altri),
Franco Battiato che, con Giuseppe Pollicelli e Mario Tani, ripercorre la sua ricerca creativa ed
esistenziale in Temporary Road.
Ritornano autori che amano (ricambiati) il Tff, come i canadesi Don McKellar e Bruce McDonald,
rispettivamente con una commedia “stile Ealing” ambientata in un villaggio di pescatori di
Terranova (The Grand Seduction) e con l’umanissimo, nevrotico dramma di un marito tradito
dalla moglie con un ragazzo minorenne (The Husband).
E, last but not least, ritorna un autore che amiamo molto, Carlo Mazzacurati, che ci fa un gran
regalo presentando proprio al Tff il suo nuovo film, La regina della neve, ancora un viaggio tra i
dropout stralunati del Nordest, una caccia a un bottino, un repertorio tenero e amarognolo di
bizzarra umanità nostrana. Grazie, Carlo.
FESTA MOBILE - EUROPOP
Quali sono i film che in Europa attraggono gli spettatori tanto da diventare fenomeni di consumo
popolare e che dunque in qualche modo ci dicono ciascuno qualcosa di profondo dello spirito del
loro Paese? Su cosa ridono gli spettatori cinematografici francesi, cos'è che fa venire i brividi a
quelli della Polonia, cos'è che fa emozionare e commuovere gli spettatori cinematografici
svedesi? Ecco a voi Europop, una sezione nuova nuova, nella quale potrebbe capitare di
imbattersi in film di grande intrattenimento che a volte vengono colpevolmente ignorati dai
festival, o che magari son destinati ad essere celebrati culturalmente solo in forma postuma,
nelle retrospettive dove si rimpiangono i bei film di una volta che facevano ridere, o piangere o
morire di paura. Credo che questa passeggiata tra le vette del box office europeo possa essere
molto istruttiva, una specie di vivace reportage sui divertimenti di massa degli abitanti dei Paesi
del nostro stesso continente, per tanti versi destinati ad influenzarsi reciprocamente, ma il cui
prodotto nazionale, sebbene di straordinario impatto sul proprio pubblico, per misteriosi motivi
legati ai meccanismi distributivi a volte fatica a superare i patrii confini. Si tratterà comunque di
un’esperienza che non può per definizione risultare noiosa, anzi, viene da garantire: sarà un
successo.
Aggiungo che è con piacere che abbiamo chiesto ad un eroe del cinema popolare italiano come
Claudio Amendola, al suo debutto come regista con un film ovviamente ancora inedito nelle
sale, di chiudere in gloria la breve ma significativa selezione di quest’anno.
AFTER HOURS
Dal vocabolario on line Treccani:
after hours - agg. e s. m. –
1.
a. Fuori orario, dopo la chiusura, e sim.: un bar, un locale after hours.
b. s. m. Festa in ore notturne; locale aperto nelle stesse ore: frequentare gli after hours.
2. Nel linguaggio del jazz, in varie locuzioni riferite all’abitudine dei musicisti di recarsi a suonare, dopo il lavoro e
quasi sempre gratuitamente, in locali notturni: un circolo, un incontro, una riunione jazzistica after-hours.
3. Nel linguaggio finanziario, con riferimento alle contrattazioni che avvengono, per via telematica, dopo l’orario
ufficiale di chiusura del mercato di borsa.
Il richiamo della Treccani al linguaggio del jazz è interessante, perché uno dei tanti titoli che
avevamo immaginato per questa sezione era stato ‘Round Midnight, cioè proiezioni che si
svolgono “intorno a mezzanotte”, ma anche il titolo di un celeberrimo brano jazz di Thelonious
Monk e del bel film che al jazz dedicò Bertrand Tavernier nel 1986. Nonostante abbiamo
rinunciato a questo titolo (perché i film non passano davvero a mezzanotte, ma intorno alle 22),
si tratta comunque di un curioso cortocircuito di idee, sensazioni e analogie.
After Hours è fatta per quei film che, per atmosfera, impianto narrativo e produttivo,
eccentricità o provocazione, un tempo, quando nelle sale esisteva il doppio programma,
venivano programmati nell’ultima fascia notturna (o nei drive in o a mezzanotte nei festival).
Spesso in odore di cult, oppure semplicemente bizzarrie per spettatori fanatici. Naturalmente,
c’erano alcuni generi privilegiati: horror, fantascienza, thriller, noir, ma anche campioni del
surrealismo, autori “notturni” e produzioni tra la serie B e la Z. Un universo che, per alcuni
decenni, si è intrecciato con quello della cinefilia più libera e spericolata. Ecco dunque un
horror “ecologico” ambientato in cima alle Alpi, Blutgletscher, diretto da Marvin Kren, il regista
di Rammbock (il primo zombie movie tedesco), e un angosciante esercizio orrifico sulla
cospirazione, The Conspiracy di Christopher MacBride; una distopica escursione “asimoviana”
nella fantascienza da camera, LFO di Antonio Tublén, e un’invasione aliena stile Ultracorpi in
quello che a prima vista pare un college movie, Plus One di Denis Iliadis; una compilation di
horror found footage, V/H/S/2, sequel del film presentato al Tff lo scorso anno, e l’omaggio a
un autore italiano che si cimentò nel genere negli anni ’70, L’etrusco uccide ancora di Armando
Crispino. Ci sono due vendicatrici: la protagonista di un durissimo thriller belga sui preti pedofili,
Au nom du fils di Vincent Lannoo (in concorso nel 2011 con Vampires), e la farmer ex prostituta
che si scatena nel western di Logan Miller Sweetwater. Ci sono poliziotti deviati e tarati, come
quelli turpi e imbroglioni di Wrong Cops di Quentin Dupieux e quelli inquietanti e violenti di Big
Bad Wolves, il film israeliano di Aharon Keshales e Navot Papushado che ha entusiasmato
Quentin Tarantino; ci sono assassini per caso, come il nervoso protagonista del cupo noir
canadese Whitewash di Emanuel Hoss-Desmarais, o per scelta, come il lucido serial killer di
Caníbal, agghiacciante percorso nella follia dello spagnolo Martín Cuenca. Poi, ci sono due
bizzarri mockumentary, popolati di personaggi svitati e imprevedibili, come Männer zeigen
Filme & Frauen ihre Brüste di Isabell Suba, che nel 2012 mandò a Cannes al suo posto un’attrice
per riprenderla durante la corvè, o come Computer Chess di Andrew Bujalski, dove si racconta
una sfida tra campioni di scacchi e computer, in uno sperduto motel all’inizio degli anni ’80.
Infine, due nomi eccellenti: il re dei folli Alejandro Jodorowsky, che in La danza de la realidad
racconta (alla sua maniera) la propria vita; e l’imprevedibile Shane Meadows, fanatico
ammiratore della band degli Stone Roses, che in The Stone Roses: Made of Stone si è messo alle
loro costole con la macchina da presa per documentare la loro riunione e l’entusiasmo dei fan.
BIG BANG TV
Jane Campion, Holly Hunter, Peter Mullan, David Fincher, Kevin Spacey, Robin Wright, Sean
Durkin, Eddie Marsan. Fino a qualche anno fa, un simile elenco di nomi poteva solo essere
associato al mondo del cinema tradizionalmente inteso; oggi è la lista delle personalità che
animano la prima edizione di Big Bang Tv, neonata sezione con la quale il Torino Film Festival
ufficializza il suo attento e non recente interesse per quello che accade nel mondo delle serie
televisive. La tv non è soltanto “la nuova letteratura”, come titolava in settembre IL,
supplemento mensile de “Il Sole 24 Ore”, ma un nuovo modo di intendere il cinema e la
narrazione audiovisiva. È il luogo dove gli spazi di messa in onda e la struttura seriale si sono
fatti catalizzatori capaci di esaltare la libertà artistica e creativa, permettendo agli autori di
andare “fuori formato” rispetto ai canoni tradizionali, di osare tematicamente e stilisticamente
come certo cinema hollywoodiano non può e non vuole più fare. Non stupisce quindi che, nelle
recenti stagioni, donne e uomini di cinema abbiano deciso di approfittare di questa libertà
cimentandosi in prodotti televisivi che, proprio grazie al loro contributo, hanno ulteriormente
arricchito un linguaggio, uno stile e di una modalità di narrazione sempre più trasversali tra
piccolo e grande schermo. Le serie selezionate dal Tff sono esempio di questo dinamismo
linguistico capace di elevatissimi risultati artistici.
Dopo la pionieristica esperienza del 1990 di Un angelo alla mia tavola, Jane Campion torna in tv
con una miniserie in sei puntate acclamata internazionalmente. Top of the Lake, girata e
ambientata nelle conturbanti location della Nuova Zelanda, parte da uno spunto “giallo”
(l’investigazione di un’agente di polizia sulla sparizione di una dodicenne incinta) per esplorare
con stile magico e misterioso un mondo fatto di comuni neofemministe, famiglie criminali,
violenze quotidiane, passati che riaffiorano, legami familiari complessi e commoventi. E la
Campion trova in Elizabeth Moss (già nel cast di serie come The West Wing e Mad Men), Peter
Mullan, Holly Hunter e David Wenham gli interpreti capaci di dare ulteriore spessore ai suoi
personaggi sfumati e mitologici.
Sono invece Kevin Spacey e Robin Wright i protagonisti della serie tv House of Cards, tratta dai
romanzi di Michael Dobbs, già adattati in precedenza della BBC. Spacey e Wright sono gli
Underwood, coppia ambiziosa e affamata di potere: lui è il leader del Partito Democratico al
Congresso degli Stati Uniti, impegnato in una complessa vendetta contro il neoeletto Presidente
che gli ha negato la nomina a Segretario di Stato promessagli; lei una moglie che lo supporta e lo
pungola ma non si nega di sfamare la sua privata bramosia. Prima produzione di Netflix, House
of Cards esalta i suoi chiaroscuri morali, il suo cinismo e la sua epica shakespeariana grazie al
talento di David Fincher, che della serie è produttore esecutivo e regista dei primi due episodi,
premiato anche con un Emmy per questa sua prima esperienza televisiva.
Alla sua prima esperienza in tv è anche il più giovane Sean Durkin, regista di quel La fuga di
Martha, presentato al Sundance, a Cannes, a Toronto. Dalla natìa America, Durkin è volato in
Inghilterra dove, per Channel 4, ha diretto una miniserie in quattro episodi scritta dal Tony
Grisoni di tanti film di Terry Gilliam e della trilogia televisiva di Red Riding. Interpretata da Sean
Harris, Rory Kinnear, Eddie Marsan e Kaya Scodelarion, Southcliffe ricostruisce in maniera
narrativamente frammentata e non lineare la storia e le conseguenze di tre sparatorie in una
piccola e immaginaria cittadina costiera del Kent, con uno stile asciutto, autunnale e raggelante
nella sua analisi minuziosa di tragedie, dolori, colpe e redenzioni.
TFFdoc
"Si può filmare solo la realtà, ma la si può anche creare." Béla Tarr
Dopo l'inatteso Leone d'Oro a Sacro GRA di Gianfranco Rosi si è scatenato un acceso dibattito su
documentario e finzione, realtà e messa in scena della realtà. Al Torino Film Festival da sempre
cerchiamo di mettere in tensione i due estremi e in particolare in TFFdoc ci piace far saltare i
confini tra i generi. Ci siamo anche chiesti quale possa essere il senso di uno spazio dedicato
esplicitamente al cinema documentario, nel momento in cui anche i grandi festival cominciano
ad abbattere gli steccati. E abbiamo deciso di rispondere con una programmazione varia, nei
temi e nelle forme, che sia capace di disegnare sugli schermi delle sale del festival la vitalità
esplosiva che il documentario ha e che può aprire nuove strade per il cinema contemporaneo.
Insomma, abbiamo messo dei paletti, ma solo per il piacere di farli saltare.
Sia nella competizione internazionale - internazionale.doc che in quella italiana italiana.doc
troverete un ventaglio di storie e di temi raccontati nei modi più diversi, spesso con un
coinvolgimento diretto del/la regista nel proprio film, a dimostrazione di come la Storia e la
Politica non siano solo accadimenti estranei a chi li narra, ma ne informino concretamente la
vita. Un altro dato interessante è la presenza in italiana.doc di un numero altissimo di
primi/secondi lungometraggi, tra l'altro di autori che arrivano al Torino Film Festival per la
prima volta: una sorta di incoraggiante ricambio generazionale!
Nello spazio fuori concorso - documenti - abbiamo cercato di individuare/creare alcuni percorsi
tematici e formali. Un posto speciale trova il focus dedicato alle tematiche coloniali e post-
coloniali. Siamo stati convinti a dedicare alcuni spazi al rimosso coloniale della storia,
soprattutto europea, perchè pensiamo sia un modo per dotarsi di strumenti fondamentali per
capire molti aspetti della contemporaneità (dalla costruzione delle identità nazionali e non, alle
questioni legate alle migrazioni). Il film che ci ha convinti a percorrere questo percorso è The
Stuart Hall Project del co-fondatore del Black Audio Film Collective e gigante del cinema
documentario, John Akomfrah, dedicato alla figura di Stuart Hall - creatore dei Cultural Studies
e uno dei teorici più acuti del nostro tempo insieme a Chomsky, Foucault, Sontag. Nel focus,
insieme a Pays Barbare, il grido lancinante che Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi levano
per squarciare il silenzio sul passato coloniale e sul presente barbarico italiano, trovano posto la
folgorante opera prima di un giovane regista filippino, Anak Araw (Albino) di Gym Lumbera, due
lavori della videoartista portoghese Filipa César, The Embassy e Cacheu, e Mille Soleils di Mati
Diop, film alla ricerca, 40 anni dopo, dei protagonisti del film culto Touki Bouki di Djibril Diop
Mabeti.
Due maestri del cinema, Claude Lanzmann e Rithy Panh, attraverso i loro ultimi film, Le Dernier
des injustes e L'Image manquante, ci pongono di fronte all'impossibilità di narrare per immagini
l'indicibilità dello sterminio e alla necessità di doverlo fare.
Infine abbiamo creato un corto circuito tra due registi tra loro apparentemente lontanissimi, ma
che speriamo possa dar vita a un gioco di sguardi e di immagini sulla possibilità del cinema di
confrontarsi con la realtà: da un lato Béla Tarr, il grande regista ungherese che ha annunciato il
suo ritiro dal cinema con The Turin Horse il film Orso d'Argento a Berlino a cui è dedicato il
documentario in programma al festival, Tarr Béla, I Used to Be a Filmmaker di Jean-Marc
Lamoure; dall'altro lato Alberto Grifi, la cui riflessione sul cinema e sul documentario continua a
essere di stimolo per i cineasti italiani e non solo, come ha dimostrato il rinnovato interesse
suscitato dalla versione restaurata di Anna il film girato tra il 1973 e il 1975 da Grifi insieme a
Massimo Sarchielli. In collaborazione con la Cineteca Nazionale e con la Galleria Alberto Peola di
Torino, mostreremo le 13 ore circa che raccolgono tutti i materiali, sia pellicola che video, che
Grifi e Sarchielli utilizzarono per produrre Anna. I due registi si incroceranno virtualmente, ma
concretamente in sala attraverso le interviste che due giovani critici e cineasti italiani, Alberto
Momo e Donatello Fumarola, hanno realizzato con loro e che sono parte di un ambizioso
progetto di creazione di un Atlante sentimentale del cinema per il XXI secolo.
ITALIANA.CORTI
Il concorso è riservato a cortometraggi italiani inediti, caratterizzati dall’autonomia e originalità
di linguaggio. La selezione di quest'anno è particolarmente significativa della volontà del festival
di considerare il corto come una forma specifica di cinema, capace di confrontarsi appieno con
la sperimentazione, la narrazione, la documentazione e l'animazione.
Nel 2012 sono stati premiati Spiriti di Yukai Ebisuno e Raffaella Mantegazza (Miglior
cortometraggio) e In nessun luogo resta di Maria Giovanna Cicciari (Premio speciale della giuria)
Quest'anno abbiamo l'onore di poter proiettare in italiana.corti, fuori concorso, La vita adesso di
Salvatore Mereu.
Fuori concorso
LA VITA ADESSO di Salvatore Mereu (Italia, 2013, DCP, 17’)
Luca ha dieci anni e vive solo con il padre. I due sono legati da un intenso rapporto, ma c’è
qualcosa che rende la vita di Luca diversa da quella di tutti gli altri bambini della sua età: suo
padre è malato di Alzheimer. Dopo giornate trascorse fra momenti di forte tensione e affettuose
complicità, i due sono costretti a separarsi.
ONDE!
Derive, attraversamenti, percorsi, viaggi: a riguardarli tutti insieme, pronti a confrontarsi sulla
scena del 31° Torino Film Festival, i film di Onde 2013 compongono una mappa fluida di istanze
di ricerca nella crisi della realtà. Non c’è praticamente un solo autore che non abbia sospinto il
suo film in direzione di un altrove dal quale far scaturire il senso del presente. Non sembri però
voluto, tale percorso: come ogni viaggio, anche quello che presiede al lavoro di selezione segue
dinamiche tanto consapevoli quanto imprevedibili. E tanto meno sembri involuto: come ogni
anno, quello di Onde è in realtà un appuntamento con il cinema che si libera nella ricerca di
forme, identità, narrazioni, espressioni, attimi fugaci che si protraggono per la durata (lunga,
corta, infinita...) di un film. Che sembri però determinato e preciso – il percorso – quello sì:
perché, nella logica sfuggente di ogni singola parola, la frase che andiamo a comporre con i
venticinque titoli che, tra selezione e omaggi, fanno il programma di Onde 2013, ha un senso
ben compiuto.
Un senso in cui si dice tutto lo stridore del presente, il suo odore acre, il dolore un po’ rabbioso
e un po’ impotente, il senso di perdita che spinge alla deriva per ritrovarsi, e anche la curiosità
della ricerca di nuovi approdi tradita dalla mancanza di senso. È tutto un assistere stanco e
divertito alla concava seduzione dell’ombra sulla luce, dell’oscurità sui lumi (la barra la tiene
l’Albert Serra di Història de la meva mort, ma c’è anche lo sciamanico furore di Pisa di Salas,
per non dire di come in Cut il duo Müller/Girardet incida finalmente la carne e non più soltanto
il corpo della pellicola). È un curioso sospingersi sulle tracce precise di viaggi alla fine o
all’inizio del mondo/cinema (La última película di Martin/Peranson, così come gli esoterici
Dullius e Jahn di In the Traveler’s Heart e il visionario emigrare di Lezuo di Boccassini).
Escursioni al termine di esistenze terrene, in cui la felicità è così concreta che intravede
improvviso il suo limite (Sceneries of New Beginnings di Atsushi Shinohara), o il tempo è così
assoluto da non scorgere la sua solitudine (Silencio en la tierra de los sueños di Tito Molina). È
un vano e continuo tentativo di risorgere dal grande freddo di un mondo ideale che perde la
presa sulle esistenze (Soles de primavera di Ivancic), un simbolico ripartire dalla fine di chi ha
mollato la presa sulla realtà (la statica dispersione di Noche di Leonardo Brzezicki e la traversata
fluviale in Flood Tide di Todd Chandler).
È la necessaria deriva che sfocia nel naufragio di due fratelli sulle tracce di se stessi (un altro
fiume, un’altra zattera, quella dei fratelli Manso in Bibliografia), ma sono anche le attese
esistenziali in fuga dal presente di Carosello di Jorge Quintela, Rei inútil di Telmo Churro e
Mahjong di Rodrigues e Guerra da Mata, gli altri tre lavori che compongono l’omaggio di Onde al
cinema portoghese nel suo anno più splendido (per vitalità espressiva) e difficile (per difficoltà
economiche). In tutto questo, dal cinema greco si alzano gli opposti gridi sacrificali di una
tragedia antica riscritta sui margini dei margini dell’Impero (Sto lyko di Hughes e Koutsospyrou)
o nello scarto tra notte e giorno, in cui implode la recondita violenza (Luton di Michalis
Konstantatos). Del resto non manca il gioco a rimpiattino con la sostanza profonda dei
sentimenti: con gli amori necessari (madre-figlia in Alligator Tears della Schwartzman, fratello-
sorella in Neon Heartache della Lessovitz) e con l’inesausta ricerca di vita del nostro Tonino De
Bernardi (Hotel de l’Univers). Il tutto mentre il cinema di Yu Likwai, protagonista dell’omaggio
di Onde 2013, guarda lucido dalla distanza di un’Asia immalinconita nel suo futuro felicemente
distopico.
E INTANTO IN ITALIA
Che succede intanto nel deriso, bistrattato, eroico cinema italiano? Cosa bolle in pentola nella
cucina di alcuni cineasti contemporanei dei quali ci interessa seguire le vicende? C’è chi ha
girato un film e ha accettato di mostrarci qualche primizia esclusiva, chi deve ancora iniziare le
riprese ma viene a condividere certi suoi preparativi, chi invece, come interludio tra un film e
l’altro, ha realizzato un documentario e ci fa il regalo di presentarcelo in anteprima.
Sarà l’occasione per il pubblico del festival di incontrare alcuni dei protagonisti del nostro
cinema - con una selezione che va da quelli che consideriamo i più promettenti ad alcuni che
invece già possono essere celebrati come giovani maestri - per dialogare con loro su quello che
stanno combinando, sul loro percorso, il loro modo di raccontare, di concepire e di allestire
un’opera cinematografica, cercando magari di sollecitare anche la condivisione di quei travagli
segreti che costituiscono l’officina creativa di un film.
SPAZIO TORINO
Il concorso presenta i migliori cortometraggi realizzati da cineasti nati o residenti in Piemonte,
un’area geografica da sempre caratterizzata da un’intensa attività cinematografica.
Nel 2012 è stato premiato Il mare di Beppe di Carlo Cagnasso.
La proiezione dei film in concorso sarà preceduta dal cortometraggio di Giancarlo Tovo Un altro
ritmo, frutto della collaborazione tra il Museo Nazionale del Cinema e la Fondazione Carlo Molo
onlus, coinvolgendo un gruppo di persone afasiche, realizzato per comunicare al pubblico la loro
condizione.
TORINOFILMLAB
i film
Nato dal desiderio di affiancare al Torino Film Festival un’officina dedicata ai filmmaker
emergenti, il TorinoFilmLab è un laboratorio internazionale che sostiene giovani talenti di tutto
il mondo attraverso attività di training, development e funding. Il focus principale è sulla
realizzazione di primi e secondi lungometraggi.
Dal 2008 il TorinoFilmLab ha assegnato 24 Production Award, 4 Audience Award e molti altri
premi a sostegno dei progetti sviluppati nei suoi programmi.
Il Torino Film Festival presenta in un’apposita sezione i seguenti titoli: The Lunchbox, Lupu
(Wolf), Mary is Happy, Mary is Happy, Salvo, il Sud è Niente e Yuri Esposito.
www.torinofilmlab.it
Ufficio stampa e pr internazionale:
Chicca Ungaro +39 011 19887517, +39 011 19887518 chicca.ungaro@torinofilmfest.org
con la collaborazione di:
Flavia Corsano flavia.corsano@torinofilmfest.org
Marta Franceschetti +39 011 8138825 - Francesca Galletto +39 011 8138820 e Paolo Morelli +39 011 8138824 press@torinofilmfest.org
L’accesso alla cerimonia inaugurale il 22 novembre e successiva proiezione all’Auditorium Giovanni Agnelli sarà consentito ai possessori di biglietto d’ingresso
La Cerimonia di Chiusura, durante la quale saranno assegnati i Production Award, l’Audience Award e tutti gli altri premi, si svolgerà all’interno della Mole Antonelliana, mercoledì 27 novembre a partire dalle ore 20.30.
La cerimonia di chiusura del 30 novembre al cinema Reposi è esclusivamente a inviti.
PROIEZIONI
MULTISALA CINEMA MASSIMO - via G. Verdi, 18
+39 011 8138574 (Sale accessibili ai disabili)
MULTISALA REPOSI - via XX Settembre, 15
+39 011 532448 (Sale 1, 2, 3 accessibili ai disabili)
MULTISALA LUX - Galleria San Federico, 33
+39 011 5628907 (Sale accessibili ai disabili)
CONFERENZE E ATTIVITÀ STAMPA
TFF Press & Lounge
Sala Mostre del Palazzo della Regione Piemonte piazza Castello, 165 - Torino
Press Room: 9.30 - 21.30
Lounge: 10.30 – 15.00 e 16.00 – 21.00
Tariffe biglietti e abbonamenti
Biglietto serata di apertura: EURO 10,00
Abbonamento intero (*): EURO 80,00
Abbonamento ridotto (*): EURO 55,00