Till the end. Le opere in mostra analizzano e mettono in scena l'estetica del tempo nell'intensita' del bianco e nero. A cura di Giuliana Schiavone.
a cura di Giuliana Schiavone
Il 22 novembre 2013 alle ore 19, Formaquattro presenta la personale 'till the end di Luigi Filograno, a cura di Giuliana Schiavone.
Con la mostra ‘till the end, Luigi Filograno analizza e mette in scena l’estetica del tempo, descrive le icone che contraddistinguono ogni suo stadio, isola le tensioni dell’essere alla ricerca di uno spazio stabile. ‘Il tempo guarirà tutto, ma che succede se il tempo stesso è una malattia?’ Ne ‘Il cielo sopra Berlino, il regista Wim Wenders faceva parlare così la sua bella acrobata Marion sospesa sulla sua altalena. E l’immagine, nell’intensità del suo bianco e nero, si rivela un input efficace per raccontare gli esiti recenti del percorso creativo dell’artista.
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“Sed fugit interea fugit irreparabile tempus”
(Virgilio, Georgiche, III)
‘Il tempo guarirà tutto, ma che succede se il tempo stesso è una malattia?’ Nelle sequenze
in bianco e nero de ‘Il cielo sopra Berlino’, il regista Wenders fa parlare così la sua bella
acrobata Marion sospesa sulla sua altalena, tra cielo e terra, a rincorrere indomabili
equilibri. Tempus fugit dichiarava invece una pregnante espressione latina inducendo gli
uomini a riflettere sulla fugacità e illusorietà del proprio tempo.
Così, due immagini apparentemente distanti ma tenute insieme dal senso del tempo, si
rivelano un efficace incipit per raccontare gli esiti recenti del percorso creativo di Luigi
Filograno, il quale sembra isolare e mettere in scena tutte quelle tensioni e movimenti che
parlano della perenne lotta dell’essere per la conquista di uno spazio, dello sforzo
muscolare e psichico dell’esistere in un non-luogo restìo ad accoglierci in maniera
definitiva poiché tutto cambia e persino la nostra identità non è mai statica. In caduta
libera, l’essere si abbandona al tempo che scorre come se il passare degli anni non fosse
acquisizione, passaggio, accumulo esperenziale, ma al contrario perdita, abbandono,
spleen. E siamo soltanto giocolieri, equilibristi, danzatori o goffi nuotatori, attori di teatro
impacciati nella scacchiera del mondo alla ricerca di un equilibrio in questa vita, tutti
accomunati da una condizione universale che ci apparterrà ‘till the end.
Sono tratti dominanti di questa riflessione la posizione, lo stato dell’essere nello spazio, il
suo estremo tentativo di trovare e soprattutto stabilizzarsi in una postura, un gesto, un ruolo
che parli di Se’ nell’attimo della rappresentazione. Le opere sono composizioni modulari
realizzate in legno di pioppo su cui l’artista interviene utilizzando pastelli o grafite, e le cui
parti sembrano incastrarsi come tasselli in rappresentazioni sintetiche, essenziali, a cui il
chiaroscuro conferisce un’elegante profondità. Esse sembrano ricordarci che a nessuno è
dato di sottrarsi ai processi del tempo che accompagna l’essere e ne scandisce i momenti
vitali ‘sino alla fine’ ordinando in maniera razionale l’intera esistenza.
Il tempo sembra avere una sua estetica e conferire una forma riconoscibile a ogni fase della
vita umana e animale, e non sarebbe forse sbagliato affermare che il tempo assegna un
valore formale all’intera storia tra avanzamento e dissolvimento delle icone che
contraddistinguono ogni suo stadio. E se queste rappresentazioni hanno tradizionalmente la
funzione di mettere in contatto chi osserva con una dimensione trascendentale con cui
identificarsi, nei lavori di Filograno si tratta invece di un assoluto fatto di volti reali, umani,
lontani dalla ieraticità delle icone per antonomasia. Sono volti che osservano lo spettatore
estrapolati dalla sacralità sui generis del mondo eterno del cinema, della musica e della
politica, ognuno colto in una fase della sua storia unica e irripetibile.
Il teschio, memento mori per eccellenza, è sempre reiterato come leitmotiv di una sinfonia
collettiva, colto a metà, accostato a esseri umani vivi e vegeti, immerso nello spazio
fluttuante della composizione, dominatore incontrastato della visione seppur nella sua
incompletezza. Come una presenza che aleggia nel mondo dei vivi esorta a un ripiegamento
interiore della coscienza, o fomenta, al contrario, un atteggiamento ironico, distaccato,
tutt’altro che macabro.
È rappresentato sempre incompleto, come se la sua metà bastasse a restituirci una verità
nella sua interezza, come se in questo caso la frazione valesse per l’intero di un senso chel’occhio quasi non vorrebbe osservare nella sua nitidezza perché l’illusione gli è più cara
rispetto a una realtà che potrebbe rivelarsi ferrea e simmetrica.
Sebbene sia impossibile sfuggire agli ingranaggi beffardi del tempo, l’arte è tuttavia una
forza in grado di fissare, bloccare in istantanee il momento presente, che è quello della
visione. Come se fosse residuo impigliato nella rete del momento creativo e della sua
percezione esterna, la visione artistica dona l’illusione dell’eternità e ammortizza l’ansia
della fine, accompagnandoci alle soglie di una dimensione incalcolabile e infinita.
Tempus fugit, direbbero gli antichi, e il tempo non è mai abbastanza. E lo sanno bene
questi teschi, lo sa bene questo tempo collettivo che rincorre ideali di fugace perfezione. Lo
sanno bene le icone di Filograno, che non si nascondono, ma, al contrario, guardano dritto
negli occhi lo spettatore, ognuna con i suoi solchi, lineamenti in dissolvenza, segni della
vita che passa, meravigliosa vita che scorre, da qui all’eternità.
Giuliana Schiavone
Luigi Filograno
si occupa di arte sin da giovanissimo, avendo operato in passato anche nel campo dell'architettura d'interni e del design. Il tema della sua ricerca è quello dell'equilibrio, visto nella sua possibile instabilità ed analizzato a livello ambientale, sociale, politico, esistenziale. Nelle opere più recenti affronta lo squilibrio tra vita e morte, evidenziando la caducità delle cose terrene, quali fama, potere e bellezza. Da un decennio predilige il disegno su legno utilizzando pastelli, grafite, carboncino insieme a smalti, chine, resine, pigmenti. Ha partecipato, tra le altre mostre, alla Biennale di Venezia 2011, Padiglione Italia di Torino.
Vernissage ore 19
Formaquattro
Via Argiro n. 73 - 70121 Bari – Italy