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Luigi Molinis
dal 10/1/2014 al 7/2/2014
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Luigi Molinis



 
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10/1/2014

Luigi Molinis

Centro Culturale Aldo Moro, Cordenons (PN)

Topografie della memoria. Molinis, da studente di Architettura a Venezia, si e' lasciato influenzare dalla citta', dalle sue architetture, dai dipinti di Tiziano.


comunicato stampa

Venezia ha una pianta organica e una forma organica, così percorrerla è come farsi trascinare da un flusso sanguigno venoso o arterioso a seconda se vai o vieni da un punto all’altro della sua mappa reale e virtuale insieme.

Venezia è una città metafora di un luogo in cui tutti i suoi centri sono pulsanti, nevralgici, perciò è facile perdersi allo stesso modo che in un grande labirinto medievale o in un suk arabo; non importa quale sia la tua meta, né il tempo che ci metti a raggiungerla… tutto è illusorio ed effimero, sono le correnti sotterranee a trascinarti e dirottare la tua destinazione da un punto all’altro. In fondo sono equivalenti. Ma, se non ci sono parametri razionali dettati dal tempo e dal moto condotto per un motivo o per una causa-effetto, si resta come sospesi nella nebbia e questa infine avvolge il giovane Molinis nel ventre di una Venezia balena.

Si impara per forza di cose, oltre ai calcoli architettonici, anche l’arte di avvertire con altri sensi le dimensioni dello spazio tempo, a guardare i particolari, le forme delle pietre che tracciano e tagliano angoli e le modanature che seguono i nervi dei merletti delle finestrature di Palazzo Labia o del Palazzo Ducale. A Venezia, gli edifici sono polistilistici, si mescolano il mistico gotico con l’apollineo classicismo rinascimentale fino alle svirgolettature barocche e rococò, non è facile trovare un capo disgiunto dall’altro in una città dove, come solo a Gerusalemme, si mescolano l’Oriente all’Occidente. Luigi ricorda a questo punto la conversazione con Bianca ed Henry, la sera prima nella trattoria da Barabba a Campo San Pantaleon, sui Rosa Croce, il cui simbolo cristologico è una croce con al centro una sola rosa rossa, i petali, le gocce di sangue cadute dalla piaga aperta del costato… Discutevano mangiando una frittura, i piatti erano incavati nel piano stesso del tavolo di legno, una specie di tavolo barca. Senza accorgersene Luigi Molinis viene inghiottito nell’orifizio del Sottoportico degli Orefici, per poi sbucare di nuovo al chiarore del riverbero riflesso dal Canal Grande. Gli effetti del trascolorare luminoso delle increspature delle onde sollevate dai vaporetti e dalle gondole lo ipnotizzano e ruotando ancora su se stesso, si muove automaticamente verso la lezione che lo aspetta. Pensa ai panneggi dei mantelli delle Madonne del Tiziano, anch’essi ondeggianti, ma molli e sensuali e quelli cangianti e luminescenti dipinti dal Tintoretto, vibranti e chiusi nell’ombra o a quelli duri e spigolosi del Carpaccio nelle Storie di sant’Orsola. Lo studio dei panneggi è rivelatorio delle anatomie, delle strutture dei corpi, pensa, da una parte le copre e le dissimula, d’altra parte le evidenzia, anzi le determina. E nella pittura veneziana è la luce e le velature sovrapposte, che intessono la profondità, gli scavi e la tridimensio-nalità potente della carne.

Assorbito dalla serie di divagazioni arriva infine alla sede della Facoltà ai Tolentini. Deve seguire le lezioni di ‘Caratteri Distributivi degli Edifici’ del professor Lodovico Barbiano di Belgioioso che ha appena realizzato la Torre Velasca a Milano (1958, Studio B.B.P.R.), e le lezioni di Storia di Architettura di Bruno Zevi e quelle di Carlo Scarpa, che proprio allora ha eseguito lo Showroom di Olivetti a Piazza San Marco (1957-58) e la Fondazione Querini Stampalia (1961-63). Tutte queste opere sono indiscusse lezioni di stile e di orientamenti artistici e ideologici in cui è fuori discussione la integrità delle vedute e la chiarezza degli scopi, ma sono rivelatorie della assoluta ricerca etica del kaΛoΣ καΙ αγαθoσ. La norma e la forma sono indissolubilmente legate in ogni principio artistico. Il giovane Molinis, seduto davanti al tavolo da disegno, lo sa perfettamente e questo fa quando traccia una linea con la matita sul foglio da disegno tecnico o la segna con l’inchiostro di china sulla carta porosa o la sviluppa fluente con il pennello sulla tela.
Paola Bristot - Pordenone, 2014.

Inaugurazione 11 gennaio ore 18

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