Circolo Culturale Bertot Brecht
Silvia Abbiezzi
Maria Pia Caprio
Giorgina Castiglioni
Angelo Di Dedda
Nicoletta Frigerio
Mirko Galli
Riccardo Giulietti
Massimo Gurnari
Gabriella Kuruvilla
Silvia Majocchi
Carlo Oberti
Chiara Ricardi
Spelta
Bianca Visentin
Lorenzo Argentino
Cinzia Bollino Bossi
Una citta' cambia a seconda del punto da cui la si guarda: dal basso, o dall'alto. A seconda che si dia conto di come la si vive, o di come la si sogna. In mostra opere di artisti contemporanei.
espongono
Silvia Abbiezzi, Maria Pia Caprio, Giorgina Castiglioni, Angelo Di Dedda, Nicoletta Frigerio, Mirko Galli, Riccardo Giulietti, Massimo Gurnari, Gabriella Kuruvilla, Silvia Majocchi, Carlo Oberti, Chiara Ricardi, Spelta, Bianca Visentin
Testi di Cinzia Bollino Bossi
A cura di Lorenzo Argentino
intervengono i poeti
Donatella Bisutti
Gabriele Favagrossa
Luisa Pianzola
COORDINA Cinzia Bollino Bossi
Musica: Progetto Pavlov > Andrea Lamberti_Massimo Mauri_Matteo Maraone_Luca Nelli
Una città cambia a seconda del punto da cui la si guarda: dal basso, o
dall'alto. A seconda che si dia conto di come la si vive, o di come la si sogna.
Bianca Visentin, prese a prestito ali d'uccello, vola sopra i tetti delle case
per darci un punto di vista diverso da quello solito. Con i piedi sulle nuvole,
a guardare in giù si vedono imbuti di vie e sequenze di finestre, bagliori
lunari e tende nel vento: ogni città ha il suo angelo, la sua ombra di piume a
coprire le notti, a custodire i sonni. Anche Chiara Ricardi osserva dall'alto,
ma per dare topografie, rilevazioni, misurazioni di maglie fitte e sviluppi di
reti e di vie. Chiara racconta la metamorfosi antropomorfa del territorio, la
stratificazione della storia che fa sì che le strade somiglino a vasi sanguigni,
che le città siano immagine del corpo umano. Riccardo Giulietti rimane a metà ,
tra terra e cielo, tra le luci della città e le luci del tramonto. Ma la notte
diventa psichedelica, lisergica: nell'insolita esperienza di un tramonto a
Milano l'aria inghiotte il cemento, e ammalia la fotografia, che insegue moduli
pittorici per dare forma allo stupore. Gabriella Kuruvilla priva la città di
ogni riferimento reale, di ogni requisito biografico. Le opere qui esposte
rivelano parentele con la città in virtù di un processo di sintesi e di
metafora: le differenze etniche, linguistiche e sociali di ogni vissuto urbano
vengono riassunte nei materiali - garze, sabbie, cotoni - che si combinano con i
colori per esperienze sempre nuove e diverse.
Al contrario, Silvia Majocchi e
Massimo Gurnari attingono a piene mani dalla propria memoria per interpretare la
città : Massimo centrando il discorso sull'interazione tra un "io" e i luoghi che
vive, significativamente usati come "sfondo" attorno al soggetto; Silvia creando
teatrini di plexiglas, teche entro cui stanno chiusi i ricordi dei giochi e
dell'infanzia, come a proteggere l'età dell'innocenza dai clangori del quotidiano. E all'infanzia e al suo rapporto con la città , intesa come spazio e
come modo di vivere, guarda anche Angelo Di Dedda: il bambino è per lui aperto,
curioso, ma anche già responsabile. Ha le braccia in alto, cariatide a reggere
ingenuo e puro il mondo; ha lo sguardo puntato verso chi quel mondo lo fa ogni
giorno più pesante. Chi invece sta con i piedi dentro le città , con gli occhi
incollati sui suoi muri e appesi ai suoi cieli, spesso utilizza la fotografia
per dare ragione di queste visioni. Così è per Mirko Galli, che indaga il
confine tra centro e periferia, e lo scarto tra ciò che si muove - auto, tram,
vagoni della metropolitana, passi - e ciò che sta fermo - muri, graffiti,
cartelloni pubblicitari, attese; così è per Silvia Abbiezzi, che suggerisce con
le sue foto documentaristiche un confronto tra Oriente e Occidente, tra
l'orizzontalità dell'acqua e la verticalità dei palazzi. Così, infine, fa
Giorgina Castiglioni, che sottrae con l'obiettivo il pudore agli edifici in
restauro, come fossero carni malate rivestite da una pelle che occulta le forme
originarie per crearne di nuove, e inedite. Carlo Oberti guarda invece i muri e
i cartelli. Si impossessa del mezzo pubblicitario per trasformarlo in altro, per
fagocitarlo in un collage asintattico. Il cartellone è cibo, e la città la
tavola meglio imbandita: le sue opere sono metafora della cacofonia della
comunicazione, spinta fino alla perdita di senso.
E di muri sono fatti anche i
palazzi, gli stessi cui si ispirano Maria Pia Caprio e Nicoletta Frigerio.
L'antitesi tra interno ed esterno, tra preziosità del vivere domestico e
anonimato del domicilio è evidente nelle sculture della Frigerio: piani implosi
o esplosi, aperture e pertugi di luce come finestre accese da cui è possibile
spiare le vite. I palazzi di Maria Pia Caprio sono invece pareti d'argilla
contrapposte, piani concavi e convessi a significare il percorso tra dentro e
fuori; ma sono anche ritratti - gli unici qui presenti - di architetture
cittadine dipinte su ceramica, simbolo della possibilità di creare ovunque la
casa. Un po' come fa Spelta, che astrae il concetto di abitazione fino a farlo
coincidere, in maniera assai più ampia, con quello di nido. Dà così origine a
nidi umani, culle di foglie e rami e terra entro cui insistere la richiesta di
città a misura d'uomo. Qualunque sia il punto di vista da cui le si guarda.
Cinzia Bollino Bossi
Inaugurazione: martedì 9 dicembre alle ore 18.30
Aperto: da lunedì a venerdì dalle ore 17.00 alle ore 20.00
Circolo Culturale Bertolt Brecht
Via Padova, 61 20127 Milano Tel/fax 02 26820454