Due giovani artisti americani con due mostre personali che dialogano nello spazio espositivo. Smith crea piccoli dipinti, video, ma soprattutto sculture, realizzate con una gamma di materiali che include qualunque cosa. Cheng presenta un video e una serie di simulazioni animate al computer come parte di un'installazione che si rapporta alle caratteristiche ambientali della Triennale.
Michael E. Smith
A cura di Simone Menegoi e Alexis Vaillant
Ian Cheng
A cura di Filipa Ramos
La Triennale di Milano è lieta di presentare, per la prima volta in
un'istituzione italiana, i due giovani artisti americani Michael E.
Smith e Ian Cheng, con due mostre personali che dialogano nello
spazio espositivo con elementi risonanti e tematiche comuni. I due
artisti, sia pure molto diversi nei linguaggi espressivi, condividono un
approccio visionario; entrambi analizzano le tensioni contemporanee
e immaginano possibili modalità di reazione e di resistenza
attraverso logiche d’opposizione e di scardinamento dell’ordinario.
Michael E. Smith utilizza materiali poveri e industriali, spesso alterati
sino a non lasciar traccia della propria funzione originaria; Ian Cheng
disloca corpi fisici nello spazio virtuale per esplorarne le potenzialità
d'azione e le possibili interazioni. Da queste rielaborazioni derivano
esiti stranianti e processi imprevedibili, che invitano lo spettatore a
rivedere le proprie idee di limite e di possibilità.
Edoardo Bonaspetti, curatore Arti visive e Nuovi Media, Triennale di
Milano
Michael E. Smith
Michael E. Smith (1977) è uno degli artisti americani più interessanti
della sua generazione. Dopo aver studiato scultura alla Yale School of
Arts sotto la guida, fra gli altri, di Jessica Stockholder, ha cominciato
a esporre in spazi pubblici e privati negli Stati Uniti e in Europa. Nel
2012, il suo lavoro è stato incluso nella prestigiosa Biennale di arte
americana del Whitney Museum di New York.
Prodotta in collaborazione con il CAPC – Musée d’art contemporain
de Bordeaux, e curata da Simone Menegoi e Alexis Vaillant, capo
curatore del CAPC, la mostra è una versione completamente
rielaborata della personale che Smith ha appena tenuto nel museo di
Bordeaux. In particolare, rispetto alla mostra francese, quella italiana
include una serie di nuove opere create per l’occasione, fra cui
un’installazione tra le più grandi che l’artista abbia mai realizzato, il
cui elemento principale è una saracinesca da garage.
Smith crea piccoli dipinti dalla superficie tormentata; video che
ritraggono frammenti di paesaggio urbano degradato, animali in
cattività, gesti che sembrano appartenere a rituali incomprensibili;
ma soprattutto sculture, le sue opere più note e caratteristiche.
Realizzate con una gamma di materiali che include quasi qualunque
cosa, dalla resina sintetica agli indumenti usati, da ossa animali a
parti di elettrodomestici, le sculture di Smith sono oggetti quasi
sempre di modeste dimensioni ma dalla intensa, conturbante
presenza. La loro forma e le loro dimensioni richiamano spesso
quelle di arti umani; i materiali con cui sono fatte mostrano
frequentemente i segni del tempo, dell’usura, di azioni vandaliche;
l’inclusione di oggetti semidistrutti e di parti di animali evoca scenari
post-apocalittici.
Altrettanto intenso delle opere, è il modo in cui l’artista le allestisce. I
lavori – sempre pochi per volta, e molto isolati l’uno dall’altro –
raramente occupano il centro delle sale; per lo più sono confinati
negli angoli, seminascosti dietro elementi funzionali come radiatori o
tubazioni, o addirittura appesi al soffitto. La critica li ha paragonati
ad animali in agguato, o che si nascondono; il loro rapporto con
l’architettura dello spazio espositivo è simbiotico. L’artista non crea
mai due volte lo stesso allestimento, e la mostra alla Triennale non fa
eccezione. La disposizione delle opere, completamente diversa da
quella del CAPC di Bordeaux, risponde alle caratteristiche specifiche
dello spazio milanese, e al momento non è possibile anticiparne le
caratteristiche. Lo stesso vale per le nuove opere che saranno in
mostra: l’artista le creerà sul posto nei giorni dell’installazione.
Smith dedica inoltre una particolare attenzione alle condizioni di
illuminazione delle sue mostre. Che rimuova tutte le lampade,
lasciando lo spazio in balia delle condizioni mutevoli della luce
atmosferica, o che aumenti l’illuminazione artificiale al massimo,
trasformando le sale di un museo in un abbagliante limbo bianco,
Smith cerca di creare ogni volta un’atmosfera luminosa specifica. Per
la mostra alla Triennale, l’artista ha scelto di isolare completamente
lo spazio dalla luce naturale e di sostituire le luci a incandescenza con
tubi al neon dalla tonalità molto più fredda.
L’immaginario di Smith ha le sue radici in un’America suburbana e
provinciale, impoverita dalla crisi economica e messa a dura prova
dalle emergenze climatiche. In particolare, l’artista è profondamente
legato alla sua città d’origine, Detroit, uno degli esempi più
impressionanti di quelle che vengono chiamate “shrinking cities”, le
città che, per ragioni economiche o di altro genere, si restringono,
implodono su sé stesse. Dopo una radicale de-industrializzazione, e
dopo aver più che dimezzato la propria popolazione rispetto al picco
toccato negli anni Cinquanta, Detroit è ora in larga parte una distesa
di fabbriche in rovina e case abbandonate che offre, come ha scritto il
critico americano Chris Sharp, “un’anteprima inquietantemente
convincente della fine del mondo” (“a disturbingly convincing sneak
peek of the end of the world”). È in questo scenario che ha preso
forma il lavoro di Smith, ed è da esso che l’artista prende – a volte
letteralmente – gli oggetti, i materiali e le immagini con cui realizza le
sue opere.
L’opera di Michael E. Smith riflette le preoccupazioni e le ansie della
nostra epoca, ma la sua cupezza di fondo è tutt’altro che monolitica.
Il suo lavoro non parla solo di avversità, ma anche della tenace
resistenza umana ad esse. Può concedersi guizzi di humour o aprirsi
a inattese oasi di lirismo, come ad esempio accade in Untitled (2013),
una delle opere in mostra: una multipla proiezione video in cui una
brevissima ripresa di Miles Davis in concerto, rallentata e
manipolata, si trasforma in una sequenza quasi astratta, di misteriosa
bellezza.
Biografia:
Michael Smith è nato a Detroit nel 1977 e vive a Hopkinton, New
Hampshire. Tra le sue personali recenti: 2014: Power Station, Dallas.
2013: Ludwig Forum, Aachen (D); KOW, Berlino; Clifton Benevento,
New York. 2012: galleria Zero, Milano; Culturgest, Lisbona. 2011: St.
Louis Museum of Contemporary Art, St. Louis; Michael Benevento,
Los Angeles; Mönchehaus Museum, Goslar (D); Susanne Hilberry
Gallery, Ferndale (USA).
Tra le mostre collettive recenti: 2013: Painting from the Zabludowicz
Collection Part II, Zabludowicz Collection, Londra; Realization is
Better than Anticipation, MOCA Cleveland, Cleveland. 2012: A
Disagreeable Object, Sculpture Center, New York; Biennale d’art
contemporain de Rennes, Rennes (F); Whitney Biennial, Whitney
Museum of American Art, New York; Le Silence. Une Fiction,
Nouveau Musée National de Monaco, Monaco.
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Ian Cheng
L'arte non è una cosa del mondo.
È una percezione inventata dentro di noi usando le cose del mondo.
A cura di Filipa Ramos
Ian Cheng presenta una serie di simulazioni animate al computer
che cambiano in modo dinamico, all'infinito, senza mai ripetersi.
Una simulazione rappresenta un insieme di cose.
Una simulazione rappresenta un ecosistema della mente.
E un video mostra una coreografia del comportamento inconscio
umano.
Queste opere nascono dalla domanda: che sensazione si prova a
navigare tra il caos e l'incertezza dentro e fuori di noi?
Possiamo sviluppare questa sensazione all'interno dell'arte.
Dichiarazione della curatrice della mostra: Ian Cheng s’interessa agli stati di coscienza. Attraverso il
suo lavoro esplora le possibili relazioni fra corpi e stati percettivi.
Per la sua prima mostra personale in Italia, l’artista presenta un
video e una serie di simulazioni animate al computer come parte di
un'installazione che si rapporta alle caratteristiche ambientali della
Triennale e alle sue modalità espositive.
Realizzata attorno a una pedana dalle proporzioni esagerate,
l’installazione di Cheng funge simultaneamente da supporto, display
e dispositivo di mixaggio. I visitatori hanno l’opportunità di osservare
le opere singolarmente o di concepirle come diversi organismi
costituenti un unico corpo emergente, i cui suoni e
movimenti alterano la struttura dell’insieme.
Le figure che abitano le varie opere assomigliano a oggetti e forme
riconoscibili: esseri umani, animali, piante, pianeti, rocce. I loro
movimenti, gesti e suoni sono vagamente familiari e, tuttavia, anche
profondamente sconcertanti e inquietanti.
Nonostante la virtualità di questi ambienti, c’è un forte senso di
vitalità in tutta la mostra. Questa sensazione deriva dal fatto che ogni
momento osservato è il risultato di una combinazione casuale, unica
e irripetibile, che una volta apparsa è persa per sempre.
L’installazione, le opere o i suoi elementi espandono i concetti
d'improvvisazione e performatività in un flusso temporale che non
conosce né inizio né fine.
Biografia:
Ian Cheng, nato nel 1984 a Los Angeles, è un artista di base a New
York. Tra le sue personali più recenti: Baby feat. Bali, Standard Oslo,
Oslo Norvegia (2013); Frieze Frame, Londra (2013); Entropy
Wrangler, Off Vendome, Dusseldorf (2013); This Papaya Tastes
Perfect, Formalist Sidewalk Poetry Club, Miami Beach Florida (2011).
Tra le sue collettive più recenti: XII Biennale di Lione d’Arte
Contemporanea, Lione Francia (2013); Freak Out, Greene Naftali
Gallery, New York (2013); ProBio, Expo1, MoMA PS1, New York
(2013); DisImages, DIS Magazine, New York (2013); A Disagreeable
Object, Sculpture Center, New York (2012).
Ufficio Stampa e Comunicazione Triennale di Milano:
Antonella La Seta Catamancio, Responsabile
Micol Biassoni, Marco Martello T. +39.02.72434.241 press@triennale.org
Inaugurazione: 4 marzo 2014 ore 19.00
Conferenza stampa: 4 marzo 2014 ore 11.30
Triennale di Milano
viale Alemagna 6 20121 Milano
Orari di apertura.
Martedì - Domenica 10.30 - 20.30
Giovedì 10.30 - 23.00. La biglietteria chiude un’ora prima delle mostre.
Lunedì chiuso.
Ingresso: 6,00/5,00/4,00 Euro
Biglietto unico per tutte le mostre 10 euro