Riccardo Bon Ufficio Stampa FMC
All'interno delle sale si alternano le mostre: 'Le amazzoni della fotografia dalla collezione di Mario Trevisan', si prosegue con i gioielli-racconti di Barbara Paganin in 'Memoria aperta'. Ritsue Mishima in 'Tras Forma' si ispira alle forme della natura e ai riflessi di luce. 'Shadows' mostra come nei suoi dipinti Anne-Karin Furunes utilizza foto d'archivio di volti anonimi. 'Nonostante Picasso' e' l'esposizione dedicata alla musa ispiratrice e fotografa Dora Maar.
Le amazzoni della fotografia
dalla collezione di Mario Trevisan
Un settore culturale dove le donne eccellono suggestivamente,
rispetto all’apparato maschile tradizionale, è certamente quello della
Fotografia, che oggi conta centosettantacinque floridi anni, dopo
l’invenzione “meravigliosa” di Daguerre.
Tra le più grandi figure della storia della fotografia, risaltano, in
primis, autori come Julia M. Cameron, negli anni ‘70 dell’Ottocento e
poi Margaret Bourke White, Lisette Model, Diane Arbus, Nan Golden,
Vanessa Beecroft e cento altre, autentiche “star” nel nostro tempo,
amazzoni sul sentiero delle immagini d’avanguardia, testimoni
sensibili e accorate della vita del mondo.
La fotografia, oltretutto - come scrive Italo Zannier in catalogo - ha
liberato anche dalle difficoltà operative manuali, alcune lungamente
considerate maschili, offrendosi innanzitutto come linguaggio
astratto, concettuale, poetico.
La rassegna presenta una significativa antologia di fotografie
originali, eseguite da alcune tra le principali fotografe operanti tra
‘800 e ‘900, offrendo un panorama storico e linguistico dovuto alla
colta attenzione di un collezionista veneziano che ne ha concesso
l’esposizione al Fortuny, museo che ha esordito proprio con
rassegne dedicate alla cultura della fotografia, alcune di memorabile
rilievo internazionale.
Catalogo Silvana Editoriale – Milano, 2014
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Barbara Paganin
Memoria aperta
Gioielli-racconti che prendono spunto dalle emozioni del proprio passato
ma che subito si aprono al mondo esplorando nei ricordi degli altri.
Elementi tangibili di una memoria presa in prestito: miniature di ritratti
ottocenteschi, animali portafortuna di porcellana, topolini, ippopotami,
conigli, elefantini di avorio, una piccola bussola, una regina degli scacchi...
È la prima volta che l'artista sceglie di inserire in maniera così sistematica
elementi "estranei" e objets trouvés nelle proprie opere. Il lavoro parte dalla
ricerca tra le botteghe antiquarie di Venezia a caccia di quei piccoli oggetti,
da poter immaginare un tempo conservati gelosamente in un piccolo
scrigno di bambina.
La memoria degli altri si fonde con quella personale dell'artista. Alcuni
elementi ricorrenti sembrano volerci indicare proprio questo filo
conduttore: minuscole scarpe di bambola – smarrite un giorno per strada
chissà dove – percorrono a piccoli passi le opere; compaiono
all’improvviso, isolate, quasi irriconoscibili, per poi scappare via e ritrovarsi
a grappolo su un'altra spilla. E quei "baobab" di vetro multicolore che
sovrastano i volti delle giovani dame non sono forse "alberi cavolfiore"
tanto cari all'immaginario di Barbara Paganin?
Ogni spilla racconta una storia, che ciascuno può immaginare diversa,
adattandola alla propria memoria, al proprio ricordo. Non c'è una sola
chiave per interpretarla ma tante chiavi quanti sono i "lettori" di questo
album di ricordi composto capitolo dopo capitolo. Le 25 opere infatti sono
pensate come un corpus unico, sul quale Barbara Paganin ha lavorato
continuativamente negli ultimi due anni, e concepite per essere esposte
tutte insieme per la prima volta a Palazzo Fortuny. È la peculiarità del luogo,
del Museo stesso, ove coabitano in armonia e scambio le collezioni del
passato con l’arte contemporanea, ad aver stimolato l'artista per questo
lavoro di dialogo con la memoria e i suoi piccoli oggetti sui quali a volte può
poggiare tutta una esistenza da adulti.
Note biografiche
Artista veneziana (1961), ha studiato metalli e oreficeria all'istituto Statale
d'Arte di Venezia e scultura all'Accademia di Belle Arti sempre a Venezia.
Ha lavorato per circa un anno nell'ufficio tecnico di Venini per poi, nel 1987
insegnare disegno professionale e progettazione all'Istituto Statale d'Arte
Pietro Selvatico di Padova. Dal 1988 è titolare della cattedra di disegno
professionale e progettazione per Arte dei metalli e dell’oreficeria presso
l’Istituto Statale d’Arte di Venezia, ora Liceo Artistico Michelangelo
Guggenheim dove insegna anche discipline progettuali del Design. Nel
2002 ha insegnato al Master class del Royal College di Londra.
Le sue opere nascono dall'esperienza sui metalli preziosi, ma la sua
espressività si evolve nel tempo e la porta a mettersi continuamente alla
prova con materiali e tecniche sempre diversi. Impara e fa proprie le
tecniche del vetro, delle resine e della porcellana che per esempio si
ritrovano nei suoi gioielli, accostati all'oro e all'argento ossidato.
Da oltre 25 anni espone regolarmente in gallerie in Europa (per esempio
Londra, Vienna, Monaco, Göteborg, Parigi) e New York. È del 1990 la sua
prima personale AURA alla Galleria della Fondazione Bevilacqua La Masa.
Nel 2008 ha partecipato con oltre trenta opere alla grande mostra
collettiva Gioielli d'Autore a Padova.
I suoi lavori sono presenti nelle collezioni permanenti di numerosi musei.
Tra questi: V&A di Londra, Musée des Arts Décoratifs di Parigi Metropolitan
Museum of Art di New York, Museum of Fine Arts di Boston, Museo d'Arte
Moderna di Ca' Pesaro a Venezia, Musée des Beaux Arts di Montreal,
LACMA di Los Angeles.
Tra i riconoscimenti, nel 1989 ha vinto la borsa di studio Bevilacqua La
Masa. Per quanto riguarda i premi ricevuti, tra i più recenti, nel 2006
Glassdressing, Ca’ Rezzonico, Venezia, Museo Revoltella, Trieste. Premio
per il miglior progettista della Provincia di Venezia.
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Ritsue Mishima
Tras Forma
Mishima si ispira alle forme della natura, ai riflessi di luce: i suoi vetri
sono trasparenti, incolori, trasmettono una sensazione di purezza e
luminosità, catturano ed espandono la luce e i colori dell’ambiente
circostante.
L’artista pone molta attenzione allo spazio in cui colloca le sue opere e
il gioco delle trasparenze e dei riflessi produce per il medesimo
soggetto infinite varianti visive.
La tradizione millenaria dell’arte del vetro di Venezia, mediata dalla
cultura giapponese di Mishima, si traduce in opere che compongono
un alfabeto estremamente contemporaneo.
In questa mostra sono presentate le ultime creazioni, frutto di
un’attenta indagine sul modus operandi di Mariano Fortuny.
Note biografiche
Ritsue Mishima nasce a Kyoto in Giappone nel 1962.
Dal 1982 lavora come stylist nel campo della pubblicità e per alcune
riviste di arredamento, e dal 1985 si occupa di installazioni floreali.
Nel 1989 si trasferisce a Venezia, dedicandosi dal 1996 alla creazione
di oggetti in vetro. I suoi vetri sono creati in collaborazione con il
maestro vetraio Andrea Zilio all’isola di Murano.
L’artista ha esposto le sue opere a Venezia, Milano, Londra,
Rotterdam, Tokyo, Kyoto, Bruxelles, Berlino e San Francisco.
Il suo lavoro fa parte delle collezioni pubbliche quali Musée des Arts
Décoratifs, Boijmans Van Beuningen, Glasmuseum Alter Hof Herding,
Frans Hals Museum, Museum Jan van der Togt e Vangi Sculpture
Garden Museum.
Nel 2001 Mishima ha vinto il premio Giorgio Armani alla mostra
Sotheby’s Contemporary Decorative Arts a Londra, e nel 2012 ha vinto
Bavarian State Award alla mostra Exempla 2012: Glass – material
between tradition and innovation a Monaco di Baviera.
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Anne-Karin Furunes
Shadows
Nei suoi dipinti Anne-Karin Furunes utilizza foto d’archivio di volti anonimi
per indagare sulla personalità e l’identità della persona, ricercando negli
sbiaditi tratti fotografici labili tracce di vite dimenticate e personalità
sfuggite al registro della storia. Ad un primo fuggevole sguardo ciò che
vediamo dell’opera è una tela ricoperta di centinaia di fori perfetti di
dimensioni diverse. Soltanto distanziandoci dalla superficie della tela
emerge un volto, all’inizio soltanto un’allusione dell’immagine ritratta,
quindi a poco a poco tanto più ci si allontana dall’opera, i lineamenti e le
espressioni del volto si definiscono sempre più nitidi. Alla fine sarà lo
spettatore che ricomporrà l’immagine, ridescrivendola per quel breve
momento in cui la incontra, quando diventerà il suo volto, la sua memoria, la
sua versione della realtà.
A Palazzo Fortuny Anne-Karin Furunes ha avuto modo di visionare
l’archivio fotografico ivi conservato avvicinandosi al mondo di Mariano
Fortuny attraverso la documentazione fotografica del suo lavoro, della sua
vita in laboratorio e dei viaggi che lo hanno portato in paesi lontani dove
cercare sempre nuovi spunti per la sua ricerca. E’ rimasta affascinata
dall’interesse di Mariano per la luce nei suoi molteplici effetti, come mezzo
sia di diffusione che di riflessione, ritrovando affinità con il suo lavoro: ogni
opera dell’artista norvegese vive attraverso la luce che la sfiora, un fascio
luminoso può illuminare ma anche oscurare l’immagine che lentamente si
definisce davanti ai nostri occhi attraverso le migliaia di fori che coprono
ogni sua tela.
Al centro della mostra “Shadows” Anne-Karin Furunes pone la figura di
Mariano Fortuny, i suoi interessi, le sue foto e le sue collezioni. Tutto ciò che
l’artista catalano ha raccolto nel suo palazzo – materiali apparentemente
eterogenei – parla della sua sensibilità e delle sue predilezioni, a sua volta
riflesse nella sua opera e nelle sue invenzioni. I soggetti usati per i dipinti
esposti nella mostra sono stati scelti tra i ritratti fotografici che Mariano ha
fatto alle persone che quotidianamente popolavano le sale di Palazzo
Pesaro degli Orfei, offrendo una luce contemporanea alle silenziose ombre
evocate dal secolo scorso, che liberate dall’oblio del passato oggi ci
accolgono nello spazio della casa museo.
Catalogo edito da Punto Marte Editore - Soligo (TV)
Note biografiche
Anne-Karin Furunes (1961, vive e lavora a Trondheim, Norvegia) ha
compiuto studi artistici a Oslo e Trondheim e di architettura a Londra e
Copenhagen. Dopo essersi laureata in arte e architettura, decide di
dedicarsi a tempo pieno all’arte.
Espone con regolarità in Europa, Usa, Australia e Canada, partecipando con
le sue opere alle principali fiere internazionali. Nel 2010 il Trondheim
Kunstmuseum le ha dedicato un’ampia personale in cui l’artista ha
presentato il lavoro degli ultimi dieci anni. Sue opere sono presenti in
importanti collezioni come The National Museum of Contemporary Art ad
Oslo, il Barbican Art Center a Londra, The National Museum of China a
Pechino, The National Museum of Contemporary Art ad Oslo, The Museum
of Art di Trondheim, The Tromso Museum of Contemporary Art in Norvegia,
The Museum of Contemporary Art Kiasma, Helsinki in Finlandia, The
Museum of Art and Design a New York.
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Dora Maar
Nonostante Picasso
a cura di Victoria Combalía
Henriette Theodora Markovitch, meglio nota come Dora Maar (Parigi, 1907-1997),
nell’immaginario e nel ricordo dei posteri è stata soprattutto l’amante e la musa del
grande Picasso; la donna di rara bellezza e dalla personalità enigmatica che aveva
sedotto il massimo pittore del secolo e, abbandonata, era sprofondata nella pazzia,
vivendo isolata dal mondo per i restanti cinquant’anni. “Sacrificata al Minotauro”,
“Segregata con i suoi fantasmi ammuffiti”, “Dora, lacrime dipinte”: titolarono i giornali
quando i suoi beni vennero messi all’asta, dopo la morte.
Ma Dora Maar non fu solo questo, fu anche e soprattutto una straordinaria artista e
la mostra promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia dall’8 marzo al 14 luglio
- tra gli appuntamenti di “Primavera a Palazzo Fortuny” - prima esposizione dedicata
in Italia a questa grande fotografa, su progetto di Daniela Ferretti e a cura di Victoria
Combalía sua sensibile studiosa, vuole appunto rivelare il singolare talento di “Dora
Maar. Nonostante Picasso”. Grazie ai prestiti ottenuti da importanti musei e collezioni
private, la mostra - che espone oltre un centinaio di opere, con alcuni lavori inediti
dell’artista di grande interesse – ripercorre la carriera e la personalità di Dora: una
donna certamente complessa e tormentata come appare nei dipinti di Picasso, ma
anche acuta, intelligente e politicamente impegnata. Una personalità poliedrica e dalle
molte vite. Una grande fotografa.
E infatti dopo aver vissuto con la famiglia tra Parigi e Buenos Aires - il padre famoso
architetto croato e la madre francese - e dopo aver frequentato l’École et Ateliers d’Arts
Décoratif e l’Accademia di André Lhot - dove incontra e stringe amicizia con Henri Cartier-
Bresson - Dora Maar viene convinta a studiare fotografia all’École de Photographie de
la Ville de Paris dal critico Marcel Zahar, anche se sarà soprattutto Emmanuel Sougez a
fornirle preziosi consigli tecnici.
Risalgono al 1928 i primi lavori realizzati su commissione e nel 1930 la Maar inizia a
lavorare come assistente di Harry Ossip Meerson, nel cui studio conosce Brassaï.
Quindi il connubio con Pierre Kéfer, il giovane che aveva creato le scene per il film
La caduta della casa degli Usher di Jean Epstein. Le loro opere vengono firmate con
il timbro Kéfer-Maar ma gli scatti di strada, che pure portano le due firme congiunte,
sono quasi totalmente di Dora. Sono queste forse le sue foto meno note - di cui la
mostra al Fortuny propone una straordinaria selezione - eppure di grande interesse per
l’attenzione alle frange marginali della società (scene di miseria e vagabondi, ciechi e
storpi), per il mondo dell’infanzia, per la vita quotidiana che si svolge nelle strade o
e storpi), per il mondo dell’infanzia, per la vita quotidiana che si svolge nelle strade ove
prevalgono il popolare (mercatini, fiere) e l’eccentrico (il negozio di tatuaggi, la vetrina
del mago, il canguro di paglia...).
“Lo sguardo di Dora - scrive la Combalìa - non ha il distacco documentario di Atget, né la
crudezza di Brassaï, né l’obiettività di Cartier-Bresson. Lei non è direttamente interessata
ai “bassifondi”, ai bordelli o ai cabaret”. A volte il suo sguardo si fa pietoso come nel
Mendicante accasciato su una sedia pieghevole (1932 c.), altre volte è pieno di ironia
come in Niente elemosina. Voglio un lavoro (1934) dove un impeccabile signore con
tanto di bombetta vende fiammiferi mostrando un cartello con scritto: “ho perso tutto
negli affari”. L’attenzione di Dora per i meno abbienti in una Parigi colpita dalla grande
crisi del ‘29 “si colora anche di politica”. All’epoca la Maar aveva una relazione con un
giovane e intelligente cineasta Louis Chavance e frequentava il mondo di Montparnasse
con Paul Éluard, i fratelli Jacques e Pierre Prévert, Luis Buñuel, ma cosciente delle
disuguaglianze sociali, decide anche di impegnarsi nella lotta in favore delle classi umili
ed entra a far parte nel 1933 del gruppo Masses, dove conosce il filosofo e rivoluzionario
Georges Bataille. La loro relazione dura pochi mesi, la loro amicizia molto più a lungo.
Tra le foto “di strada” un posto particolare hanno quelle scattate nel suo viaggio solitario
nel ‘33 a Barcellona e in Costa Brava: Dora fotografò il mercato della Boquería con le
venditrici, le macellaie, i mendicanti, i bambini e i colori. Fece degli scatti al Parco Güell
di Gaudí, scegliendo gli stessi motivi ripresi quell’anno da Man Ray; fissò immagini del
villaggio di Tossa con i suoi pescatori.
A Parigi Dora si recò spesso nella Zone, una serie di terreni incolti nelle vicinanze della
città, dove gente poverissima (gli zonards) viveva nelle baracche. Fu qui che scattò
immagini come Due bambini davanti a una roulotte (1931-’36) e Donna e bambino alla
finestra (1935), efficaci ritratti di povertà così come Ragazzino con le scarpe spaiate
(1933). Il bambino tiene gli occhi chiusi e questo - come sottolinea la curatrice - è uno
dei temi che ossessionerà Dora Maar: lo sguardo, la cecità e gli occhi chiusi in trance o
nel sonno.
In un sorprendente fotocollage finora inedito, Ciechi a Versailles, vediamo riuniti nella
residenza dei Re di Francia - visione surrealista - tutti i non vedenti fino ad allora
fotografati da Dora Maar: l’orchestra di ciechi di Barcellona, un uomo-sandwich con gli
occhi chiusi, un cieco che canta e un bimbo che dorme.
L’impegno politico di Dora coincide con il suo ingresso al gruppo surrealista.
Dora Maar era inevitabilmente attratta dalle idee surrealiste: oltre a schierarsi dalla
parte dei diseredati, aveva un’istintiva e forte inclinazione per il misterioso, il magico e il
soprannaturale e temi fondamentali del credo estetico e ideologico dei surrealisti erano
proprio il pensiero automatico, la follia, l’arte infantile, il mondo primitivo, l’erotismo.
“Rivelare l’inquietante stranezza del quotidiano” diventò uno dei talenti di Dora Maar:
nei monumenti visti da dietro (Scultura di pietra), nelle sculture che danno l’impressione
di volersi staccare da un ponte (Pont Mirabeau), nella iperrealtà di un manichino
dall’ammaliante sguardo (Busto di donna) o nella serie di fotografie di architetture
monumentali che fanno da sfondo a scene scioccanti o enigmatiche realizzate tra il
1935 e il 1936.
Famosissima la foto Il simulatore (1936) che altro non è se non una veduta capovolta
delle arcate dell’Orangerie del castello di Versailles. Il soffitto diventa pavimento, arcuato
come la curva descritta dal corpo del ragazzino che sembra in precario equilibrio.
Spesso Dora dimostra grande senso dell’umorismo, come nel collage in mostra,
anch’esso inedito, Villa in vendita, oppure in Veduta del ponte Alessandro III (1931- 1936
c.) dove la particolare inquadratura trasforma in un fallo la fiaccola stretta nella mano
di una figura femminile scolpita.
Si susseguono in questi anni le esposizioni: alla “Mostra Surrealista” di Tenerife nel
1935 e, nel 1936, a “Fantastic Art, Dada e Surrealismo” di New York, alla mostra “Objets
Surréalistes” alla Galleria Charles Ratton e alla “Mostra Internazionale del Surrealismo”
di Londra.
Dora Maar alternava la fotografia sperimentale a quella commerciale. Eseguì ritratti,
foto di nudi, pubblicità. Come alcuni fotografi suoi contemporanei adottò un linguaggio
sperimentale per i suoi incarichi commerciali: la solarizzazione, l’uso del negativo, la
sovrimpressione e il fotomontaggio furono alcuni dei procedimenti che utilizzò, per
esempio, nelle due versioni di Bagnante, dove alle modelle che pubblicizzano un costume
da bagno sono sovrimpressi i riflessi dell’acqua della piscina. Pubblicò su giornali di
moda e anche su alcune piccole riviste erotiche che uscivano negli anni Trenta come
“Beautés Magazine” o “Amours de Paris”: pensiamo alla foto Assia, nudo e ombra, ecc.
Tra i tanti ritratti, sono bellissimi quelli di Nusch Éluard, come quello come le mani
accostate alle guance contro uno sfondo nero, intenso e drammatico, che tornerà
anche nel Ritratto in chiaroscuro di una donna bionda, il viso appoggiato sulla mano e
nel Ritratto in chiaroscuro di una donna bionda con le braccia incrociate.
Di Jean-Louis Barrault, nel cui studio Picasso avrebbe poi dipinto Guernica, Dora Maar
scattò due immagini sensazionali, una delle quali in mostra, mentre nei ritratti di Marie-
Laure de Noailles e del poeta René Crevel - lavori inediti presentati per la prima volta
in questa occasione - troviamo vecchi negativi degli anni Trenta successivamente
rielaborati, come lei amava fare, con ottimi esiti.
Una novità è anche il ritratto, da piccola, di Aube Breton figlia di André Breton e
Jacqueline Lamba ai quali Dora era molto legata.
Il 7 gennaio 1936 Paul Éluard presentò Dora a Picasso e tra i due ebbe inizio una relazione,
passionale e tormenta.
Lavorarano insieme a un gruppo di opere che combinavano le tecniche del fotogramma
e del cliché verr e Dora fotografò le diverse fasi di realizzazione di Guernica, lasciandoci
uno straordinario documento sulla genesi e l’evoluzione di questo capolavoro.
Nel 1937 c’è il riavvicinamento di Dora alla pittura che non abbandonerà più fino alla fine
della sua vita, mentre Picasso la immortala in quegli anni in innumerevoli tele: all’inizio
bella e malinconica con un corpo bianchissimo e sensuale, ma a partire dal ‘38 chiusa
in un intreccio di linee sottili, “come una rete o una griglia - nota la Combalìa - metafora
del suo carattere tormentato e incostante”.
In mostra si potrà rivedere Dora in un olio di Pablo del ’39 ma anche in un piccolo,
straordinario bronzo realizzato dal grande artista nel ’41.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale la coppia si stabilì a Royan ma negli anni
seguenti i fatti precipitarono: la fuga del padre in Sudamerica per timore di essere
scambiato per ebreo, l’arresto nel ‘42 della madre rimasta in Francia e la sua morte
per un’emorragia cerebrale, l’angoscia provocata dall’invasione tedesca, i tradimenti di
Picasso e la sua relazione con la giovane pittrice Françoise Gilot.
Troppo per Dora.
Nel 1945 dopo una serie di bizzarri comportamenti, la sua instabilità sfociò in una grave
depressione che superò solo negli anni - vivendo ritirata da tutti - grazie alla psicanalisi
di Lacan e al ritorno alla religione.
Dora Maar si spense a Parigi nel 1997.
Catalogo Skira – Milano, 2014
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Barbara Paganin
Memoria aperta
Press preview: venerdì 7 marzo dalle 11 alle 13
Palazzo Fortuny
San Marco 3780 – San Beneto, Venezia
Orario: 10.00 - 18.00 (biglietteria 10.00 – 17.00); chiuso il martedì, 25 dicembre e 1 gennaio
Biglietti
Intero: 10 €
Ridotto: 8 €: ragazzi da 6 a 14 anni; studenti dai 15 ai 25 anni; accompagnatori (max. 2) di gruppi di ragazzi o studenti; cittadini over 65; personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, titolari di MUVE Friend Card; titolari di Carta Rolling Venice; titolari Carta Giovani; possessori di Museum Pass (indipendentemente dal prezzo di acquisto); possessori di Venice Card Adult e Junior; passeggeri Freccia Trenitalia con destinazione Venezia/Italia; Soci IKEA Family; Soci COOP; Soci ARCI; Soci Touring
Club Italiano; Abbonati Musei Torino e Piemonte 2012 (è richiesto un documento)
Gratuito: portatori di handicap con accompagnatore; guide autorizzate; interpreti turistici che accompagnino gruppi; Partner ordinari MUVE