Nella mostra dedicata ai piu' giovani l'attenzione e' focalizzata sulla fotografia, gia' parzialmente documentata, in versione analogica e digitale.
Nella mostra dedicata alle giovani presenze a Brescia l’attenzione è focalizzata sulla fotografia, già parzialmente documentata, in versione analogica e digitale, nelle precedenti edizioni, soprattutto in termini di confronto con le tecniche tradizionali della pittura e con quelle nuove, mediali e virtuali.
Gli artisti che espongono testimoniano con le loro opere in formato digitale la straordinaria insostituibilità e vitalità di questo mezzo espressivo, dopo più di due secoli dalla sua invenzione, mostrandone l’aspetto narrativo ed artistico non subalterno, capace di contaminazione con linguaggi diversi, attento al reale e poliedrico nei significati. Cinque autori con storie, background e poetiche differenti sono accomunati dal desiderio di esplorare le possibilità di trasformazione, di slittamento e trasfigurazione dell’immagine riprodotta nei loro scatti.
Nell’esposizione si può percorrere una sorta di sentiero che attraversa iconografie differenti: partendo dalla rappresentazione di elementi naturali, osservati da un punto di vista nascosto, soggettivo e particolare, passando per visioni urbane dove si manifestano presenze umane appena intuite, incontrando scatti autobiografici dove l’autore ritrova architetture che affiorano dai ricordi, fino a situazioni dove il fotografo diviene testimone presente di eventi non propri, per concludersi in un teatro umano ed artificiale insieme, che comunica con simboli contemporanei.
Accade dunque, lungo questo percorso, che lo spazio fisico diventi luogo ambiguo tra realtà e rappresentazione, la percezione individuale si amplifichi, le cose banali e quotidiane assumano significati metaforici e si connettano in dimensioni simboliche, le immagini della natura si trasfigurino, i corpi mutino in metamorfosi rese possibili da accostamenti simultanei.
Le immagini di Michele Gusmeri, apparentemente “en plein air”, fanno parte della serie Doppia luce e sono frutto della sovrapposizione tra una prima rappresentazione ed una successiva: sono state scattate nel suo studio cogliendo riflessi di luci e ombre che provengono dalle finestre, diretti sulle stampe di paesaggi - cieli, boschi , rami, nuvole - precedentemente fotografati all’aperto.
Colpite da una nuova luce, non originaria, le fotografie esposte si caricano di qualità pittoriche inusuali, mostrano vibrazioni e tagli visivi irreali, riflettendo in modo lieve elementi ad esse estranei. L’autore sembra tentato dal ripetere innumerevoli volte il processo, sommando nuovi contenuti a ciò che è già stato fissato, cogliendo ad ogni passaggio della luce nuove suggestioni sulle immagini precedenti, in una sorta di gioco delle stratificazioni in divenire, sperimentando le molteplici possibilità della visione.
Jasmine Carter racconta, con le sue fotografie, paesi lontani assaporati col gusto del viaggiatore avido di suggestioni ed insieme oggettivo. Gli scatti appartengono a un progetto più ampio chiamato Shidai Kuwou (Anacronismo), ambientato nella Cina dell’Est, dove siti antichi toccati dal degrado che avanza, testimoniano il paradosso della convivenza con architetture contemporanee.
I silenziosi scorci urbani della Cina orientale che compaiono nella serie Gosth town sono percorsi da una sorta di inquietudine di fondo, nonostante l’apparente immota calma disabitatata di strade, vicoli, cortili e giardini. Jasmine li riprende quasi furtivamente, cogliendo aperture preziose e tagli visivi che si sviluppano in profondità; il contrasto tra la percezione e la realtà che sfugge alla comprensione fa intravedere la persistenza di effimere presenze umane che appaiono e scompaiono: nelle stampe rimangono le loro tracce sottili come fantasmi, al centro della composizione, aura sottile, metafora di chiusure difficili da penetrare.
Le architetture che fanno da sfondo al racconto autobiografico di Stefania Zorzi sono quelle del ricordo, come indica il titolo della serie, Memoria in passi. L’artista rievoca i luoghi dove da bambina ha vissuto, autoritraendosi con una serie di autoscatti mentre rivive sensazioni trascorse nella casa di famiglia. Sale le scale fino al terrazzo, che fu luogo d’incontro e di rilevanza emotiva, sulle orme di una ricostruzione ‘storica’ fatta attraverso il recupero di vecchie fotografie. Ri-calcando le scene già percorse nell’infanzia, Stefania adulta cammina con leggerezza sulla traccia dei ricordi. Nella sequenza gli stati d’animo passati e gli attuali si fondono: il timore e allo stesso tempo la curiosità infantile di oltrepassare soglie, il tempo sospeso sulla scala, i passi e le pause che anticipano la melodia silenziosa per la danza finale, lo stupore della notte assaporata sul terrazzo. Visioni tra sogno, curiosità e presenze rievocate.
Anche nelle fotografie di Nicholas Sudati l’io narrante è presente, ma nel senso diametralmente opposto al precedente. In questo caso l’operazione riguarda l’inserimento artificioso dell’immagine dell’autore in un contesto che non gli sarebbe stato possibile: per epoca , condizioni sociali, storiche, o semplici contingenze.
Nelle motivazioni dell’operazioni che vede, nella serie Present, Nicholas testimone di vicende che hanno toccato collettivamente ed emozionalmente la vita italiana negli ultimi sessant’ anni, è innanzitutto evidente la decisa rivendicazione del ruolo del fotografo, nell’ambito della tecnologia digitale, come artefice dell’opera e manipolatore della natura apparentemente neutrale dell’immagine.
Con un ritratto inserito successivamente in una fotografia documentaria si attua dunque la possibilità “fisica” a testimoniare eventi emblematici della storia del paese, condividendo con scatti impossibili, dall’ apparente forza oggettiva e giornalistica, emozioni, pulsioni, sogni, vite di una o più persone.
Le immagini di Dorothy Bawl sono costruite come un’azione recitata, con un set fisso che fa da sfondo: una stanza qualunque riconoscibile dal fondo neutro e da macchie di colore che sono diventate per la loro reiterazione una sorta di sigla dell’autore. I corpi degli “attori”- modelli mettono in scena, senza connotazioni esibizionistiche, narrazioni dove si sviluppa, per contrasto alla spoglia povertà del fondale, la meraviglia magica dei colori, dei gesti, delle esagerazioni, delle fantasie, dei simboli. Ne risultano opere dove le suggestioni cinematografiche, a partire dal Mago di Oz, si uniscono alle intuizioni e alle associazioni mentali, alle assonanze visive e anche alla pura casualità del quotidiano.
All’aspetto apparentemente ludico si unisce il rapporto ambivalente con la contemporaneità: alla magia visiva che attrae fa da contraltare un giudizio sulla realtà contemporanea a volte amaro, a volte ironico e disincantato, a volte affascinato, convenzionale ed anticonvenzionale insieme.
Pia Ferrari
Inaugurazione 12 aprile ore 18
Associazione Artisti Bresciani - AAB
vicolo delle Stelle, 4 Brescia
tutti i giorni dalle 15.30 alle 19
ingresso libero