Civica Galleria d'Arte Moderna - GAM
Gallarate (VA)
viale Milano, 21
0331 791266 FAX 0331 791266
WEB
Ernesto Jannini
dal 6/2/2004 al 21/3/2004
0331 791266 FAX 0331 791266
WEB
Segnalato da

Sara Magnoli, addetta stampa Comune di Gallarate (Va)




 
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6/2/2004

Ernesto Jannini

Civica Galleria d'Arte Moderna - GAM, Gallarate (VA)

Mostra antologica curata da Edoardo Di Mauro. Questa personale e' tesa a proporre al pubblico vent'anni del lavoro dell'artista.


comunicato stampa

Mostra antologica
curata da Edoardo Di Mauro

Inaugurazione sabato 7 febbraio 2004 alle 17.30

Per il museo civico gallaratese si tratta di un prestigioso ritorno: Jannini, classe 1950, è stato già ospite alla Civica Galleria d’Arte Moderna negli anni passati, in tre rassegne collettive esposte negli anni dal 1994 al 1997: quella che si va a inuagurare nel febbraio prossimo è però la prima personale gallaratese, tesa a proporre al pubblico vent’anni del lavoro dell’artista, il motivo conduttore che l’ha guidato lungo la sua strada.

Scrive il curatore della mostra Edoardo Di Mauro che “l’analisi della poetica di Enesto Jannini ci consente di gettare uno sguardo radiante sulle vicende dell’arte negli ultimi trent’anni, in quel lasso di tempo, quindi, che ne ha segnato l’ingesso in una delicata fase di passaggio, nella quale siamo ancora in buona parte immersi, seppure in presenza di una situazione che all’oggi pare in inquieta mutazione. Jannini [...] testimonia con il suo lavoro tutte le principali vicende di un “fine secolo” che ha di pari segnato l’ingresso in una nuova epoca” (E. Di Mauro, aprile 2003).
In effetti, le prime esperienze artistiche di Jannini sono legate a Napoli, sua città natale, e agli ambienti della Facoltà di Architettura dell’Accademia di Belle Arti, in quegli anni fucina di artisti, molti dei quali manterranno un’unità d’azione che costituà il nucleo fondante della rivista “Juliet”. Negli Anni ’70 Jannini con altri compagni dà vita a un collettivo artistico chiamato “Humor Power Ambulante”, dedito a operazioni di arte ambientale pe coinvolgere la popolazione in chiave didattica, pe stabilire una nuova consapevolezza sociale tramite la realizzazione di peformances e la produzione di opere prodotte con materiali di recupero e in uno stile “povero”. Non solo: con il gruppo di teatro sperimentale “Libera Scena Ensemble”, Jannini agli inizi degli Anni Settanta gira l’Europa (Erlangen, Varsavia, Cracovia, ma anche Pompei, Salerno, Napoli, città, tra l’altro, quest’ultima, dove forte è il suo impegno in gruppi di animazione urbana nei quartieri prevalentemente proletari). Ed è nel 1975 che Jannini, con il suo Gruppo degli Ambulanti, viene invitato la prima volta alla Quadriennale di Roma. L’anno dopo è invitato alla Biennale di Venezia curata da Enrico Crispolti, sul tema “Ambiente e Società”, proprio pe questa sua caratteristica di porsi su un piano di comunicazione sociale attraverso la teatalizzazione dell’ambiente urbano.

I lavori di Jannini negli Anni Settanta si realizzano con strumenti artistici provenienti dal riciclo di oggetti di recupeo, oppure insoliti e legati a gesti quotidiani, pur connotandoli in maniera particolare. “Una carica di giocoso spirito ludico si manifesta [...] nelle [...] installazioni di quel periodo, in cui Jannini ed il suo gruppo compiono un generoso tentativo di portare l’arte per le strade ed i vicoli di Napoli, negli ambienti popolari e sottoproletari, senza camuffamenti intellettualistici o compiacimenti populisti, mescolando i simboli della autentica arte popolare” (E. Di Mauro, aprile 2003).
Nel 1979 si trasferisce a Como dove realizza i suoi grandi Scudi, tra l’altro oggi custoditi proprio alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate (più tardi si sposterà a Milano). Degli Scudi scrive nel 1985 Roberto Vidali: “Non propriamente scultura, non pienamente architettura; se della prima hanno la forma, ma non il corpo interno, della seconda, pur avenone la struttura, non gli appartiene l’uso. Sono scheletro e pelle, ossatura rigida e membrana secca: nel mezzo, nel pieno d’aria, l’assenza della carne da cassa di risonanza. Ogni loro pelle, tesa e bruciata dal colore, si tatua con la grafia rituale: ora scabra e ora levigata, rinvia a quella che gli sta vicino; la luminosità di una si riflette in quella negra dell’altra; ognuna è realtà assoluta ma anche relazionata, è il sé e gli altri, è la propria pupilla che viene assorbita nei corpi vicini. Sono questi gli scudi di Jannini; appoggiati alle pareti di una stanza sono Menhir, sono le stoffe sacre della nostra civiltà”.
Gli Scudi sono realizzazioni di ampie dimensioni, dipinti con tinte vive: una fase artistica, quella degli Scudi, che Di Mauro definisce “mediana” tra quella delle origini e l’attuale, in cui passato e presente dialogano per indicare il futuro. Ecco dunque, dalla metà degli Anni Ottanta, apparire una sorta di “acheologia del presente” (E. Di Mauro, 2003), con una pittura che si caratterizza fortemente con il linguaggio metropolitano dei fumetti, della pubblicità, della moda. Accanto a questa trova spazio un’astrazione geometrizzante anche a livello di installazioni, con un assemblarsi di oggetti quali microchip, circuiti, schede per computer in cui convivono “natura e tecnologia, immaginazione e realtà. [...] Il mondo sta cambiando e [...] muteanno di conseguenza anche le caratteristiche di chi lo abita. E non in meglio. Ma, secondo l’artista, l’uomo el terzo millennio non si accontenterà di sconvolgere soltanto la Terra e metterà a soqquadro l’intero sistema solare” (Maurizio Sciaccaluga, 2001). Ecco dunque l’uso costante di intelaiature di microchip su cui Jannini interviene con venici, luci al neon, per realizzare articolate installazioni ambientali.

Scrive Renato Barilli nel 1993: “Se dovessi dire in breve qual è l’idea centrale attorno a cui si coagula il lavoro di Jannini, palerei di una equivalenza tra ciò che è fisicamente voluminoso, ingombrante, e una sua riduzione a un sottile reticolo “informativo”. Se si vuole, è il classico rapporto tra hardware e software, o in temini ancor più comuni, quello tra corpo e spirito, tra la nostra macchina anatomica fatta di muscoli e le terminazioni nervose che la percorrono”.
Jannini, insomma, fa scivolare il presente tecnologico nel lavoro artistico, nella convinzione che l’arte sia da intendersi come organismo vivente: eppure è spesso la componente tecnologica a aggredire la natura, nell’incontro tra ciò che è, appunto, natura, e ciò che è tecnologia, fino a quando la natura esce di scena e resta vincitore l’aspetto tecnologico.
Nell’antologica di Gallarate Jannini, in definitiva, sottoponendo all’esame del pubblico vent’anni del suo lavoro, “non può non mettere a nudo il motivo conduttoe che l’ha guidato lungo la sua strada. Direi che si tratta di una reciproca contaminazione tra due momenti così centrali ed essenziali come sono quelli della natura e dell’artificio, del buon mondo così com’è e dell’insidia che esercita nei suoi confronti la crescita incontenibile della tecnologia” (Renato Barilli, 2003).

Ingresso libero

Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate (Va)

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