Galleria Civica d'Arte Moderna Palazzo Collicola-GCAM
Atsuko Tanaka
Yoko Ono
Kazuko Miyamoto
Chiharu Shiota
Matteo Basile'
Francesco Bosso
Ria Lussi
Franca Pisani
Valentina Gioia Levy
Gianluca Marziani
Emanuele De Donno
Giorgio Maffei
The pink gaze e' una collettiva con 4 tra le piu' significative artiste giapponesi: Atsuko Tanaka (1932), Yoko Ono (1933), Kazuko Miyamoto (1942), Chiharu Shiota (1972). Unseen e' il nuovo ciclo di ritratti di Matteo Basile', Francesco Bosso presenta le sue nuove serie fotografiche, di Ria Lussi sono in mostra 12 sculture di vetro, Libri a regola d'artista e' concepita come documentazione della rassegna biennale Liberolibrodartistalibero nata nel 2002, Franca Pisani espone dipinti e sculture a tema antropologico.
The pink gaze
Atsuko Tanaka, Yoko Ono, Kazuko Miyamoto, Chiharu Shiota
a cura di Valentina Gioia Levy
A sessant’anni dalla firma dell’accordo di cooperazione culturale tra Italia e Giappone e dall’entrata in vigore della Convenzione Internazionale sui diritti politici delle donne, il Museo Nazionale d’Arte Orientale (Roma) e Palazzo Collicola Arti Visive (Spoleto) sono lieti di presentare una collettiva con quattro tra le più significative artiste giapponesi contemporanee: Atsuko Tanaka (1932), Yoko Ono (1933), Kazuko Miyamoto (1942), Chiharu Shiota (1972). Quattro donne che, pur diverse per background, ambito di ricerca e forme espressive, attraverso le loro opere incarnano l’essenza di quattro periodi fondamentali della storia giapponese: l’immediato Dopoguerra, gli anni Sessanta, l’epoca del boom economico, il nuovo millennio. Il filo rosso che lega le artiste riguarda la volontà di oltrepassare il confine tra arte e vita, filtrando, attraverso la loro sfera emotiva, avvenimenti e fantasie, mitografie e realismi, sogni e disillusioni. Pittura e disegno, scultura e installazione, video e performance sono i diversi medium utilizzati per esplorare quella realtà che penetra e traspare nella loro produzione artistica, recando in sé le caratteristiche di un vissuto privato e al contempo generazionale.
Atsuko Tanaka (1932-2005), tra i membri fondatori del gruppo Zero, aderisce da subito al movimento Gutai, fondato da Jiro Yoshihara. Nota in particolare per il suo “Electric Dress” (1956), vestito realizzato interamente con neon colorati, Tanaka è una delle prime artiste a esplorare il rapporto tra la corporeità femminile, l’abito e lo spazio. La sua ricerca pittorica è basata, come per tutti i membri di Gutai, sulle sperimentazioni di tecniche e materiali, sull’innovazione delle forme e sui meccanismi processuali. Tanaka rappresenta bene l’immagine del Giappone del Dopoguerra, Paese provato da un lungo conflitto, ansioso di liberarsi da sovrastrutture e imposizione totalitaria. Una ricerca per dimenticare il passato, guardare al domani e ritrovare libertà espressiva attraverso la valenza evolutiva del nuovo.
Rottura con la tradizione e orientamento verso il futuro sono i punti condivisi da Yoko Ono (1933), selezionata per rappresentare gli anni Sessanta, in particolare quell’ambito che lo storico dell’arte Tono Yoshiaki definì “la post-Hiroshima generation”. Le contestazioni giovanili, i movimenti pacifisti e i tentativi del Giappone di affrancarsi dagli Stati Uniti, fanno da sfondo a una raffinata ricerca da cui traspare, con sintesi e impatto catartico, la volontà di mescolare realtà e utopia. L’individuo nella sua complessità fisica e psicologica, il corpo-psiche e i suoi meccanismi relazionali con il sistema mondo, sono da sempre il principale contenuto nelle visioni dell’artista. La mostra presenta alcuni film realizzati nell’ambito del movimento Fluxus: “Eye Blink”, “Bottom”, “Rape” e “Fly”, oltre ad alcuni progetti relazionali che si fondano sul tema dell’utopia.
Con Kazuko Miyamoto (1942) si passa al periodo successivo, il ventennio a cavallo tra la fine dell’epoca Showa (1926-1989) e l’inizio di quella Heisei (1989-). In questo spazio di tempo, scandito dalla morte dell’imperatore Hirohito (1901-1989), il Paese giunge al suo apice di ricchezza per poi entrare nella sua più profonda crisi economica. A livello artistico, come nel resto del mondo, il crollo delle utopie rimette in discussione i principi della modernità. Miyamoto, nota dagli anni ’70 negli ambienti del minimalismo americano (grande importanza avrà la sua collaborazione con Sol LeWitt), a partire dagli anni ’80 orienta la ricerca verso problematiche di matrice identitaria e gender. La mostra presenta i lavori riconducibili a tale filone, generalmente poco esplorato, presentando una selezione di opere-kimono, oltre a disegni e fotografie che documentano le sue performance.
Si entra, infine, nel nuovo millennio con la più giovane delle artiste, Chiharu Shiota (1972), nata nel periodo in cui iniziano a manifestarsi le contraddizioni socio-culturali di una nazione cambiata troppo in fretta. Nei lavori di Shiota, famosa per alcune installazioni monumentali dove il delicato dialoga con il conturbante, si legge l’inquietudine di una memoria che riaffiora dal sogno, vicina in alcuni casi all’incubo. Nella sua ricerca, dove la tendenza all’opera ambientale si fonde con la performance relazionale, emergono la disillusione e il malessere di un’intera generazione. La mostra presenta alcuni disegni, fotografie e alcuni video che permetteranno di comprendere i confini elastici della sua pratica artistica.
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Matteo Basilé
Unseen
a cura di Gianluca Marziani
Il Piano Nobile di Palazzo Collicola apre le sue quinte per un nuovo progetto unitario, disegnato in maniera “sartoriale” sull’aura delle sale, con la logica installativa di un dialogo tra antico e contemporaneo. Matteo Basilé ha seguito le superfici, il mobilio, i vuoti, le prospettive e le evocazioni che il luogo rilascia. Non si è lasciato intimidire dal modello settecentesco dell’appartamento nobiliare, al contrario ha alimentato un cortocircuito tra la sua fotografia e le amenità preesistenti del palazzo. Ha accettato la sfida di un allestimento anomalo, difficilmente immaginabile quando s’inseriscono quadri senza usare i teoremi tradizionali del muro. Un processo percettivo e sensoriale, elaborato per indagare il codice multiplo della fruizione, lo scarto prospettico, l’anomalia come evoluzione iconografica. Nel caso di Basilé, autore d’immagini in cui spicca l’energia magnetica del contesto scenico, ecco che il Piano Nobile diventa un completamento narrativo, il luogo ideale per esaltare la complessità psicologica dei volti, per definire il paesaggio interiore, il valore della memoria, l’estasi del contrasto risolto.
UNSEEN è il titolo del nuovo viaggio ciclico di Basilé. Una traiettoria drammaturgica del suo ritrattismo, virata nei margini densi del nero cosmico, verso una dimensione dell’animo sospeso, della crisi spirituale di un nuovo millennio, dove il nero implica vertigini emotive ma anche la necessità di una luce, di un’accensione morale che faccia vibrare lo sguardo dei suoi protagonisti.
Matteo Basilé agisce dentro il margine astronomico di un buio abissale, un nero che è figlio di antiche drammaturgie, pulsante come i fondali mefistofelici di certa pittura olandese (seicentesca ma anche recente, basti pensare a quel clima omogeneo che va da Rembrandt alle foto di Erwin Olaf). Basilé ha il centro prospettico nel volto: qui risiede il punto di fuga del suo paesaggio umano ad alto valore (meta)storico, qui matura un ritratto che nasce dalla partenogenesi del nero e che al nero della morte torna, come diapason impassibile e catartico… nero del Barocco, nero catacombale, nero caravaggesco, nero modulato di Francesco Lo Savio, nero di “ex film” e Polaroid firmate Mario Schifano, nero postpop di Franco Angeli…
UNSEEN è anche un radicale omaggio a Roma, alla sua storia di catacombe e Barocco, papi e imperatori, morti e tramonti infuocati, bellezza e crudeltà. Perché Roma ha moltissimo nero dentro il suo corso secolare, un nero che è sintesi di rosso sangue e misteri notturni, intrighi e malvagità, nero che unisce il potere con la potenza, la carne con il misticismo… Roma sacra e profana, città che resta metaluogo nei secoli, corpo (quasi) immobile ma dal metabolismo furioso e inquieto… una Roma dove Matteo è cresciuto, dove è maturato il suo sguardo, la sua cognizione del dolore e della rinascita virtuosa. Qui nel nero si formula un nuovo volto: eterno e in continua evoluzione, immagine che assorbe la responsabilità degli immaginari, ritratto oltre un solo tempo e un dato spazio… il ritratto rinasce dal vero per aspirare all’impronta universale.
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Francesco Bosso
White Golden Dark
a cura di Gianluca Marziani
La ricerca fotografica di un artista del paesaggio contemporaneo
La virtù estetica incontra il rigore tematico e la caratura concettuale
Tre cicli sul filo della continuità evolutiva. Una visione omogenea
Francesco Bosso presenta a Spoleto la nuovissima serie “After Dark”, oltre alle precedenti “White World” e “Golden Light”. Un triplice viaggio nello scatto panoramico che si trasforma in materia pittorica, tra variazioni infinitesimali del bianconero e atmosfere emozionanti, astrattismi onirici e geometrie calibrate. Eccola, la fotografia pura che supera il confine del tempo tecnologico, varcando la soglia metafisica dello spazio alieno, dei luoghi che diventano geografie mentali, della bellezza che si alimenta d’immagini pure, rarefatte come l’acqua placida di un mare nordico.
GOLDEN LIGHT è un’immersione figurativa nel paesaggio islandese. Bosso ha scovato una sintonia alchemica con l’isola nordica, un dialogo di preziose intonazioni che si esprime nel rigore sacrale dell’atmosfera, nei volumi plastici delle montagne, nella densità oleosa dell’acqua, come se tutto fosse mercurio che trattiene la luce, irradiando riflessi metallici e raggi solarizzati. Qui la luce esprime un apice modellante, diventa materia solida che profila i volumi del paesaggio, al punto da rendere il colore una somma epidermica e muscolare.
AFTER DARK prosegue idealmente la ricerca di “Golden Light”, lungo una discesa graduale nei toni più scuri, nelle modulazioni minuziose del grigio, tra contrasti marcati e la decisa astrazione dell’inquadratura. Qui tutto è pura essenza, archetipo di forme mentali, geometria siderale che varca il ciclo organico della figurazione naturistica. L’immagine si purifica da qualsiasi scoria iconografica, seguendo l’imprinting architettonico di Cartier-Bresson, creando visioni sublimi che si allontanano dal terreno e disegnano immaginari.
WHITE WORLD è il ciclo della saturazione, la vertigine del bianco siderale, l’estasi che porta verso il buio necessario. Gli spazi narrati confermano il pittoricismo di Bosso e la sua coscienza astratta, un codice espressivo che cerca l’ideale platonico oltre la superficie, l’emozionalità oltre l’apparenza oggettiva, l’atto poetico oltre il fatto narrato.
Molti occhi esperti puntano sul talento di Bosso. La sua concezione del paesaggio panoramico ha il respiro armonioso della pittura romantica, Caspar David Friedrich per capirci, metabolizzata e dimensionata sul peso contemporaneo della visione fotografica. Da sempre predilige il bianconero modulare, fatto di molteplici variazioni del grigio e delle scale tonali intermedie. La sua espressione ragiona in modo pittorico, dentro il naturismo potente del paesaggio incontaminato. Una visuale metodica e lentissima, frutto di lunghe attese nei posti prescelti, di materiali pregiati su cui stampare, di tecniche dalle calibrature infinitesimali. Il risultato dei suoi cicli è un viaggio sospeso, uno stadio gassoso dello sguardo, pura astrazione dentro la potenza del cammino intrapreso. Bosso sembra disegnare con la rarefazione atmosferica, dando densità all’aria, ai cieli, alle superfici acquatiche… i suoi luoghi si trasformano in un limbo alieno, privo di umanità in campo, un metamondo galleggiante impresso sulla gravitazione del reale.
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Ria Lussi
Imperatori di luce
a cura di Gianluca Marziani
Le grandi famiglie italiane, fin dai luminosi fasti rinascimentali, avevano l’abitudine di chiamare gli artisti per raffigurare gli Imperatori Cesari e decorare così le loro Gallerie. Un racconto scultoreo che certificava lo status normativo del potere raggiunto, decisivo per rafforzare il codice del presente sulla scia del passato illustre, fortificando la genìa attraverso il privilegio del confronto storico. La famiglia Dorja Pamphilj conserva tuttora un gran numero di teste dei Cesari, collezionate nei secoli da avi illustri e oggi raccolte nei Palazzi di Genova e Roma.
Sul codice di un mecenatismo che ha varcato i secoli, la famiglia Dorja Pamphilj riporta l’attenzione sulla commissione come forma elaborativa di un immaginario, proseguendo la ritualità delle antiche abitudini ma con accenti contemporanei, regolati sulla misura linguistica del presente. Il profilo del rinato mecenatismo si condensa nel progetto Serie Contemporanea. La prima commissione, focalizzata su un gruppo di Imperatori, nasce dalla volontà dei coniugi Massimiliano Floridi e Gesine Doria Pamphilj. L’artista prescelta, Ria Lussi, ha lavorato oltre un anno tra studio teorico, preparativi tecnici e correzioni strategiche. Il risultato ha visto un primo palcoscenico nei giardini della Villa del Principe a Genova, pronto a spostarsi in autunno nella Galleria Doria Pamphilj di Roma. Tra le due polarità architettoniche il progetto prevede questa tappa speciale a Palazzo Collicola Arti Visive, dove i dodici busti si completeranno con i disegni originali, spunto iconico da cui tutto parte, e un’installazione murale in neon colorato, spunto narrativo con cui l’idea (prologo) e la forma (epilogo) si fondono assieme.
Attraverso dodici ritratti, da Giulio Cesare a Costantino XI, la serie racconta la trasformazione dell’Impero Romano e Bizantino che, "illuminato" dalla dottrina cristiana attraverso la sua storia millenaria, rinnova nel tempo il proprio codice morale. Una nuova luce, quella del Cristianesimo, espressa dall’artista attraverso il vetro, materiale fragile e prezioso che varca il confine linguistico della scultura contemporanea.
La realizzazione delle opere è avvenuta a Murano con sapienti maestri vetrai della Fornace Berengo. Ria Lussi, dopo un anno di analisi storiche e iconografiche, ha interpretato gli archetipi in modo irriverente e ironico, legando contrasti e chiave filosofica, ibridazioni e cortocircuiti.
Il vetro dimostra l’ambivalenza e la malleabilità del presente. Un materiale che apre nuovi profili alla scultura contemporanea, definendo un implicito codice tecnologico, spirito del nostro tempo inquieto, dove una materia così elastica incarna idealmente l’anima trasformista del digitale e della cultura scientifica in genere. Nel vetro respirano antiche tecniche e visuali cosmiche, come se la sua densità acquatica nascondesse le radici antropologiche e il valore veggente del domani. Il vetro sembra figlio dell’universo sconfinato, sintesi di polveri cosmiche e stelle pulsanti, fattore terrestre e al contempo alieno, manufatto onirico con il mistero dentro la trasparenza.
Un viaggio volumetrico sul tema universale del potere, espresso dalle storie in vita degli imperatori ma anche da ciò che rilasciano a distanza di secoli. E’ la conferma di una spiccata attualità progettuale che s’innesta nello spirito culturale di un’antica famiglia italiana. Ed è anche la nuova vita del vetro, finalmente modulato con pura coscienza scultorea, senza scie decorative, lungo poetiche fragilità che danno al materiale un’umanità pulsante e non solo metaforica.
Gianluca Marziani, curatore della mostra, afferma che “Il vetro dimostra l’ambivalenza e la trasformazione elastica del presente. Le sculture s’integrano nei margini dell’antico e stimolano l’esperienza sinestetica del pubblico. La mostra sarà una geometria sensoriale e polifonica, sul confine metabolico in cui la memoria definita riscrive la foliazione plastica dell’oggi.”
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fino al 13 luglio
Artist's book rules/Libri a regola d'artista
a cura di Emanuele De Donno, Giorgio Maffei
Apre, sabato 28 giugno alle ore 16,00 la mostra Artist's book rules/Libri a regola d'artista a cura di Emanuele De Donno e Giorgio Maffei, concepita come antologica documentazione dell'intera rassegna biennale LIBEROLIBROdARTISTALIBERO nata nel 2002.
Il progetto FREEbook 7/LIBEROLIBROdARTISTALIBERO7-2014 di VIANDUSTRIAE e STUDIO A' 87, è un programma sul libro d'artista contemporaneo di cadenza biennale, che con la presente edizione abbina le sedi principali di Foligno e Spoleto a quella esterna di Urbino.
L'idea del percorso espositivo è di raccogliere i “migliori exempla” selezionati dallo storico della manifestazione per descrivere la fenomenologia del libro d'artista e definirne uno statuto in definizioni-regole che lo autorizzano.
La mostra scaturisce da un’indagine sulle citazioni poetiche estratte dai libri e gli statements, definizioni prosaiche-pratiche che preparano lo statuto del libro d'artista. Lo spunto della fondazione delle regole del libro d'artista è un esercizio curatoriale che si affida agli stessi artisti e propone una soluzione a fronte di una perenne indecisione storiografica sul tema.
Per arrivare alle regole si propongono 3 stadi di avvicinamento: la didascalia (identità), la citazione (poetica) e l'affermazione (pratica).
Con 40 libri, 12 citazioni e 10 statements si arriva dunque a definire uno statuto anti-teoretico ed una sommaria antologia delle 6 edizioni precedenti della manifestazione.
I punti di analisi che corrispondono alle sezioni in mostra sono la tipografia, l'im-paginazione, la superficie, la legatura, la grammatura, il volume, il formato, l'allegato, la tiratura, la post-lettura.
La mostra avrà 10 stazioni guida con 10 didascalie maestre corrispondenti a 10 libri-capisaldi; ogni sorgente ha affiancate una serie di opere-libro eredi, derivative o sensibilizzate; il diagramma/panorama va dalle avanguardie artistiche, dai valori assodati e storicizzati alle proposte contemporanee, viventi e fluide.
Il criterio della normalizzazione di opere eccezionali non avrà carattere dogmatico né programmatico in quanto si tratta di definizioni interne pratiche, punti determinati ed appurati dagli stessi autori/fautori.
L'assunto finale dei curatori è che l'aspetto prescrittivo non ostacola la frequentazione di questa rara produzione artistica, il compartimento al contrario alimenta quel percorso di socializzazione ed esplicitazione del libro autorizzato dall'artista.
La ricerca che si addentra nei testi dei libri d'artista estraendone summae avrà un catalogo-compendio progettato con l'intento di evidenziare il display della mostra e il criterio dell'ordinamento: didascalia, citazione, definizione e infine regola.
Evento inserito nel programma ufficiale del FESTIVAL DEI DUE MONDI
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Franca Pisani
Archeofuturo
a cura di Marzia Spatafora e Gianluca Marziani
Franca Pisani presenta a Spoleto una polifonia installativa tra pittura e scultura. I suoi temi antropologici, sul crinale che collega mito e inconscio, ricreano spazi mentali dalla forte connotazione segnica. Un viaggio nelle memorie primordiali, dove il presente ingloba radici e rinascita, dove il passato evoca le frontiere di una continua evoluzione.
Una mostra in quattro atti installativi
Primo atto: composizione tele ossidate + tele ossidate con plexiglas
Sul muro un allestimento compatto di tele ossidate, dipinte con la tecnica del positivo/negativo, ricreata dall’artista attraverso la lavorazione dissonante dei due lati. Sul pavimento una serie di tele ossidate, inserite a misura nei plexiglas sagomati, una sorta di acquari della figurazione primitiva, icone sospese che completano la geografia olistica della sala. In questo primo atto scopriamo figure femminili, volti, oggetti ed elementi della memoria collettiva, trasfigurati da un’asciuttezza primitiva del tratto, da una riduzione che disegna gli archetipi dell’essere, i codici basilari dell’umanità.
Secondo atto: rotolo Attraversamenti + sculture serie Nomadi
Un rotolo industriale di 150 metri scorre sui muri della sala, come fosse un serpente fossile che ha registrato segni primordiali; a dialogare col rotolo alcune sculture polimateriche, denominate “nomadi” per il loro aspetto alieno da viaggiatori cosmici. Il rotolo somiglia a una pelle combusta di qualche animale preistorico, dove le squame sono sostituite dai segni pittorici impressi sul materiale. Le sculture sono un ibrido tra visioni cyber, antichi guerrieri e sognatori leonardeschi, dove la pelle e l’abito si fondono assieme nei bendaggi che rivestono la figura. In questo secondo atto l’artista esprime la vertigine più archeologica della mostra, un attraversamento millenario che odora di caverne e prodromi del linguaggio. Qui senti un rumore secolare che rimbomba di profondità e legno, di formule incise sui muri sotterranei, di simboli con un loro significato collettivo. E’ la luce che illumina la caverna da cui tutto nacque…
Terzo atto: sculture serie Capitani Coraggiosi + grandi tele ossidate
Alcuni busti scultorei in terracotta, poggiati su basi in armonia cromatica: il grigio uniforma testa e basamento, ricreando l’ideale colonna vertebrale degli stessi volti, un prolungamento che esprime sintesi e vertigine organica. Davanti alle teste ecco alcune tele ossidate di grande formato, quasi a certificare una dimensione domestica per le sculture, una superficie che sia campo d’appartenenza, contesto abitabile per il loro sguardo sciamanico. In questo terzo atto la Pisani unisce forze contrastanti, evocando la saggezza che s’imprime nei volti, nei loro pensieri figurati, nei dettagli cromatici che spiazzano il nostro sguardo in una surrealtà magica e visionaria.
Quarto atto: nuove tele
Le nuove tele dell’artista concludono la partitura narrativa del progetto. Sono opere di elegiaca intensità, un simbiotico abbraccio tra segni primitivi e sinuose figure femminili, dove l’evidenza poetica si fonde col codice fossile del segno. L’artista isola la bellezza iconica del corpo riproduttivo, la riconquistata centralità della prospettiva emozionale. E’ la Donna che chiude il cerchio della sinfonia installativa, decretando la persistenza delle radici, l’elegia del linguaggio cosmico, il valore dei valori condivisi.
Scrive Gianluca Marziani: “Quattro atti installativi che definiscono la grammatica estetica e la sintassi concettuale di Franca Pisani. Una mostra polifonica dal suono omogeneo, la sintesi di un viaggio iconografico nelle scie mnemoniche del tempo e nei rumori arcaici di uno spazio liberato. Il linguaggio diviene espressione di una vertigine sentimentale, la radice germinativa che distribuisce le molecole primitive nei campi contaminati del presente. E’ l’arte che conferma il suo esperanto semantico e la sua natura riproduttiva. E’ l’opera che agisce come catalizzatore alchemico, perimetrando il presente con il segno profondo dei codici universali.”
Scrive Marzia Spatafora: “Nelle splendide sale di Palazzo Collicola saranno esposte le opere più significative del percorso della Pisani: la mostra ripropone, infatti, momenti unici e preziosi di Palazzo Sant'Elia a Palermo e delle Halle Am Wasser di Berlino. Gianluca Marziani, direttore del Museo e curatore insieme a me della mostra, con grande intuizione ha scelto un titolo significativo e aderente al pensiero della Pisani, "Archeofuturo", che con una sola parola unisce la dimensione primordiale, elemento caratterizzante delle opere, e la cultura del presente, mai trascurata da Franca.”
Franca Pisani nasce a Grosseto nel 1956. Vive e lavora a Firenze.
Immagine: Matteo Basilé
Sabato 28 Giugno 2014 Ore 16.00
Palazzo Collicola Arti Visive
piazza Collicola, 1 Spoleto
Orario: venerdì - sabato - domenica 10.30-13.00 e 15.30 - 19.00
Biglietto Integrato
intero - € 9.00
ridotto A - € 7.00 (dai 15 ai 25 , oltre 65 anni e oltre 15 persone)
ridotto B - € 3.50 (dai 7 ai 14 anni)
omaggio fino a 6 anni