Viel presenta da pinksummer una mostra costituita da due progetti distinti. 'Diario contemporaneo', un work in progress di 41 disegni tutti del medesimo formato, in cui l'artista ripresenta, rimontandole, immagini diverse provenienti dal flusso onnivoro della cronaca nazionale e internazionale pubblicata su quotidiani e magazine. L'intreccio tra rappresentazione visiva e verbale e' una costante del lavoro di Cesare Viel e connota anche l'altra opera che l'artista presenta per la prima volta da pinksummer. La scultura 'Aladino e' stato catturato', dotata anche di un audio, evoca una performance dal medesimo titolo presentata a 'Fuori Uso' a Pescara e successivamente a Milano.
Cesare Viel (Torino 1964) presenta da pinksummer una mostra costituita da due
progetti distinti. "Diario contemporaneo", un work in progress di 41 disegni
tutti del medesimo formato, in cui l'artista ripresenta, rimontandole, immagini
diverse provenienti dal flusso onnivoro della cronaca nazionale e internazionale
pubblicata su quotidiani e magazine. Raramente i disegni si mostrano nudi e
crudi, Viel li accompagna con una frase scritta a mano, in corsivo. Accanto al
teatro dell'immagine aggiunge quello della parola, facendo emergere il
rapporto/scontro tra i due linguaggi. LÃ dove l'immagine si presenta come fatto
apparentemente oggettivo, la parola interviene tracciando il solco emotivo in
cui la si vuole incanalare, ne indirizza la lettura o, più in profondità , la
stessa percezione. Talvolta si tratta di vere e proprie didascalie descrittive,
altre volte sono frasi tratte da Susan Sontag, Virginia Woolf, Peter Brook o
Paul Auster. La scrittura a mano rimanda al diario, alla soggettività che
ripensa il mondo e che, lo si voglia o meno, lo destruttura e lo ristruttura. Il
messaggio è chiaro, preciso, senza orpelli, semplice e riflessivo, in qualche
modo politico. L'intreccio tra rappresentazione visiva e verbale è una costante
del lavoro di Cesare Viel e connota anche l'altra opera che l'artista presenta
per la prima volta da pinksummer. La scultura "Aladino è stato catturato",
dotata anche di un audio, evoca una performance dal medesimo titolo presentata a
"Fuori Uso" a Pescara e successivamente a Milano. Durante la performance, Viel
rinchiuso per ore in una gabbia leggeva e trascriveva i responsi dei tarocchi al
pubblico: così, catturato, lo intratteneva e si intratteneva giocando
all'oracolo.
INTERVISTA: PINKSUMMER/CESARE VIEL
ps: Nel tuo lavoro sembra centrale il fatto di affiancare l'immagine alla
parola, ma muovendo dalla loro incompatibilità . Forse non si può dire ciò che
si vede, non che la parola sia inadeguata a descrivere le cose, semplicemente
sai che sono irriducibili l'una all'altra. Il luogo del linguaggio non è quello
che vedono gli occhi, ma è quello definito dalla sintassi. Il linguaggio è un
principio maschile, è ciò che caratterizza il conoscere, non è vedere, ma
interpretare. In "Diario" tu decomponi e ricomponi l'immagine secondo la legge
di una tassonomia soggettiva?
cv: L'irriducibilità tra immagine e parola, il loro muoversi su piani diversi e
il metterli in reciproca azione è una costante del mio lavoro. E' una pratica di
destrutturazione e ristrutturazione che m'intriga perché rivela una scissione
produttiva complessiva: dal sentimento consapevole dell'incompatibilità tra i
linguaggi può nascere il desiderio di un rapporto tra le parti che non
sopraffaccia l'altro e non distrugga le diversità . E' quando capisci che i conti
non tornano che accetti di contare. Il lavoro che espongo in galleria, "Diario
contemporaneo", è prima di tutto un infinito intrattenimento. Inizia
nell'ottobre del 2002 e arriva fino al gennaio del 2004, ma in sé è un lavoro
senza fine: proseguirà ancora nel tempo. Per il momento sono 41 disegni su carta
tutti dello stesso formato (29,7 x 42 cm.). La dimensione identica dei disegni è
la prima regola che ho scelto per produrre questo "work in progress". Poi, la
scelta dominante del bianco e nero (solo ogni tanto c'è del colore, ed è sempre
rosso) e del contorno preciso, netto, marcato come quello del tracciato della
scrittura. Le immagini scelte derivano da fotografie pubblicate su quotidiani,
settimanali e riviste. Accanto a ciascuna immagine la scritta a mano di una o
più frasi che funzionano come le didascalie pubblicate vicino alle foto sui
giornali. Determinante per lo svolgimento di questo "Diario" è il rapporto
strutturale tra immagine e frase. Sulla carta stampata le immagini "parlano" al
lettore attraverso la didascalia riportata. Il senso solo apparentemente
denotativo della frase indica il modo in cui dobbiamo "leggere" l'immagine. La
frase pubblicata condiziona l'immagine, la tradisce, la svia, la giustifica,
ecc. ecc. Nel mio "Diario" ho voluto affrontare questo aspetto della
comunicazione quotidiana per immagini, nella quale siamo immersi. L'uso e
l'abuso reciproco che facciamo, e che ci viene fatto, del linguaggio visivo e di
quello verbale. Da questa "gabbia" strutturale non si esce, ma possiamo provare
a giocarla, a rimetterla in una scena diversa e farla "parlare" con altre voci e
altre intonazioni.
Le frasi che riporto accanto o sotto i disegni appartengono, a volte, al livello
della didascalia " denotativa", altre volte provengono da un altro campo
discorsivo e possono essere frammenti di pensiero di autori come Susan Sontag,
Paul Auster, Virginia Woolf, Adolf Loos, Peter Brook. In questo modo si amplia
la possibilità di lettura e di osservazione delle immagini, allontanando la
didascalia dalla sua pretesa di "compatibilità " descrittiva e aumentando il
livello di "scissione" tra testo e immagine. Proprio per questo però, nello
stesso tempo, l'immagine alla fine si avvicina di più a noi in termini emotivi.
Da qui il titolo del lavoro: "Diario contemporaneo", che inserisce elementi di
soggettività .
ps: L'io generico che caratterizzava il concettuale degli anni '60 incentrato
sui procedimenti piuttosto che sull'opera finita, metteva in discussione il
concetto di autore smaterializzando l'opera. Pur recuperando la disamina
razionale dura e pura, tu insieme a molti artisti della tua generazione avete
reintrodotto il concetto di autore e con esso quello di emotività .
cv: Dal concettuale ho ereditato la pratica della consapevolezza che tutti gli
strumenti che usiamo non sono innocenti o neutri, ma sono il frutto di una
costruzione culturale, di un'elaborazione linguistica che si mostra, si fa
vedere. Nello stesso tempo, la purificazione, la smaterializzazione concettuale
dell'arte ha prodotto in fondo il desiderio e la consapevolezza del suo
contrario: intervenire sugli aspetti impuri, ingombranti e non eliminabili
dell'identità , della realtà e dell'emotività di ciascuno. Ci sono voci,
sentimenti, conflitti e limiti alla docilità dei corpi (come diceva Foucault).
Esiste l'impossibilità di una completa svaporizzazione dell'io, il rapporto
inevitabile e forte tra l'io e il tu, l'attrazione del dialogo tra le
soggettività . Tutto questo ha prodotto nella mia generazione la tendenza ad
affrontare un'arte che sia capace di uno sguardo plurale, personale e complesso,
anonimo e individuato al contempo. Uno sguardo che tenga insieme la deriva e la
concentrazione dell'io. Una soggettività , intesa non in termini strettamente
autobiografici, che non venga rimossa da una supposta "neutra" progettualità , ma
che tenga conto della sua posizione e delle condizioni della sua esistenza. In
questo senso intendo anche la pratica della performance.
ps: Per l'invito della mostra hai scelto l¹immagine della morte di Marat di
David. Argan afferma che nel caso di David il neoclassicismo applicato alla
cronaca assume un carattere etico piuttosto che poetico. Si dice che David
andasse spesso a vedere i condannati mentre venivano condotti alla ghigliottina
e li ritraesse con pochi tratti di estrema intensità , di quei ritratti è rimasto
solo quello di Maria Antonietta. Parla di questa scelta.
cv: Prima di tutto ho scelto quest'immagine perché mi piace molto. Proviene
dalla rivoluzione: un momento in cui si attraversano e si compenetrano tra loro
elementi contrari, vita e morte, entusiasmo e disperazione, felicità e dolore.
Non l'ho scelta per una "nostalgia" della forma o per mera provocazione, ma per
i possibili intrecci con il mio lavoro: la relazione complessa con gli eventi
sociali contemporanei (David è stato in fondo il primo artista-cronista politico
della modernità ); la sua lucida consapevolezza della messa in scena del rapporto
tra teatro, immagine e scrittura (Marat tiene ancora una lettera nella mano
sinistra e una penna d'oca nella mano destra, il calamaio e un'altra lettera
sono ben visibili sulla base di legno dove sono riportate anche la dedica e la
firma, due nomi, quello del soggetto rappresentato e quello dell'autore); il
rapporto tra la violenza dell'incidente, del fatto, e il rigore del disegno; la
presenza di un corpo politico e l'asciutta modalità del linguaggio compositivo
utilizzato per mostrarlo. Tutto questo produce, secondo me, una profonda
emozione mentale, ed è molto contemporaneo, anche se il quadro è abissalmente
lontano nel tempo. Per l'esattezza, sono passati 211 anni da quest'opera laica e
"contemporanea". Poi, è vero, mi interessa lavorare anche sull'aspetto etico del
nostro rapporto con il visibile, anche se non mi piace dichiararlo. Per me
l'etica dev' essere soprattutto un'emozione, una conseguenza del comportamento,
non un programma.
ps: I disegni che presenterai da pinksummer ci appaiono come una sorta di
trompe l'oeil, di fatto si organizzano intorno a un oggetto, la cronaca, matale
oggetto si organizza intorno al tuo sguardo. Nancy afferma che dipingere,
disegnare è uscire da se stessi, dall'occhio esce lo sguardo, lo sguardo
dell'occhio ed è attraverso di esso che il soggetto diventa soggetto. Il
ritratto è l¹infinito dilatarsi dell'uno, non a caso questo progetto
potenzialmente infinito si chiama diario, il diario non è l' autoritratto
letterario?
cv: Parto dalla cronaca del presente per ricavare una possibile iconografia
contemporanea, forzando le immagini a dirci qualcos'altro, e la forma del diario
mi permette di non produrre gerarchie di valori o di contenuti. Il criterio
orizzontale e pubblico di questo progetto diaristico porta in realtà ad una
negazione dell'idea di diario come autoritratto privato. O meglio, se un
autoritratto affiora è a mia insaputa, costituendo caso mai un autoritratto
anonimo e plurale.
ps: Sempre Nancy afferma che Il ritratto è in absentia, nel senso che è fatto
per conservare la presenza, è costruito sull'idea di somiglianza e
riconoscibilità che differisce dall'idea di copia o riproduzione per il valore
di approssimazione. Il ritratto evocando immortala cioè sottrae alla morte.
Perché hai sentito il bisogno di sottrarre al flusso questi fatti, presentarli
nel medesimo décor, indipendentemente da valore e merito?
cv: Ho sentito prima di tutto il desiderio di disegnare queste immagini, queste
notizie, per trasformarle, per distoglierle da qualcosa, non so se per sottrarle
alla morte (questo è già uno scopo etico e non mi sento di dichiararlo). E'
certo però che rimontandole come pagine smembrabili di un diario, esse si
distaccano dal flusso delle informazioni per ritrovarsi in un contesto che le fa
apparire ancora riconoscibili ma diverse, frammentarie e soprattutto fragili
perché fatalmente destinate ad un uso indiscriminato. Tutte le immagini si
rivelano dunque per quello che sono: mezzi utilizzati per qualsiasi scopo, che
possono significare qualsiasi cosa a seconda delle più diverse intenzioni.
Questa è la loro straordinaria potenza e "tenerezza". Questo mio progetto è
infinito perché credo che sia senza fine il desiderio soggettivo di
ricontestualizzare le immagini riprodotte che abbiamo quotidianamente intorno a
noi.
ps: Oltre a "Diario" presenterai da pinksummer una scultura, che richiama una
tua performance in cui chiuso in una gabbia leggevi i tarocchi, facevi il
veggente. Una rappresentazione della rappresentazione. Parlaci di questa
scultura e della performance e anche della performance come pratica, esercizio,
all'interno del tuo lavoro in maniera più esaustiva.
cv: La scultura, "Aladino è stato catturato", ha lo stesso titolo della
performance dalla quale è scaturita come un perturbante e ironico doppio.
Durante la performance (eseguita per la prima volta nell'edizione 2000 di "Fuori
Uso" a Pescara, e poi ripresentata nell'aprile del 2003 in occasione del primo
evento pubblico organizzato e promosso dall'associazione Ida, Isola dell'Arte,
della quale faccio parte, per la difesa dell'edificio della Stecca a Milano a
rischio di demolizione per via di un progetto molto discutibile di
riqualificazione urbana) rimanevo rinchiuso, seduto in una cassa-gabbia di legno
per diverse ore, a leggere e interpretare i tarocchi trascrivendo su fogli di
carta le improbabili e bizzarre sentenze che le carte mi comunicavano. Il tema
favolistico di riferimento ( Aladino, la lampada magica, il tappeto volante) era
un pretesto per affrontare con ironia la dimensione di un soggetto che,
trovandosi letteralmente rinchiuso, ha perso momentaneamente la propria forza e,
per far passare il tempo, cerca di trovare una possibile soluzione attraverso i
responsi contraddittori delle carte da gioco. L'azione della lettura e della
scrittura medianica, la presenza di un corpo esposto allo sguardo degli altri,
la presenza stessa degli altri attorno alla gabbia, e la destabilizzazione
percettiva dovuta all' apparente normalità della mia condizione di rinchiuso,
erano gli elementi messi in gioco da questa performance. Ho sentito ben presto
però che l'energia scaturita da quell'azione non aveva intenzione di concludersi
con l'evento performativo, c'era una parte ostinata che non accettava di
rimanere "rinchiusa" e risolta solo nella dimensione della performance, da qui è
nata la necessità di farne una scultura: un 'opera autonoma. Adesso questa
performance ha trovato la sua collocazione e forma definitiva. Come ho accennato
in una risposta precedente, per me la pratica della performance è
importante proprio perché permette di affrontare nella sua concretezza il
delicato aspetto della posizionalità e della relazionalità di un soggetto.
Sinteticamente posso dire che all'interno del mio lavoro la pratica della
performance è un fondamentale
momento di rilancio e di verifica dei linguaggi e delle questioni legate
all'esposizione della soggettività e dell'identità tra altre presenze umane. Si
tratta della condivisione pubblica di un momento intensamente emotivo che
diventa anche politico, nel senso più ampio del termine.
ps: Angela Vettese in un articolo su Il sole-24 ore del O98 parlava della
"sfortuna" dei giovani artisti italiani affermando che anche i giovani più
promettenti deperiscano di fronte a una mancanza di adeguato riconoscimento. Le
cause secondo l'autore dell'articolo potevano essere determinate dalla posizione
economica italiana, troppo povera per i paesi ricchi, troppo ricca per i paesi
poveri; per mancanza di strutture e là dove ci sono rette da piccoli
egocentrismi locali e da normale ignoranza; ma soprattutto imputava tale
mancanza d'incidenza all'amore per la forma, che facendo propria la nostra moda
e design, non ha mai aiutato gli artisti italiani: l' di dare forma a un
pensiero appare all'estero, spesso, come segno di scarsa attenzione per i
contenuti. Infine in quell' si affermava che in Italia i vecchi artisti,
timorosi di perdere posizione ,sbarrano la strada ai propri allievi. Tu insegni
all'Accademia Ligustica di
belle Arti, come ti poni di fronte ai tuoi allievi?
cv: E' vero, in Italia le condizioni generali dell'attenzione nei confronti
dell'arte contemporanea non sono buone anche se negli ultimi anni qualcosa è
cambiato in positivo. Quando ho iniziato ad esporre alla fine degli anni Ottanta
la situazione di vuoto e di indifferenza era ancora più pesante. Si sentiva
ancora di più la presenza dei "vecchi" maestri, i pochi musei sembravano
fortezze inespugnabili e le istituzioni pubbliche erano completamente immerse in
una gestione tutta autoconservativa. Da qualche anno insegno all'Accademia e
intrattengo un rapporto molto positivo con colleghi e allievi. Ovviamente non mi
sento un "maestro", sarebbe ridicolo per come la penso. Cerco di stimolare il
più possibile negli studenti la curiosità critica e lo spirito libero e dinamico
della ricerca, non do ricette a priori e non intendo pormi come un modello
(della mia pratica artistica non parlo mai e odio il narcisismo). E' molto
interessante quando senti che hai contribuito a far nascere delle domande e ad
aprire una porta o uno spiraglio. E' a quel punto che anche tu impari qualcosa
da loro e scopri la bellezza di trovarti in mezzo a soggetti attivi. La cultura
e l'insegnamento sono fenomeni di vita fortemente radicati nell'esperienza e
nella qualità emotiva e intellettuale dell'esperienza. Credo sia questo
l'aspetto più importante del rapporto di trasmissione del sapere.
ps: Ci ricordiamo di un lavoro di Boetti della fine degli anni '80, disegni
come semplici ricalchi delle copertine di newsmagazine di un definito e limitato
periodo. Panorama, L'Espresso, L'Europeo. Matita su foglio bianco. Conosci
questo lavoro? Ci sono dei rimandi con il tuo diario quotidiano?
cv: Conosco e apprezzo il lavoro di Boetti, e lo considero uno dei più
interessanti artisti italiani della seconda metà del Novecento. Qualche anno fa
ho realizzato un lavoro fotografico che era anche un omaggio esplicito ai suoi
"Gemelli" del 1968. In questo caso però questo mio lavoro ("Diario
contemporaneo") ha un rimando con il suo in termini solo evocativi. E' piuttosto
un'aria di famiglia (per dirla alla Wittgenstein), nel senso che in fondo
un'opera d'arte ne richiama sempre almeno un'altra, e questo è bello che accada.
"Diario contemporaneo", però, non è un lavoro sul ricalco oggettivo delle
copertine di alcune riviste popolari di un periodo ben circoscritto (Boetti
scelse l'ottobre del 1983), ma è un rimontaggio selezionato e parziale che
produce uno slittamento, a volte anche molto esplicito, delle fotografie e della
loro lettura. Il procedimento non è basato sul meccanismo della
serializzazione/registrazione oggettiva, ma sul rimontaggio manipolatorio e
conflittuale tra immagini e linguaggio verbale aggiunto. E' un procedimento
soggettivo di ricontestualizzazione più vicino, caso mai, all'atteggiamento
operativo situazionista, sempre nel senso evocativo di un' altra "aria di
famiglia". Ho voluto manipolare immagini che abbiamo tutti i giorni sotto gli
occhi proprio perché, avendole tutti i giorni sotto gli occhi, tendiamo a non
vederle più come un problema.
Immagine: Cesare Viel ''Aladino e' stato catturato'', Performance realizzata nel giardino della Stecca a Milano
INAUGURAZIONE VENERDI 13 FEBBRAIO h. 18.30
Pinksummer
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Genova