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Jacqueline Utley e Tim Greaves
dal 27/7/2014 al 29/8/2014
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Segnalato da

Omphalos




 
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27/7/2014

Jacqueline Utley e Tim Greaves

L.A.L.D. Space, Torre Santa Susanna (BR)

Ah nostalgia... L'atteggiamento che accomuna le opere dei due artisti e' affrontato con esiti estremamente diversi. La Utley presenta piccoli dipinti concettuali, Greaves un lavoro che richiede tempo e manualita'.


comunicato stampa

Like a little disaster è Omphalos sono lieti di presentare “AH NOSTALGIA….” un nuovo progetto curato da Giuseppe Pinto, che coinvolge, in anteprima nazionale, le opere di due giovani artisti inglesi, Jacqueline Utley e Tim Greaves.
La parola Nostalgia è nata nel 1688, agli albori dell’era moderna, per mano del diciannovenne alsaziano Johannes Hofer che si appropriava “nostalgicamente” di due parole greche, nóstos (ritorno) e álgos (dolore), per descrivere una malattia ritenuta anche mortale che colpiva i soldati svizzeri allontanati dai loro villaggi montani e confinati in lontane guarnigioni, in paesi, lingue e suoni stranieri, chiusi in un “dolore per l’impossibilità del ritorno”. Nata in ambito medico, la nostalgia ci mise pochissimo a rompere i troppo angusti confini delle scienze esatte per sconfinare nei territori dell’astrazione, il desiderio nostalgico non vuole ritornare ad un luogo, ma ad un tempo in cui c’era spazio per la possibilità, il ricordare implica il confronto-scontro con l’irrecuperabile, con l’irreversibile, con il limite.
E così, già nel Settecento, la staffetta passò dai medici ai poeti, agli artisti e ai filosofi, in questo modo la malinconia cambiò completamente area semantica, e nel far ciò cambiò anche oggetto d’interesse. Nel passaggio da patologia curabile a stato d’animo incurabile, da male di provincia a condizione esistenziale, la prospettiva della nostalgia si sposta verso campi sempre più evanescenti e indefiniti; la nostalgia per un Paese mai visitato (Baudelaire), per l’infinito (Carducci), per le cose mai esistite (Pessoa), persino, come in un ossimoro, nostalgia per il futuro (Musil), o la nostalgia “anticipata”, rivolta ad un tempo che si vorrebbe non far passare o perdere (Proust).

L’Ulisse contemporaneo lascia il mare chiuso, oltrepassa le colonne d’Ercole ed entra nell’Oceano senza limiti… “Chi lascia la casa ha già fatto ritorno”, per dirla con Borges. Perché la patria dell’uomo è sempre altrove. Perché la nostalgia, in fondo, prevede un viaggio di sola andata. Verso il futuro, Non più, o non solo, verso il passato.
L’atteggiamento nostalgico che accomuna le opere dei due artisti è affrontato con intenti ed esiti estremamente diversi. La Utley presenta piccoli dipinti concettuali nei quali si alternano ironia e una straordinaria abilità pittorica ad alludere e citare tempi e “mondi” lontani, passati. I dipinti appaiono polverosi e i colori sembrano reggersi a stento sulla tela come se anche il tempo – nella finzione della rappresentazione – avesse voluto lasciare la propria traccia. Il tempo cronos non è raffigurato, le opere stesse non sono altro che un’immagine del tempo. Emerge un particolare pathos, che consiste nel riconoscere nelle cose, negli oggetti un decorso di tempo sentito come individuale e presentati con patetica compiacenza: un atteggiamento che nasce dalla coscienza di una discontinuità storica.

I piccoli gioielli di Jacqueline Utley – fiori, piccole composizioni di oggetti comuni e minimi e qualche essere umano – sono pervasi da una riflessione concettuale sugli stereotipi culturali e visivi, sono un estremo miscuglio di riferimenti, linguaggi e stili che vanno dalla pittura tachista degli anni ’50 alle nature morte di Giorgio Morandi, dalle composizioni floreali di Henri Fantin Latour – in versione mini – alla cultura popolare, tutto avvolto da un lirismo che sa di beffa, di ironico pensamento e ripiegamento nostalgico. Le piccole dimensioni attirano lo spettatore all’interno dell’esame della finzione pittorica, uno sguardo che deve attraversare l’iniziale senso “ornamentale” per giungere alle macchie e alle sfocature dell’irreale, dell’inesistente; dipingendo il non reale mascherato come autentico Utley rivela metaforicamente l’artificio della pittura stessa.

Il lavoro di Tim Greaves è una risposta visiva all’attuale condizione globale dominata da nomadismi vertiginosi e dal senso di dislocamento da un lato, e dal desiderio di continuità e di autenticità o appartenenza dall’altro. Questa situazione riflette anche la sua condizione privata, di artista londinese trapiantato a Berlino, la città che negli ultimi decenni ha – più di tutte – accolto e vissuto ondate culturali babeliche accompagnate da un senso di cambiamento infinito in cui è impossibile immaginare alcuna ipotesi di permanenza.
Le sue opere sono cariche di riferimenti storici al passato attraverso l’uso di materiali e processi, immagini e idee. Negli ultimi lavori i riferimenti provengono dal contesto della società borghese inglese; i suoi spazi, i suoi decori e i suoi ornamenti che impiegano un estetica radicata nel desiderio nostalgico. Il rapporto con un passato, con una storia che diventa paradigma di appartenenza, è particolarmente evidente nei processi artigianali del suo lavoro, nei materiali utilizzati e nella sua nostalgia per un lavoro che richiede tanto tempo. La manualità è contrapposta alla riproducibilità attraverso un oscillazione continua in cui tecnologie attuali e superate si alternano.

I riferimenti storici dei lavori provengono dal suo passato culturale, dal 19° secolo britannico, con particolare enfasi dall’epoca vittoriana. Citazioni e appropriazioni della cultura visiva di quel tempo, dei lavori di William Morris e dell’ Art and Crafts, come nel caso della serie in mostra “Two Pattern the Same”, in cui due motivi floreali di Morris sono stati sovrapposti, intrecciati, sedimentati – come la memoria – in una soluzione estetica nuova, attraverso processi di stampa manuali e il disegno a matita.
Rivisitando le idee di Morris, dell’Art and Craft, così come quelle dei Preraffaelliti nel contesto contemporaneo Greaves si interessa della loro eredità nella coscienza pubblica; guardare indietro, fare riferimento al passato sono atti che tentano già di creare permanenza e un senso di appartenenza nel presente, in questo modo Greaves si interroga anche sulle modalità di riemersione della la storia e della storia visiva, sulle sue riproduzioni nel corso del tempo e su come la soggettività contemporanea la percepisce e le ripensa nel presente.

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