Spazio di Serbia e Montenegro
Milano
Via Pirandello, 3

Il confine
dal 8/3/2004 al 23/3/2004

Segnalato da

Lidia Sanvito




 
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8/3/2004

Il confine

Spazio di Serbia e Montenegro, Milano

Una collettiva che riunisce quattro giovani artisti serbi e un'artista italiana attivi a Milano: Branca Cuca, Jovan Jovanovic, Bojana Lukic, Lidia Sanvito e Sasha Talek. Cardine dell'esposizione e' il Confine, tema in merito al quale gli artisti hanno dialogato e coralmente interagito, pervenendo a sintesi soggettive che consentono di individuare le fondamentali tessere della complessa storia dei Balcani, pur lasciando intendere, attraverso un linguaggio metaforico, la naturale coincidenza, al di la' dei confini nazionali, con le piu' universali esperienze umane.


comunicato stampa

Branca Cuca
Jovan Jovanović
Bojana Lukić
Lidia Sanvito
Sasha Talek

a cura di Lavinia Tonetti

Nell'ambito dei progetti di scambio interculturale e interdisciplinare promossi sin dal gennaio 2002 per iniziativa del Consolato Generale di Serbia e Montenegro, martedì 9 marzo presso lo Spazio di Serbia e Montenegro, in via Pirandello 3, si inaugura una collettiva che riunisce quattro giovani artisti serbi e un'artista italiana attivi a Milano: Branca Cuca, Jovan Jovanović, Bojana Lukić, Lidia Sanvito e Sasha Talek.

Cardine dell'esposizione è il Confine, tema in merito al quale gli artisti hanno dialogato e coralmente interagito, pervenendo a sintesi soggettive che consentono di individuare le fondamentali tessere della complessa storia dei Balcani, pur lasciando intendere, attraverso un linguaggio metaforico, la naturale coincidenza, al di là dei confini nazionali, con le più universali esperienze umane.

Branca Cuca espone Rete di comunicazione, un'opera composta di tre sfere di fili di ferro intrecciati, che rappresentano il globale fluire della comunicazione, nelle sue tre possibili forme - verbale, visiva e sensibile -, e al contempo sottolineano l'avvilente isolamento determinato dalla direzione univoca dell'informazione. Ritagli di stampa in lingua serba e italiana, immagini ricorrenti dei quotidiani, oggetti evocanti sensazioni opposte compaiono intersecati tra i nodi del ferro, diventando parte della struttura stessa, un contenitore virtuale che confina le persone.

L'installazione di Jovan Jovanović pone l'accento sui processi di identificazione nei simboli e sulle dinamiche di potere che inducono inevitabilmente alla perdita di libertà. Allestendo una scena mestamente ludica, l'artista chiama in causa lo spettatore, lo sollecita ad avvicinarsi allo specchio e ad entrare nel gioco, mescolando e facendo ruotare gli emblemi gerarchici raffigurati sulle carte.

Bojana Lukić mette in relazione concetto di confine e sentimento di appartenenza alla terra d'origine, quale depositaria dei valori spirituali e culturali di un individuo e di un popolo. Tale corrispondenza è rappresentata in forma simbolica dalle radici di un albero, che, appese sopra lo stipite d'ingresso alla mostra, pervadono lo spazio in una prospettiva rovesciata, senza ostacolare, né trattenere chi le incrocia con lo sguardo attraversando la porta. Le prugne secche, che l'artista nasconde tra le radici affinché siano percepite non tanto visivamente, quanto per via del profumo esalato, alludono a una profezia escatologica del popolo serbo, secondo la quale, alla fine dei tempi, i salvati si ritroveranno sotto un pruno.

In Depressione topografica Lidia Sanvito configura una carta geografica immaginaria realizzata con 1600 monete e circa 12.000 pezzi di carta colorata, identificabili con i biglietti da 5 e 10 euro arrotolati e capillarmente accostati uno accanto all'altro. L'avvallamento verso il centro dell'opera è un vuoto che simboleggia lo sterminio etnico, evidente trasposizione dell'idea espressa nel titolo, declinabile in due accezioni: una psicologica, allusiva all'abbrutimento civile, militare ed economico, e una fisica, connessa alla conformazione del territorio. Se la fase concettuale del progetto è da considerarsi un momento fondante nella concezione estetica dell'artista - L'arte è una riflessione profonda. Non è un 'innalzamento', ma un inabissarsi fino al fondo dov'è il ciarpame, il disordine, la memoria -, una rilevanza imprescindibile assume il prolungato processo esecutivo che lentamente disvela la forma, mediante il dispiegarsi di energia nei gesti che accompagnano la posa dei materiali.

L'orizzonte di Sasha Talek delinea in modo implicito la trama di un cammino di ricerca, l'inquietante inafferrabilità di ciò a cui si tende, la minaccia di morte. Drammaticamente perentoria, l'opera è costituita da una lama di ferro che divide in due parti lo spazio espositivo, impedendone l'attraversamento. Per continuare il percorso di visita, si è costretti a tornare sui propri passi e a rientrare nella sala da un ingresso vicino. Solo allora, da un'opposta angolazione, apparirà il lato principale della scultura. Scrive l'artista: 'Ci muoviamo verso l'orizzonte ma non lo raggiungiamo mai, ci sfugge di nuovo e di nuovo ancora. Il tempo che usiamo per percorrere un altro chilometro diventa infinito, nella continua conquista dello spazio. Camminiamo attraverso il limite massimo di qualcosa'.

inaugurazione: martedì 9 marzo 2004, ore 19.00

La sera dell'inaugurazione il violinista Luigi Balestrini eseguirà un pezzo tratto da 'Le danze rumene' (1917) di Bela Bartok, compositore, pianista ed etnomusicologo ungherese, che armonizza ritmi dell'Est con la musicalità tipica del centro Europa.

la mostra proseguirà fino al 23 marzo 2004
orari: lunedì, martedì, giovedì e venerdì dalle 18.00 alle 21.00

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