Nudi. I corpi trovano la loro identita' all'interno di un corpo collettivo, archetipico e incorrotto, che li riconnette all'origine in una lotta estenuante con la pittura.
Giorgia Marzi è il ventre della pittura. Dal suo interno riproduce, come agìta da una madre arcaica, una pittura primordiale e di matrice che non nasce e non muore, ma diviene incessantemente in una eterna autogenesi.
L’arte di Giorgia Marzi è rivolta a se stessa, investita da un impulso di natura fisica, che non indulge in nessuna logica espressiva tenendosi al di fuori di qualunque processo di elaborazione psichica.
Il suo gesto è governata da un moto perpetuo, che sposta le forme rimbalzandole all’infinito nello spazio, un movimento dietro l’altro, fatto di tocchi repentini, a togliere più che a mettere, a torturare il pieno per liberare il vuoto, quando rintraccia lo spazio con linee affilate, lo incide, e quando, pentito, lo allevia, fino al punto di edificarlo, con linee scariche ed elastiche; il tratto è retto da segni ora interrotti ora continui, in un gioco di permanente contagio reciproco alla incessante ricerca di un centro.
Le sue frequenze ci disorientano con il loro andamento oscillatorio che sale e scende dentro un altrove subliminale.
La posta in gioco è l’equilibrio come “arte di situarsi nella instabilità della cose”, all’interno di una realtà in perenne mutamento in cui l’aggiustamento delle forme è costante, “per intuire ciò che può esistere di immutabile e di eterno nelle profondità di tutto ciò”.
I corpi trovano la loro identità all’interno di un corpo collettivo, archetipico e incorrotto, che li riconnette all’origine; le linee vi si annidano, stanandoli, ruvidi e terrosi, in una lotta estenuante con la pittura, quando non li dissipano, disciolti ed evaporati in una sensualità impenetrabile e priva di voce. Sono corpi ammutinati, che rifiutano di esibirsi e rompono le pose. L’ Eros è implicito, è nella pittura stessa senza il bisogno di un dialogo con l’esterno. Essi soggiacciono al mistero della loro stessa nudità senza esserne mai assuefatti.
Assiepate nei corridoi bianchi del tempo, le sue creature rompono incautamente la crosta terrestre radicandosi nella materia, e parallelamente, pregano verticali, cinte da gocce di colore che non cadono mai. Così l’arte di Giorgia Marzi perlustra ogni direzione, come in alto così in basso, tradendo il desiderio di piantare una croce per farsi Uomo.
Tutto, alla fine, si abbrevia come nella vita terrena, e scompare, poco a poco, diminuendo ogni giorno, lasciando dietro di se soltanto la eco di un ricordo privato, sorda, come un crepitio di brace.
Nayma Tofani
Inaugurazione 2 dicembre ore 19.30
Galleria Spazio40
via dell’Arco di San Calisto 40 Roma
tutti i giorni 11.30-21
ingresso libero