Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Avery Singer
Janis Avotins
Matthew Barney
Massimo Bartolini
Avner Ben Gal
Glenn Brown
Miguel Calderon
Maurizio Cattelan
Dinos e Jake Chapman
Ross Chisholm
Roberto Cuoghi
Flavio Favelli
Saul Fletcher
Anna Gaskell
Douglas Gordon
Gusmao& Paiva
Thomas Hirschhorn
Piotr Janas
Suchan Kinoshita
Zoe Leonard
Margherita
Manzelli
Eva Marisaldi
Nathaniel Mellors
Shirin Neshat
Kelly Nipper
Cady Noland
Catherine Opie
Tony Oursler
Djordje Ozbolt
Anri Sala
Ferdinando Scianna
Andreas
Slominski
Marianne Vitale
Jakub Julian Ziolkowski
Claudio Abate
Aurelio Amendola
Gabriele Basilico
Sandro Becchetti
Gianni Berengo Gardin
Elisabetta Catalano
Giorgio Colombo
Mario Cresci
Mario Dondero
Federico Garolla
Luigi Ghirri
Mario Giacomelli
Gianfranco Gorgoni
Mimmo Jodice
Nanda Lanfranco
Uliano Lucas
Attilio Maranzano
Nino Migliori
Ugo Mulas
Paolo Mussat Sartor
Paolo Pellion
Ferdinando Scianna
Massimo Minini
Beatrix Ruf
Irene Calderoni
Avery Singer sperimenta metodi di elaborazione digitale traendo ispirazione dall'inondazione iconografica di Internet. 'United Artists of Italy' presenta il lavoro di 22 fotografi tra cui Mario Cresci, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice e Uliano Lucas. 'Fobofilia' e' una mostra opere della collezione Re Rebaudengo sul tema della paura.
Avery Singer
Pictures Punish Words
a cura di Beatrix Ruf
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (via Modane 16, Torino), dal 12 febbraio al 12 aprile, presenta Pictures Punish Words, la prima personale in Italia di Avery Singer (New York, 1987), a cura di Beatrix Ruf (Direttore dello Stedelijk Museum di Amsterdam). Sorprendenti per tecnica e iconografia, i quadri di Avery Singer sovvertono le nostre aspettative visuali. A un primo sguardo si sottraggono a una classificazione precisa come dipinti o elaborazioni a stampa. Per questo sollevano l’interrogativo, ovvio e allo stesso tempo pressante per un’artista, sul modo in cui le informazioni digitali che ci circondano possono concretizzarsi – sotto forma di immagine piatta su carta o, più di recente, tridimensionale in plastica, o su ogni altra possibile superficie materiale.
Avery Singer ha realizzato un ciclo di opere pensate appositamente per questa sua prima personale. Dopo una prima presentazione alla Kunsthalle di Zurigo, la personale si sposta Torino, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Se da un lato l’analisi della pittura è una preoccupazione costante per Avery Singer dal 2010, l’artista sperimenta ed esplora anche metodi di elaborazione digitale delle immagini. Per i suoi soggetti trae ispirazione dall’inondazione iconografica, apparentemente infinita, di Internet. Nei suoi dipinti lavora anche su eventi e realtà della vita quotidiana e trae spesso ispirazione dalla letteratura. Con l’aiuto del programma di grafica SketchUp, utilizzato in architettura per la modellazione 3D, Avery Singer costruisce composizioni spaziali complesse, gremite di figure e oggetti astratti. Durante questo processo, i soggetti sono tradotti in forme geometriche e ridotti a semplici elementi: i capelli diventano linee a zig zag, le sopracciglia linee rette, le braccia si trasformano in blocchi e il petto femminile in un’escrescenza poligonale asimmetrica del corpo. Singer proietta questi schizzi generati al computer su una tela o su un pannello, separando una forma dall’altra con del nastro adesivo di carta, e creando superfici sulla tela con l’aerografo, in una gamma di grigi. Nel loro rifiuto del colore, queste opere si rifanno alla tradizione della grisaglia, stile pittorico diffuso soprattutto nella pittura su pannello medievale e rinascimentale, e frequentemente impiegato per ‘tradurre’ le sculture in pittura. La tecnica dell’aerografo esalta al massimo la bidimensionalità della superficie pittorica, e contrasta con la spazialità illusionistica delle composizioni di immagini: un approccio che va a toccare e sviluppare questioni legate alla storia dell’arte e alla percezione. Simili a trompe-l’oeil, queste opere di grande formato aprono spazi che invitano l’osservatore a entrare nell’immagine, o almeno a osare uno sguardo di là dalla tela, per vedere se non nasconda un altro spazio.
La bidimensionalità della tela è rotta anche dal modo in cui le opere sono presentate: lasciar fluttuare liberamente i quadri nello spazio, sospesi a sottili cavi metallici, piuttosto che appenderli a muro come da tradizione, permette all’artista di creare una costellazione spaziale all’interno della mostra per mezzo dei quadri stessi. Le caratteristiche fisiche, ma anche i temi, dei quadri di Singer contengono sempre riferimenti alla storia dell’arte, oltre che alla loro stessa genesi, cioè alle narrazioni e ai problemi connessi alla creazione di opere d’arte o immagini. Nelle sue opere si ravvisano anche allusioni a motivi e stili delle avanguardie storiche e al dibattito intorno al postmoderno. Ed emergono domande sull’impatto dei mutamenti di senso prodotti dal digitale e dal virtuale sulla sfera artistica oggi, anche e soprattutto sul mezzo pittorico. Gli emblemi delle “belle arti” si scontrano con i tropi dell’avanguardia, e motivi parodistico-autobiografici alludono continuamente ai cliché del mondo dell’arte. In tono umoristico, Avery Singer ci mostra rituali e schemi sociali, e ci fa conoscere gli stereotipi legati alle figure dell’artista, del curatore, del collezionista e del critico. In questo contesto, l’artista si appropria dei luoghi storicamente dedicati alla produzione dell’arte: lo studio, l’accademia di belle arti e lo spazio istituzionale, che nutrono il mito dell’artista e il culto del genio; come si diventa artisti? Come si crea l’arte? Il gruppo di persone rappresentato in Happening (2014) è intrappolato nell’atto del fare arte. L’istantanea che ci viene presentata in quest’opera è ispirata al genere di documentazione fotografica che Singer incontra regolarmente nel corso delle sue ricerche sull’arte performativa, ed evoca gli happening degli anni Sessanta. Anche l’opera dal titolo Director (2014) mette a tema l’attività artistica. È il ritratto di un suonatore di flauto dolce, che può anche essere considerato un artista o, come suggerisce il titolo, un direttore.
Lo strumento musicale in questione, che di solito è suonato dai bambini, fa di questo personaggio un potenziale intrattenitore e richiama la figura del musicista, ma anche del giullare, di corte. Come osserva la stessa Singer, il quadro allude anche all’idea di consapevolezza come modello costruito dal cervello: proprio come nella fiaba del pifferaio di Hamelin, la cui musica seduce i fanciulli e fa sì che lo seguano, noi, in quanto fruitori d’arte, possiamo abbandonarci alla seduzione del flautista che ci viene presentato in questo quadro. Nel quadro Gerty MacDowell’s Playbook (2014), Avery Singer collega l’opera performativa Seedbed (1972) di Vito Acconci con una scena dell’Ulisse di James Joyce (1922). L’opera ci mostra una donna inginocchiata su una struttura simile a un tavolo, mentre si piega in avanti con una gamba e un braccio alzati. Nello spazio sotto di lei vediamo un’altra figura che, con lo sguardo rivolto all’osservatore, si sta masturbando. La rappresentazione si ricollega a una scena del romanzo di Joyce in cui il protagonista, Leopold Bloom, si masturba sulla spiaggia mentre Gerty MacDowell, distesa a prendere il sole, gli mostra la sua biancheria intima. Anche la struttura su cui i due personaggi sono presentati fa riferimento al doppio pavimento in legno che Acconci costruì per la sua performance Seedbed presso la Sonnabend Gallery nel 1972, in cui era disteso sotto una rampa di legno e si masturbava fantasticando sui visitatori che gli camminavano sopra. Tramite il tema della masturbazione maschile, l’artista crea un collegamento fra le ambientazioni, legate all’avanguardia letteraria e alla storia dell’arte, di queste opere distanti nel tempo e nello spazio (e apparentemente irrelate), per ricavarne un’immagine nuova. Il ricordo fantasioso del primo viaggio di Singer in Svizzera fa da sfondo all’opera Heidiland (2014). Traboccante di impressioni ‘esotiche’ sulle montagne, i diversi dialetti e la leggendaria Street Parade di Zurigo, l’artista catapulta l’eroina Heidi, creata da Johanna Spyri nel 1880, nel presente e le fa vestire i panni di una raver svizzera con tanto di ciuccio, allusione alla scena tecno degli anni Novanta. Parodiando il motivo della toilette femminile, sempre in tema di storia dell’arte, Avery Singer acconcia la capigliatura della sua raver in modo che i riccioli le ricadano sull’impertinente seno nudo – insomma, una Heidi cresciuta, venuta dal ‘nuovo’ mondo.
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United Artists of Italy
a cura di Massimo Minini
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 12 febbraio al 12 aprile, presenta “United Artists of Italy”, un progetto di Massimo Minini. Il gallerista ha raccolto una collezione di ritratti di artisti eseguiti dai più significativi fotografi italiani, con l’intenzione di proporre una mostra destinata a Musei ed Istituzioni: l’idea è stata quella di concepire una collezione di volti d’artista ripresi dai grandi fotografi italiani, quasi un mondo aiutasse l’altro, completandosi a vicenda.
Il progetto, iniziato per passione qualche anno fa, è cresciuto sempre più grazie al contatto diretto con i fotografi che hanno abbracciato la proposta, e si è rivelato un vero e proprio viaggio all’interno della fotografia, tra archivi e scatole, pellicole e files. Se in principio l’idea era di selezionare esclusivamente ritratti di artisti, con il tempo l’attenzione si è estesa, prendendo in considerazione alcuni ritratti di artisti stranieri, ma molto vicini all’Italia, come Joseph Beuys, Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Sol LeWitt, volti di scrittori come Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Alberto Moravia, e ancora gli artisti colti al lavoro, nel loro studio o nei momenti liberi e alcuni tra i più importanti galleristi come Lucio Amelio e Leo Castelli.
Questa collezione crea una storia del contemporaneo, non con le opere, ma con i volti, i modi, gli atteggiamenti. Se si può considerare il contemporaneo un’attitudine, un modo di porsi dell’opera nel proprio tempo ed in comunione con i grandi temi del momento, il massimo di tensione sul contemporaneo lo si raggiunge non con il corpo dell’opera, ma con quello dell’autore, che vive nel proprio tempo, lo interpreta, gli dà voce, lo fonda, definendone i contorni spaziali e temporali. La mostra vuole infatti offrire uno spaccato della fotografia italiana di questi anni, dimostrando la capacità straordinaria di interpretazione e di omaggio a grandi artisti da parte di grandi fotografi. Non si tratta di una semplice raccolta cronologica di immagini, ma di un racconto, dove lo stesso artista visto, letto e interpretato da diversi fotografi, porge differenti sfaccettature del proprio destino. Spesso la fotografia dice più di quanto non sia nelle intenzioni dell’autore.
Attraverso quasi duecentocinquanta scatti, viene presentato il lavoro di ventidue fotografi attivi a partire
dagli anni ‘60: Claudio Abate, Aurelio Amendola, Gabriele Basilico, Sandro Becchetti, Gianni Berengo Gardin, Elisabetta Catalano, Giorgio Colombo, Mario Cresci, Mario Dondero, Federico Garolla, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Gianfranco Gorgoni, Mimmo Jodice, Nanda Lanfranco, Uliano Lucas, Attilio Maranzano, Nino Migliori, Ugo Mulas, Paolo Mussat Sartor, Paolo Pellion, Ferdinando Scianna.
Oltre ai ritratti sono esposti circa 20.000 inviti indirizzati a Massimo Minini da gallerie e musei che raccontano la storia dell'arte di questi quarant’anni, e i libri editi dalla galleria.
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Fobofilia. Opere dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo
a cura di Irene Calderoni
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 12 febbraio al 12 aprile, presenta Fobofilia, una mostra sull'immagine della paura, sul modo in cui gli artisti danno forma a uno dei sentimenti più caratteristici e sfuggenti della nostra epoca. Fobofilia è il piacere un po' perverso di essere spaventati, una pulsione che appare sempre più frequente. La paura è il registro più diffuso nell'intrattenimento, ma anche nell'informazione e di conseguenza nel modo di percepire la realtà. L'arte riflette questa temperie, ne offre diverse sembianze, da quello più intimo e psicologico.
Artisti in mostra: Janis Avotins, Matthew Barney, Massimo Bartolini, Avner Ben Gal, Glenn Brown, Miguel Calderon, Maurizio Cattelan, Dinos e Jake Chapman, Ross Chisholm, Roberto Cuoghi, Flavio Favelli, Saul Fletcher, Anna Gaskell, Douglas Gordon, Gusmao& Paiva, Thomas Hirschhorn, Piotr Janas, Suchan Kinoshita, Zoe Leonard, Margherita Manzelli, Eva Marisaldi, Nathaniel Mellors, Shirin Neshat, Kelly Nipper, Cady Noland, Catherine Opie, Tony Oursler, Djordje Ozbolt, Anri Sala, Ferdinando Scianna, Andreas Slominski, Marianne Vitale, Jakub Julian Ziolkowski.
Immagine: UNITED ARTISTS OF ITALY - Carla Accardi
Ufficio Stampa Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Silvio Salvo silvio.salvo@fsrr.org | +39 011 3797632 | +39 328 4226697
Inaugurazione 12 febbraio alle 18.30
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
via Modane 16, Torino
Ingresso: 5 euro, 3 euro ridotto Giorni di apertura: giov: 20-23 (gratuito), ven-sab-dom: 12-19