Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC
Lissone (MB)
viale Padania, 6
039 2145174 FAX 039 461523
WEB
Cinque mostre
dal 6/3/2015 al 18/4/2015
mer-ven 10-13, gio 16-23, sab e dom 10-12 e 15-19

Segnalato da

Matteo Fato




 
calendario eventi  :: 




6/3/2015

Cinque mostre

Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC, Lissone (MB)

In 'Krinein (La) Crisi' Matteo Fato si interroga sui nessi e i limiti che intercorrono tra parola e immagine; per 'Magazzino Scuro' Paolo Grassino ha deciso di inibire l'algido luminismo dei white cubes moderni. Paolo Ventura in 'D'Armi e D'Unioni' presenta opere ispirate ai tempi della Grande Guerra; Sergio Breviario mostra una serie di tavole nate dalla rielaborazione di polaroid. In 'Echi dal bianco' le sculture di Vincenzo Rusciano giocano con ambiguita' tra storia e cultura.


comunicato stampa

Matteo Fato
Krinein (La) Crisi

A cura di Gianni Garrera e Alberto Zanchetta

Nel corso del Novecento abbiamo assistito allo sgravio dalle categorie artistiche, ma il secolo scorso ci ha anche affrancato dai basamenti delle sculture e dalle cornici dei quadri. Matteo Fato [Pescara, 1979] ha avuto l’ardire di rendere nuovamente attuali e familiari sia gli uni che le altre; le basi delle sue opere sono costruite non a caso con lo stesso legno di cui si compongono le cornici, che in realtà non sono altro che le casse usate per trasportare i dipinti. Per l’artista il contenitore diventa quindi l’ornamento e il completamento dell’opera.

È innegabile come la pittura e la scultura abbiano affrontato lunghi periodi di crisi; ai tempi in cui veniva denigrata come “fermacarte”, la scultura ha cambiato tipologia e denominazione, passando da ready-made ad assemblaggio, da installazione a environment, trovando una valvola di sfogo persino ne l’idioma del design. Ben più duratura è la crisi imputata alla pittura, la quale non accetta troppi compromessi con la sua identità, e con la sua stessa autenticità. Che questa ennesima crisi (perché non è la prima né sarà l’ultima) non alluda dunque a una consapevole rinascita? La parola greca krinein, che dà il titolo a questa mostra, ha molti significati: distinguere, scegliere, giudicare, interpretare, ma anche condannare oppure entrare nella fase cruciale di una malattia. Inoltre, Krinein è radice sia di "crisi" che di "critica", ed è a partire da tali presupposti che l’artista ha affrontato il progetto di questa esposizione, obbligando se stesso a "capire la transizione da uno stato all'altro".

Ogni opera di Fato evoca le relazioni che si costituiscono per forza interiore, dichiarando apertamente il proprio intento: documentare non il soggetto ma la relazione tra l’artista e il suo mezzo. Attraverso la specificità dell’apparato tecnico, e grazie all’alibi delle tematiche adottate, Fato sfida di continuo la percezione retinica: «Credo che chiunque indaghi il linguaggio visivo della pittura debba fare i conti prima di tutto con se stesso», ha detto in un’intervista del 2008. Esiste infatti nelle sue opere una necessità tutta interna, analitica e autoriflessiva, tesa a investigare la complessa natura della pratica pittorica.

Rompendo le righe e infrangendo le regole, Matteo Fato propone a Lissone un autentico spazio espressivo (anziché un semplice spazio espositivo) in cui è possibile sdoganare la sintassi delle forme e dei colori, dando libero corso a una miscellanea di interventi. In mostra sono presenti opere degli ultimi anni che dialogano tra loro in modo sincronico, restituendo così una visione ampia e completa della ricerca intrapresa in seno alla pittura, al disegno e alla scultura. Autoritratti e paesaggi rimandano ai grandi temi della pittura antica, rivisitata con uno sguardo rivolto al presente. Tra i motif cari all’artista viene qui riproposto un ciclo dedicato alla pigna, il frutto delle pinacee che in quest’occasione assume una valenza araldica, come nel caso dei dipinti con i cavalieri e le armature. Oltre a disegni digitali e visori stereoscopici, in una bacheca sono esposte le riproduzioni di tre opere su carta, realizzate per la rivista CO2, a cui si aggiunge un intervento inedito, pensato per un quarto numero mai pubblicato.

Riannodando il corso della storia – quella personale e quella dell’arte – Matteo Fato si interroga ancora una volta sui nessi e i limiti che intercorrono tra parola e immagine, tra segno e significato, restituendoci una ricca scorribanda all’interno del suo atelier pescarese.

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Paolo Grassino
Magazzino Scuro

a cura di Alberto Zanchetta

Per la sua mostra al MAC di Lissone, Paolo Grassino [Torino, 1967] ha deciso di inibire l'algido luminismo dei white cubes moderni, ha cioè stemperato l'evidenza architetturale per inoculare nelle proprie sculture il germe del dubbio. Drenate dai loro colori, le opere sono state ridipinte di un nero fumo che - alla maniera della caligine - sembra depositarsi sugli oggetti. Dello stesso avviso è anche l'allestimento della mostra, concepito come lo stoccaggio di un magazzino; i pallet, usati per trasportare le opere, diventano parte integrante dell'esposizione, elemento strutturale (dell'installazione) e allo stesso tempo destrutturante (per ciò che concerne lo spazio).

Giocando sui pieni e i vuoti della scultura, sulle euforie e le disforie dell'esistenza, le cataste dei bancali permettono a Grassino di creare un dedalo in cui le opere vengono segregate all'interno dell'ambiente. La mostra costringe quindi lo spettatore a un'immersione nei meandri oscuri della quotidianità, ove affiorano presenze perturbanti; è il caso del grande teschio di tubi corrugati, emblema per eccellenza della fugacità terrena. L'ipertrofica testa di morto, che con le sue dimensioni rafforza il proprio monito escatologico, è simile a un intreccio gordiano, un inestricabile groviglio che allude alla freudiana pulsione di morte, così come alle sofferenze e alle debolezze umane. Dello stesso avviso sono anche alcune "larve" che, avviluppate su se stesse, ci appaiono indurite dalle fusioni in alluminio.
Paolo Grassino ridefinisce l'architettura senza tuttavia voler occultare lo spazio: tutto resta visibile (tra le intercapedini dei pallet). Le barriere-trincee costruite con i bancali in legno servono a schermare la visuale, enfatizzando così il senso di smarrimento e di disagio che si effonde dalle sculture.

Lungo il percorso è possibile incappare in quadrupedi mutilati o figure umane trafitte da oggetti che ne mettono in crisi l'identità; i materiali sintetici prelevati dalla realtà si inseriscono nell'anatomia umana/animale per mostrarci le ansie e le problematiche connesse alla società consumistica. Queste "presenze" sono come altrettanti pungoli/punti dolenti che sorgono dall'ombra, o forse dalle fobie, dai disagi e dai dilemmi che attanagliano la nostra vita. Nel labirintico ordito dei pallet, le figure si sentono alienate ed emarginate, finanche accerchiate e intrappolate, impossibilitate a comunicare o a interagire con il mondo esterno.

Accedendo al piano interrato del MAC, lo spettatore avrà la sensazione di sprofondare in un ipogeo, in quell'abisso che corre al nostro fianco, generando una vertigine che fa vacillare ogni nostra certezza. Non dobbiamo infatti dimenticare che le ansie e le paure sono ciò che ci permette di sentirci (più) vivi (che mai), apprezzando fino in fondo l'esistenza. Proprio per questo motivo, all'uscita del museo, lo spettatore troverà un cuore espiantato dal corpo che lo conteneva, con i ventricoli e le arterie recise in modo chirurgico; sottoforma di involucro inerte e inane, il muscolo cardiaco ci rammenta la necessità di una vita che pulsa e freme di continuo. Ancora e ancora.

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Paolo Ventura
D'Armi e D'Unioni

A cura di Walter Guadagnin e Alberto Zanchetta

Dallo scorso novembre, il Comune di Lissone ha iniziato una programmazione di sensibilizzazione culturale sulla Prima Guerra Mondiale. Nella rassegna "Era una notte" si inserisce anche la mostra D'Armi e D'Uomini che il Museo d'Arte Contemporanea ha ideato per il centenario della dichiarazione di guerra all'Austria e all'Ungheria da parte dell'Italia.

L'esposizione comprende una selezione di opere che Paolo Ventura [Milano, 1968] ha realizzato ispirandosi ai tempi eroici e funesti della Grande Guerra, le quali saranno affiancate da fotografie dell'epoca (provenienti dal Comando Supremo e dal Ministero della Marina), documenti e cartoline, tessere di riconoscimento e prime edizioni del movimento futurista. Agli istrionici futuristi, che consideravano la guerra come «sola igiene del mondo», Ventura ha dedicato una serie di immagini che suggellano lo spirito di esacerbato interventismo tipico dei primi decenni del Novecento. Se Morte e resurrezione di Giovanni D., opera inedita stampata su veline applicate direttamente a parete, ciostra un soldato immolato alla causa, neI gemelli vediamo Paolo Ventura e il fratello gemello indossare le divise militari dell'Austria e dell'Italia mentre duellano per "Amor di Patria".

Giorgio de Chirico aveva detto che «le guerre, una volta cominciate, pare che non debbano finire mai, come le disgrazie e le sofferenze che suscitano». Le atmosfere surreali di Paolo Ventura ci trasmettono un velo di ironica - ma pur sempre inquieta - malinconia; le sequenze fotografiche raccontano storie brevi, semplici e allo stesso tempo inaspettate, ambientate in scenari che non sono altro che lo studio dell'artista, in cui sono stati allestiti i fondali da lui dipinti. La fotografia di Ventura non "registra" passivamente l'esistente ma ricrea un immaginario dove i protagonisti, le scene e i costumi mescolano le fantasmagorie del tardo Settecento con le "memorie" del conflitto armato.

L'artista accompagnerà le immagini con testi scritti di proprio pugno, oggetti della sua collezione e costumi di scena che si avvicenderanno con autentici cimeli bellici (borracce, elmetti, pinze tagliafili) creando un'alternanza tra la pura finzione e ciò che è effettivamente reale. Tra soldati infagottati nelle loro uniformi e truppe che combattono ai confini delle proprie nazioni, la mostra intende creare una frenesia bellica che ci ricorda i tanti eroi e le troppe vittime della Grande Guerra, ma soprattutto quell'indole guerrafondaia che non cesserà mai le ostilità, così come testimonia la serie de Il soldato di Napoleone in cui avvertiamo il peso dei conflitti che hanno vessato il corso di tutta la storia umana.

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Sergio Breviario
The Belle of the Ball

a cura di Alberto Zanchetta

Per il MAC di Lissone, Sergio Breviario [Bergamo, 1974] non ha voluto realizzare una mostra vera e propria bensì ha deciso di esporre un progetto in itinere, che idealmente vorrebbe concludersi con la pubblicazione di un volume a tiratura limitata.

Le fotografie esposte al museo nascono a seguito del programma di residenze per artisti Database, il quale ha dato origine ad una esposizione presso il Museo Civico del Marmo di Carrara. Affascinato dai sistemi robotici impiegati per la lavorazione del marmo in campo artistico, negli scorsi mesi l'artista ha scattato una serie di polaroid che mostrano gli impianti robotizzati all'opera o in attesa di essere utilizzati. Lambiccandosi sul "sogno modernista" in cui le macchine eseguono ciò che l'artista può limitarsi a pensare, Breviario ha inseguito le proprie epifanie nei laboratori carraresi, scattando fotografie con una Land Camera 230 che risale agli anni Sessanta.

Mescolando le suggestioni vintage del recente passato con le visioni futuribili del presente, l'artista ne ha ricavato delle immagini - di piccole dimensioni ma ad alta intensità emotiva e suggestiva - che ha rielaborato nel proprio studio, ritagliando forme concentriche che ha poi liberamente incollato per ottenere dei personaggi dalle fattezze stilizzate; per lo più si tratta di Re e di Regine che indossano vistose gorgiere, quasi sempre assorti nella apparizione di fiori o di pianeti che gravitano intorno a loro. Le tavole dell'artista non intendono raccontare una storia, inanellano semmai una sequenza di situazioni in cui i veri protagonisti sono il collage e il disegno. Le opere, collocate all'interno delle bacheche del museo, creano una prospettiva-percorso che ridefinisce l'ambiente espositivo e si avvale di sfere luminose per scandire i ritmi e i volumi dello spazio.

Se lo sviluppo tecnologico nella lavorazione del marmo, dei graniti e delle pietre dure rischia di soppiantare le maestranze formatesi sui precetti della tradizione, allo stesso modo Breviario ha cercato di negare il virtuosismo del proprio disegno; il ductus (e il dilectus che ne deriva) è stato castigato ricorrendo a stencil e spirografi, ottenendo segni grafici ipotrocoidi ed epicicloidi che, ricombinati con gli inserti a collage, creano delle immagini inedite. I formati di piccole dimensioni inducono inoltre lo spettatore ad avvicinarsi e stabilire così un rapporto di attenzione, intimo e diretto, con l'opera cartacea. In questo modo Breviario vuole attrarre lo sguardo all'interno delle bacheche disseminate nella sala e lungo le pareti, dove sono collocate le polaroid all'interno di cornici in legno che mettono in evidenza le proprie venature. Le istantanee, talvolta mosse, tal'altre sovraesposte, restituiscono grazie alle loro "imperfezioni" un sapore personale e irripetibile.

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Vincenzo Rusciano
Echi dal bianco

a cura di Alberto Zanchetta

Echi dal bianco rievoca un luogo dove si rinvengono blocchi di marmo, materia prima (e d'eccellenza) della statuaria antica. Per la project room del MAC di Lissone, Vincenzo Rusciano [Napoli, 1973] offre ai nostri sguardi due opere in cui si danno appuntamento le ambiguità della storia e della cultura.

Obbligandoci a mettere in discussione il rapporto di familiarità e di fugace analogia che queste opere intrattengono con la nostra tradizione, l'artista partenopeo simula frammenti di statue e bassorilievi rinvenuti chissà dove, chissà quando, evidenziandone però l'artificiosità per mezzo di materiali e oggetti che rimandano al gusto o alle tecniche contemporanee. L'artista enfatizza inoltre la sovversione formale dei modelli originali sovrapponendo e amalgamando gli elementi per contenere una molteplicità di livelli e di sintassi in cui l'esistenza parrebbe rovesciarsi nell'immemore e nell'intempore.

Affrontando argomenti quali l'abbandono, l'assenza e l'incuria, negli ultimi anni la ricerca di Rusciano si è incentrata sulla ripresa e il rifacimento delle macerie dell'antico. L'artista cerca cioè di ridare vita a ciò che si è perso attraverso una ipotetica conservazione del nostro patrimonio artistico, in cui i "reperti" vengono amalgamati con gli strumenti del lavoro - quello di scultore e di restauratore - che convivono assieme alle sculture e vengono a formare un tutt'uno con le casse da imballaggio che dovrebbero proteggere le opere stesse. In questi suoi assemblaggi, Rusciano rivela quell'indole d'archeologo cui ogni artista è chiamato a confrontarsi prima o poi, affinché ci si possa riappropriare e si riesca a rinnovare modelli preesistenti.

Nelle parole dell'artista: «Queste due sculture, dal titolo Passaggi, rimandano alle sensazioni polimateriche dei laboratori di restauro e alle bianche risonanze della pietra e del marmo. Sculture composte da un caos di sovrastrutture che richiamano quelle che molte volte vengono applicate all'opera d'arte prima e durante l'intervento di un restauro e che rappresentano il momento in cui l'elemento da recuperare viene del tutto celato. È per me la fase più misteriosa che, da una parte, sembra nascondere la bellezza ma che, in realtà, racconta di quei "passaggi" tra fasi intermedie che creano un rapporto molto peculiare con l'opera da restaurare prima dell'intervento vero e proprio».

Coniugando e congiurando contro i codici visivi, Rusciano riesce a creare un tessuto connettivo che vive di contraddizioni ed è in grado di verificare l'ipotesi di un ideale spostamento (di cronos/tempo e di topos/luogo) di quei "cimeli" che ancor oggi continuano a essere un importante giacimento della nostra eredità culturale. A causa di questo disorientamento delle categorie storico-estetiche, la memoria viene travasata dentro la dimensione del presente, lasciando dietro di sé la traccia di eventi ambiguamente sospesi tra passato e futuro, tra realtà e finzione.

Inaugurazione sabato 7 marzo ore 18

Museo d'Arte Contemporanea di Lissone
viale Padania, 6 20851 Lissone (MB) (di fronte alla FF.SS.)
Orari:
Mercoledì, Venerdì h 10-13
Giovedì h 16-23
Sabato e Domenica h 10-12 / 15-19

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