The Workbench
Milano
via Vespri Siciliani, 16/4
339 2224336
WEB
Quanto mi dai se mi sparo
dal 15/3/2015 al 24/3/2015
lun-ven 10:30-18

Segnalato da

Pietro Di Lecce




 
calendario eventi  :: 




15/3/2015

Quanto mi dai se mi sparo

The Workbench, Milano

La mostra richiama il titolo di un libro uscito nel 1995 scritto dal cantautore italiano Sergio Endrigo. Opere di Silvia Camporesi, Lorenzo Di Lucido, Luca Reffo, Antonio Riello...


comunicato stampa

a cura di Camilla Martinelli

Artisti: Silvia Camporesi, Arnold Mario Dall’O, Hannes Egger, Ulrich Egger, Tony Fiorentino, Lorenzo Di Lucido, Fabrizio Perghem, Luca Reffo, Antonio Riello

"La grandezza dell'arte non comincia ad apparire che al venir meno della vita"
Guy Debord

La mostra richiama il titolo di un libro uscito nel 1995 scritto dal noto cantautore italiano Sergio Endrigo. D'ispirazione decisamente autobiografica, "Quanto mi dai se mi sparo?" racconta di un cantante famoso che raggiunta la soglia dei cinquanta, viene snobbato dalle major, e per campare è ridotto a fare serate nelle balere di provincia, a suonare e risuonare sempre gli stessi pezzi. Con questo romanzo Sergio Endrigo mette su carta la testimonianza di un'epoca non più interessata a seguire e valorizzare il cantautorato italiano, ma attenta piuttosto alla moda, alle dinamiche di mercato. Il protagonista del libro di Endrigo reagisce a questa situazione escogitando un piano: per farsi notare annuncia che il suo suicidio avverrà a termine di un concerto.

La notizia impazza sui media e lui torna improvvisamente alla ribalta. Si separa dalla moglie e dal figlio e in attesa dell'evento vive un ultimo mese tra eventi e celebrità. Chicca: Silvio Berlusconi gli propone di condurre un programma in prima serata purché non si spari. Una messa in scena a tratti grottesca che la dice lunga sulla vita di tanti artisti e sull'eterno conflitto tra creatività e mercato. Più che riferirsi esplicitamente alla diegesi di Endrigo, il titolo della mostra evoca l'ambito che le opere esposte vanno ad esplorare. La solitudine, la desolazione che corpi e luoghi suggeriscono, parla di finitudine, conflitto, sacrificio e violenza, e del legame perverso che questi temi intrattengono con la spettacolarizzazione della loro resa in immagine. L’arte esprime le insoddisfazioni che governano il mondo, trasfigurandole in sprazzi di bellezza, curiosità, piacere, sì, forse la parola chiave è ancora e sorprendentemente “piacere” anche nel godimento del brutto. Perché nel brutto, nella visione del tragico, ci sentiamo vivere più intensamente, godiamo nel provare il dolore degli altri, consapevoli di essere “in salvo”. Oggi abbiamo esorcizzato il pericolo, disinnescando armi originali, imitandole, imbellettandole, costituendo un reliquiario fatto di strumenti del dolore.

Il tutto assume un'estetica ipervisibile, diventando innocuo, perdendo funzione “pratica” e assumendo funzione “estetica”. E in queste immagini sappiamo sì immedesimarci con una certa empatia, eppure esibiamo un interesse disinteressato tipicamente postmoderno a cui ci hanno ben addestrato i media, dopo averci resi avvezzi ad ogni scena di violenza, ingiustizia, seguita da un minuto di p-u-b-b-l-i-c-i-t-à. Sensazione-disincanto, orrore-slogan. Un cortocircuito allucinato e allucinatorio che fa balenare alla coscienza ogni tipo di imperativo. L’espressione “Quanto mi dai se mi sparo?” sembra altresì interpretare la posizione “scomoda” che trovano a rivestire molti artisti di oggi. Il creativo della vita moderna, vive l'urgenza di ottenere un riscontro concreto, fondamentalmente riconducibile alla benedizione del "circuito dell'arte". Musei, gallerie, spazi espositivi, ma anche l'attenzione dei mass media o dei social, con i "like" cliccati su facebook, fa una buona parte. Solitudine ed esclusione spingono ad inventarsi chissà cosa per reclamare attenzione. Ma la vita in solitudine non è altro che uno dei frutti della "vetrinizzazione sociale". L'amplificazione della funzione esercitata dalle vetrine dei negozi nei confronti delle merci esposte, si proietta sullo stesso individuo e diventa oggetto della messa in scena quotidiana, soprattutto attraverso l'uso dei media.E allora, cosa può l'artista contemporaneo? Come fare per destare l'attenzione? Occorre uccidersi, nascondersi per rivelarsi? Trasfigurare questioni spinose? Spettacolarizzare la sofferenza? O fare della propria morte un'ultima definiva performance?

Inaugurazione 16 marzo dalle ore 18:30

The Workbench
via Vespri Siciliani 16/4 Milano
dal lunedì al venerdì dalle ore 10:30 alle ore 18:00
ingresso libero

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