Una riflessione, un'indagine, sulle permanenze, ma anche sulle latenze, delle autonomie linguistiche di tre continenti extra-europei che si confrontano con l'arte occidentale.
La mostra che mercoledì 25 marzo si inaugura a La Nuova Pesa, “Senza centro né periferia”, costituisce una riflessione, un’indagine, sulle permanenze, ma anche sulle latenze, delle autonomie linguistiche di tre continenti extra-europei (Iran, India, Cina) che si confrontano con l’arte occidentale, il cui mercato si è reso così pervasivo da dettare le leggi stesse del linguaggio.
Di ciascun continente la mostra prende in considerazione due artisti, tra i più affermati e promettenti della giovane generazione, nel tentativo di evidenziare la lingua comune che attraversa le specificità culturali dei singoli.
Valga per tutte l’opera di Riyas Komu (Kerala, India – 1971), “Mr. Panopticon”, 2009, un trittico che ben evidenzia l’aspirazione di quella edilizia carceraria, progettata a fine Settecento dal filosofo inglese Jeremy Benthan, volta al controllo permanente dell’individuo una volta inserito in un universo concentrazionario (scuola, esercito, fabbrica, carcere, ospedale che sia). Qui, nella struttura del Panopticon, la nozione di centro e quella di periferia non hanno più luogo, e proprio questo ci sembra essere il paradigma di quanto sta avvenendo, o è già avvenuto, nell’arte contemporanea a fronte di un’altra circolarità, quella della comunicazione, e dell’abolizione delle distanze geografiche.
Se Riyas Komu introduce un tema che, nell’analisi della “società disciplinare”, avrà Foucault come suo grande interprete, Hema Upadhyay (Baroda, India, 1972) nei suoi lavori elabora il tema dell’emigrazione e dello spostamento. “A partire dal 2001”, scrive l’artista, “i miei lavori raffiguranti paesaggi urbani principalmente ispirati alla città di Bombay, propongono le mie idee e la mia visione di questi concetti”.
Le opere che La Nuova Pesa espone appartengono alla serie “The Princesses’ Rusted Belt” (La cintura arrugginita delle principesse) e prendono spunto dalle polemiche che interessarono, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la chiusura delle fabbriche tessili di Bombay, favorendo movimenti sociali e politici che sfociarono in scioperi e unioni politiche, fino alla creazione di un ghetto, il “Lower Parel” del quale le opere di Hema Upadhyay rappresentano la traduzione e la trasposizione figurativa.
Navid Azimi Sajadi (1982, Tehran, Iran) da circa dieci anni vive e lavora tra l’Iran e l’Italia dove ha iniziato a esporre nel 2006. La sua capacità di manipolare, misurarsi, e possedere una pluralità di media artistici (disegno, pittura, fotografia, video, installazioni) è pari a quella di confrontarsi, anche storicamente, con le due tradizioni artistiche, quella orientale e quella occidentale, sia nelle loro tangenze che nelle loro precipuità. In questa occasione l’artista presenta un gruppo di grandi opere su fondo oro, elemento comune a entrambe le civiltà artistiche, i cui disegni alludono al gioco e all’infanzia.
Leila Mirzakhani (1978, Teheran, Iran. Vive e lavora stabilmente in Italia) pone al centro della sua poetica il recupero nostalgico di un luogo divenuto immaginario. A evocarlo, o a rincorrerlo, l’uso del colore blu di Persia, il colore dell’Iran, utilizzato da questo popolo fin dall’antichità: il colore che collega la cupola della moschea al cielo come se la estendesse al di là del mondo materiale. Al centro di una parete de La Nuova Pesa l’artista collocherà un grande disegno ossessivamente costretto dalle sbarre di una gabbia.
Il tema della montagna accomuna i due giovani artisti della Cina, creando un sistema di metafore che legano l’Oriente all’Occidente con un nuovo senso di opposizione o contrasto per raggiungere l’idea di armonia. I due giovani artisti, al momento residenti in Italia, vivono il ricordo come imago culturale che animano nell’incontro con i vissuti personali.
Per Qinggang Xiang (1983, Mu Danjiang, Cina) l’osservazione del dilatarsi della goccia d’acqua sulla pagina costituisce il ritorno alla sua cultura, all’antica tecnica dell’acquarello cinese. I profili montuosi della scultura Paesaggi interiori seguono quel segno energetico, che sospinge il codice nel movimento dell’anima. L’opera, immagine del ricordo si compone di tre parti: la rappresentazione della montagna negli antichi acquarelli, la visione della stessa durante il periodo della sua infanzia, ma all’origine di tutto il respiro del mondo, l’energia che attraversa il tutto.
Liu Xing ( 1985, San He, Cina) come gli artisti provenienti dall’India o dall’Iran, è legata alla reminiscenza di alcune immagini, con una forma narrativa rivolta ad una storia divenuta patrimonio dell’umanità. I simboli cui fa riferimento Liu Xing appartengono alla sopravvivenza del segno, fenomeno sacro presso tutti i popoli. Note come le “Caverne dei mille Buddha”, lungo la Via della Seta, le Grotte Mogao conservano immagini di Buddha. Liu Xing si riferisce a quel tempo, quando l’apparizione della luce al monaco si traduce nelle figure del Buddha danzante, che hanno sfidato tempo e invasioni. Il linguaggio della reminiscenza, dislocato quasi per scene tra la ricercata leggerezza della ceramica bianca e l’ondulazione del segno sul lungo rotolo, si fa a sua volta ricerca oltre la storia e il ricordo
(Enrica Petrarulo)
Inaugurazione mercoledì 25 marzo ore 19
La Nuova Pesa
via del Corso, 530 Roma
Orario
Da lunedì a venerdì Ore 10.30-13 e 15.30-19
ingresso libero