Il etait une fois. La sua opera esprime una riflessione permanente sulla condizione sociale dell'artista, una critica radicale verso le manipolazioni e le seduzioni della rappresentazione. In mostra piu' di 30 opere che evidenziano il suo uso della "situazione trovata", semplicemente colta con la fotografia, o elaborata con il disegno.
a cura di Éric de Chassey
L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici presenta dal 30 aprile al 13 settembre
2015 la mostra Jean-Luc Moulène. Il était une fois, dedicata a uno degli artisti più
rilevanti della scena contemporanea internazionale. L’opera di Jean-Luc Moulène –
oggetti, fotografie, film – esprime al contempo una riflessione permanente sulla
condizione sociale dell’artista, una critica radicale verso le manipolazioni e le
seduzioni della rappresentazione e una ricerca formale che spesso si tinge di
umorismo e di scherno.
La mostra, curata da Éric de Chassey, mette l’accento su opere recenti, create
dall’artista per l’occasione, ma propone anche una messa in prospettiva del suo
lavoro presentando alcuni dei progetti più vecchi. Jean-Luc Moulène. Il était une
fois costituisce la terza e ultima tappa di un percorso iniziato con l’esposizione
Disjonctions, organizzata nell’estate 2014 al Centro di arte contemporanea
Transpalette di Bourges e curata da Damien Sausset, e proseguito con Documents &
Opus (1985-2014), al Kunstverein Hannover, sotto la direzione di Kathleen Rahn.
Ognuna di queste tre mostre è dedicata ad aspetti diversi della produzione di
Jean-Luc Moulène, che spazia dalla fotografia alla scultura, dal disegno alla
pittura, senza dimenticare i manifesti, le brochure e le altre pubblicazioni.
Jean-Luc Moulène. Il était une fois nasce da una lunga frequentazione di Villa
Medici, che ha permesso all’artista di immergersi nello spirito di questo luogo e di
dialogare con esso. L’idea di un’esposizione monografica nasce nel 2010. Da allora
Jean-Luc Moulène ha soggiornato spesso a Villa Medici, che già conosceva bene per
aver partecipato a due collettive: La Mémoire, nel 1999, e La Fabrique de l’image,
nel 2004.
Questa mostra presenta più di trenta opere, una selezione apparentemente eterogenea
che permette di cogliere alcuni dei principi caratteristici della pratica
dell’artista: l’uso de l’objet trouvé o della “situazione trovata”, semplicemente
colti seguendo il principio della fotografia (quelli che Jean-Luc Moulène chiama
“documents”, documenti) o trasformati ed elaborati secondo il principio del disegno
(che lui chiama “opus”, opera); un approccio alla realtà che non riduce l’arte alla
comunicazione o alla narrazione ma che propone una presentazione di immagini; un
modo di concepire le proprie opere, al di là dell’apparente diversità formale, sia
come esperienze del pensiero che come esperienze sensibili.
L’esposizione si apre con una delle prime immagini dell’artista, Bubu 1er del 1977,
un disegno primitivista che viene qui messo in relazione con un grande oggetto
bifronte realizzato attraverso un calco, Janus, del 2014, e una fotografia, Manuel
Joseph, che ritrae il poeta con cui l’artista aveva collaborato per la mostra del
2004 a Villa Medici. Questa prima sala rende esplicita la presenza del corpo
nell’opera di Jean-Luc Moulène, presenza che sarà più sotterranea nel resto
dell’esposizione. Il corpo che produce oggetti o il corpo che si amalgama ad essi è
presente anche nella serie Tronches (2014), composta da quindici oggetti in cemento
modellati da maschere di carnevale e posti su coperte colorate, o nei Tricolore
(2015), oggetti in vetro soffiato compresso da una struttura di acciaio.
Molte delle opere esposte rivisitano la storia, quella dell’artista o quella del
luogo – ed ecco uno dei significati suggeriti dal titolo Il était une fois, C’era
una volta. Alcuni lavori evocano degli elementi presenti nell’architettura o nelle
decorazioni di Villa Medici, come le patine monocrome che Jean-Luc Moulène ha voluto
in due sale delle gallerie espositive e che richiamano – senza riprodurne una copia
fedele – il modo in cui Balthus applicava il colore negli anni ’60, quando era
direttore dell’Accademia di Francia a Roma. O ancora, il film Les Trois Grâces,
proiettato nel Salon de musique, che riprende uno dei principali bassorilievi della
facciata della Villa.
Come spiega Éric de Chassey, “la mostra di Jean-Luc Moulène a Villa Medici, luogo
destinato ad ancorare il contemporaneo a una relazione profonda con il passato,
rientra in gran parte nell’ambito di una logica archeologica che consiste nel
cercare ciò che nel passato può essere rivivificato per ri-orientare il presente in
una direzione altrimenti vietata dalla logica cronologica del cosiddetto
progresso.”
Una delle questioni fondamentali sollevate da Jean-Luc Moulène è la relazione tra
arte e lavoro, tra opera e inoperosità. Secondo il curatore, “Jean-Luc Moulène
realizza degli oggetti che sono il risultato dell’inoperosità degli oggetti e dei
corpi. Mette un disfare all’origine del suo fare, lasciando questo disfare sempre
presente e visibile nell’oggetto. Egli si colloca, così, in una lotta contro
l’ideale di produttività, introducendo del gioco, una falla, all’interno di questo
processo. Il suo lavoro paradossale costituisce il modello di un mondo possibile,
quello di una resistenza, attiva per la sua stessa inattività, del corpo passivo
(impronta o traccia, attraverso il soffio o la fotografia analogica), che anima il
mondo e resiste a qualsiasi commercializzazione”. In questo senso, la pratica di
Jean-Luc Moulène è pienamente politica. Il suo percorso testimonia, come afferma
Philippe Vergne, ex direttore del museo Dia:Beacon che ha accolto la sua prima
grande esposizione negli Stati Uniti, “il suo sforzo per essere un artista integrato
nel mondo reale, piuttosto che isolato nel suo atelier.”
Il rapporto tra opera e spettatore è un altro aspetto essenziale per capire
l’approccio di Jean-Luc Moulène. Egli invita lo spettatore a vivere un’esperienza
“viscerale”, a prendere in conto la discontinuità delle opere esposte per arrivare a
trovare quello che gli interessa, per permettergli di cogliere significati diversi
che si arricchiscono e si rendono l’un l’altro più complessi. Lo spettatore può così
far sua l’opera e non ritrovarsi respinto fuori da essa.
Jean-Luc Moulène
Nato a Reims nel 1955, Jean-Luc Moulène vive e lavora a Parigi. Ha iniziato il suo
percorso come fotografo, facendosi conoscere con le serie Objets de grève
(1999-2000) e 48 Palestinian Products (2002-2005), per poi dedicarsi, a partire
della fine degli anni ’90, alla produzione di oggetti e disegni. Ha partecipato a
Documenta X (1997), alla Biennale di San Paolo (2002), alla Biennale di Venezia
(2003), alla Biennale di Taipei (2004) e alla Biennale di Sharjah (2010). Numerose
istituzioni gli hanno dedicato delle esposizioni, tra cui il Centre d’art
contemporain de Genève (2003), il Centro di arte contemporanea di Kitakyushu (2004),
il Musée du Louvre a Parigi (2005), Culturgest a Lisbona (2007), il Carré
d’art-Musée d’art contemporain a Nîmes (2009), Dia:Beacon a New York (2011) e il
Modern Art Oxford (2012). Nel 2011 ha realizzato due oggetti di dimensioni
monumentali, Body e Body versus Twizy, prodotti da Renault. Le sue opere fanno parte
delle più importanti collezioni d’arte pubbliche e private, come quelle del Centre
Pompidou o di Dia:Beacon. Partecipa attualmente alla mostra collettiva Slip of the
Tongue alla Punta della Dogana a Venezia, curata da Danh Vo.
Jean-Luc Moulène è rappresentato dalla Galerie Chantal Crousel (Parigi), dalla
Galerie Pietro Sparta (Chagny), Thomas Dane Gallery (Londra) Galerie Greta Meert
(Bruxelles), Miguel Abreu Gallery (New York), Galeria Désiré Saint Phalle
(Messico).
Inaugurazione mercoledì 29 aprile ore 18.30-20.30
Accademia di Francia a Roma – Villa Medici
viale Trinità dei Monti, 1 - Roma
Orari di apertura della mostra: da martedì a domenica (chiuso il lunedì) 10.00-19.00
(ultimo ingresso alle 18.30)
ingresso libero