Mondi Incerti. Il codice fotografico gli consente di registrare il mutare del tempo e gli permette di svelare le tracce indefinibili del passaggio dell'uomo sulla terra.
MUST GALLERY & TORINO SPAZIO 28 sono lieti di presentare, nei nuovi spazi dello studio di architettura TORINO SPAZIO 28, una selezione di opere fotografiche e di nuovi lavori pittorici realizzati dal giovane artista italiano Giulio Cassanelli.
La ricerca dell'artista bolognese si dispiega attraverso mezzi espressivi differenti pur partendo da una matrice comune: la fotografia. Il codice fotografico gli consente di registrare il mutare del tempo e gli permette di svelare le tracce indefinibili del passaggio dell'uomo sulla terra. Il suo lavoro nasce dalla necessità intima di unire il caso e l'autodeterminazione, di fermare e definire qualcosa d'imprendibile e di irripetibile, come può essere l'attimo, all'interno di una concezione unitaria dell'essere.
Per l’occasione verrà presentato un catalogo che racchiude tutte le opere in mostra dei progetti più importanti dell’artista Giulio Cassanelli con i testi critici di Chiara Canali, Angela Madesani e Fabio Cafagna.
”La fotografia ha sempre avuto il compito di fissare nel tempo un momento pregnante, giusto, quello che i greci chiamavano Kairos (καιρός). Come ha affermato Hubert Damisch la fotografia ci dà “la traccia di un oggetto o una scena dal mondo reale” ma solo nella misura in cui “isola, conserva e presenta un momento sottratto a un continuum”.
Ecco il paradosso del linguaggio fotografico: noi guardiamo una foto come qualcosa che registra il tempo e ci documenta quel particolare momento storico, quando invece essa non può fare a meno di fermare il tempo ed estrapolare il soggetto dalla storia.
Tutte le fotografie, in questo senso, non hanno né un prima, né un dopo, rappresentano il momento stesso della loro realizzazione. Questo si potrebbe dire anche per tutta la ricerca artistica di Giulio Cassanelli, autore bolognese che parte dal vocabolario visivo fotografico per misurarsi, al tempo stesso, con altri mezzi espressivi come la pittura e l’azione gestuale, performativa. In questo senso, il lavoro di Cassanelli è precorritore di un vero e proprio metodo: rappresentare spazialmente un’immagine che oltrepassa lo spazio, varcando in questo modo la soglia del tempo.
Da anni l’artista indaga le trasformazioni di stato e di materia nel tempo e cerca di trasferirne, con il medium fotografico, la cristallizzazione in tracce e sedimenti, come nel caso dei residui organici lasciati sul fondo dei bicchieri. La stessa identificazione di immagine, superficie e sostanza, operata attraverso la fotografia nella serie “Resti?”, viene riproposta in pittura con il ciclo “Bolle di sapone” come vibrante e istantanea trasposizione delle cosmiche galassie del visivo nelle iridescenti cellule del pigmento. “Forme passeggere e delicatissime – così le tratteggia Giulio Cassanelli – che catturo in volo su tipologie di carte differenti. Sono un respiro, un’istantanea pittorica, la traccia di un volo e di un gesto ideale, un pianeta, una cellula, un cerchio disegnato dall’effimero reso manifesto”.
Ma il funzionamento di identificazione tra realtà–forma–intenzione e materia–superficie non è semplice né puramente lineare perché qui non si parla più di rappresentare qualcosa di esterno ed estemporaneo. Qui l’artista, introducendo il gesto pittorico come atto performativo necessario all’attuazione dell’opera, non importa se casuale o autodeterminato, associa in più il fare, il guardare e il fare insieme. “L’atto di guardare e di fare insieme come atto primario dell’arte” come afferma l’artista di origini lettoni Vija Celmins, che potrebbe essere considerata un interessante precorritrice della poetica di Giulio Cassanelli di identificazione tra superficie della realtà e superficie della pittura (o fotografia).
Questa prospettiva ribalta e cambia tutto il nostro punto di vista: la pittura è un esperire attraverso il fare, e non più e non solo un vedere con più cura e attenzione come era già per il linguaggio fotografico. Tanto più che la materia pittorica, pigmento e inchiostro, c’è ed è presente non solo prima nelle bolle reali di sapone che vengono librate nell’aria ma anche poi nel disegno che si imprime sulla carta allo scoppio della bolla. Questa materia assume “una sua vita propria”, che il fare disvela, scopre e restituisce.
Il quadro su carta fotografica che ne risulta diventa quindi il “qui e ora”, il Kairos appunto, non il “qui è stato” della fotografia. La pittura permette all’artista di rovesciare in questo senso il rapporto con la fotografia e, attraverso di essa, con il tempo della realtà e dell’esistenza stessa: non più il reale restituito in immagini, ma le immagini rifatte, ricreate e immesse istantaneamente nel mondo reale. “Una vita propria” significa che la concezione espressiva dell’artista si vivifica nell’esperienza immediata dell’azione gestuale, in un nuovo reale in cui il primo si è trasformato e non è solo condiviso da tutti gli elementi in gioco – realtà – fotografia – pittura – ma è anche il risultato del loro nuovo legame indissolubile che l’esperienza artistica rende attuale e fattuale.
Chiara Canali
Inaugurazione 17 giugno ore 18
Spazio 28
corso Vittorio Emanuele II , 28 (interno cortile) Torino
Dalle ore 18.00 alle ore 21.00
ingresso libero