Il tesoro misterioso. Le sue opere in resina, custodi di piccoli manufatti e di pigmenti colorati, si alternano ai preziosi reperti conservati nelle sale museali. Nel giardino alcuni elementi evocano il tracciato dell'antica cinta urbana che Hamak aveva ornato nel 2007.
In occasione dell’undicesima edizione di ArtVerona, Studio la Città presenta, in collaborazione con la Direzione Musei d’Arte e Monumenti del Comune di Verona e Veronafiere, l’allestimento site specific di Herbert Hamak al Museo Lapidario Maffeiano intitolato Il tesoro misterioso dal celebre racconto di Emilio Salgari.
In uno dei più antichi musei pubblici d’Europa Herbert Hamak dialogherà, sulla scia della suggestione salgariana indicata per i collateral di ArtVerona 2015, con i tesori, “nascosti” e non, dello straordinario Museo settecentesco che si affaccia su Piazza Bra’. Le sue opere in resina, custodi di piccoli manufatti e di pigmenti colorati, si alterneranno ai preziosi reperti conservati nelle sale museali, mentre nel giardino alcuni elementi evocheranno il tracciato dell’antica cinta urbana di cui un segmento è visibile nel sotterraneo del Museo.
Nel 2007 Herbert Hamak fu chiamato a realizzare un intervento nel complesso monumentale di Castelvecchio alla luce della riapertura al pubblico dei camminamenti di ronda. Ultramarinblau Dunkel Pb 29.77007, era l’installazione che si presentava incastonata tra i merli della cinta muraria che circonda il cortile del Castello.
Ora a distanza di anni - quasi un completamento di quell’intervento - Hamak interviene con un allestimento site specific nel giardino del Museo Lapidario Maffeiano proprio in corrispondenza del proseguimento di quella stessa cinta che aveva ornato nel 2007 e con il medesimo intento che lo ha portato nel passato a colorare la città. Qui, nel giardino del museo, l’artista tedesco interviene in maniera duplice. Da un lato, in stretta correlazione con lo spazio suggestivo del sito, fa appunto riemergere il muro di cinta sottostante con un invito rivolto alla memoria e alla riscoperta di ciò che è meno visibile, quasi nascosto come sono le fondamenta dell’antica cinta urbana di cui un segmento è visibile nel sotterraneo del Museo; mentre la trave che campeggerà appoggiata al muro, altro non è che una delle sue lance blu che solcavano il camminamento e che qui ritornano come citazione.
Il dialogo con l’architettura del luogo troverà ulteriore espressione nell’intervento sulla terrazza al primo piano del museo, pensato per essere visto dall’esterno del Palazzo. Qui una serie di blocchi blu – gli stessi utilizzati nell’installazione del 2003 sull’esterno della Cattedrale di Atri dove “impreziosivano“ la facciata conferendole l’aspetto di un libro religioso – “abbracceranno” la ringhiera per tutta la lunghezza della terrazza del museo perpetuando l’intento dell’artista di omaggiare un luogo-tesoro della città e “colorare la città” stessa come aveva iniziato nel 2007 a Castelvecchio.
La relazione tra spazio interno ed esterno e tra spazio privato e aperto continua nelle sale del museo dove l’intervento molto contestualizzato si lega all’omaggio che accompagna sia un viaggio salgariano, sia il viaggio nell’aldilà: ecco che allora alcuni reperti sono custoditi nelle resine a ricordare quella che Herbert Hamak ha definito «la scoperta e la conservazione da un lato, e il momento della materializzazione dell’idea artistica e della genesi dell’intuizione di forme espressive» dall’altro. A proposito di queste nuove opere, Marco Meneguzzo osserva che ciò che affascina è il mistero più che lo svelamento dell’oggetto custodito nel blocco di resina.
«[…] Hamak “costruisce” letteralmente il mistero e già in questo mette in atto una capacità che non è comune, perché a rigor di termini, un mistero non si costruisce, ma “è”: invece, immergendo qualsiasi “cosa da questo mondo” nella resina, si stabilisce quella “lontananza” che nella realtà è costituita da appena qualche centimetro di resina semitrasparente, ma che nell’immaginario è costituita più dal tempo che dallo spazio e colloca l’oggetto in una regione fantastica.
La mancata identificazione subitanea della “cosa”, infatti, consente alla fantasia di immaginare più ipotesi sulla sua natura, e molteplici livelli di narrazione su di essa, proprio a partire dal suo stato fisico, ed è proprio questa strana contraddizione tra la percezione di una semplice realtà – un oggetto imprigionato in un blocco di resina – e i possibili percorsi immaginativi – Da dove viene? Perché è imprigionato? Da quanto tempo lo è? … e per ultima, ma paradossalmente non la più importante, Che cos’è? – a costituire non soltanto il mistero dell’oggetto, ma il mistero stesso dell’arte che riesce a creare misteri.
Hamak ha titolato queste sue opere “Point Alpha”, indicando così esplicitamente una sorta di “inizio” (Alfa è la prima lettera dell’alfabeto greco), che nel suo caso dovrebbe però essere un “nuovo inizio”, vista la sua notevole attività precedente, per altro sempre interpretata – e non c’era motivo per non farlo – come un esempio di minimalismo astratto, concretizzato in una forma e in un colore.
Qui invece sembra tutto stravolto, per la presenza di un oggetto o di un’immagine che apparentemente diventano protagonisti dell’opera, e ciò giustificherebbe la novità di un titolo simile, a sottolineare la frattura con un periodo precedente della propria storia, ma una volta passato il primo momento di sgomento concettuale – che tutti noi, che conoscevamo la sua opera precedente, abbiamo sicuramente provato… –, che lo vedeva rinunciare ai concetti di forma, di colore, di geometria, in favore di immagini, metafore e narrazioni, la considerazione potrebbe andare al vero protagonista di tutto questo rinnovamento, che non è altro che il blocco di resina. E’ questo infatti che innesca la metafora, che costruisce il tempo della narrazione, che mette in scena il mistero, molto di più dell’oggetto racchiuso al suo interno. […]».
Il MUSEO LAPIDARIO MAFFEIANO, sorge nel cuore di Verona intorno alla metà del Settecento ed è una delle più antiche istituzioni pubbliche museali europee. Il suo nome è indissolubilmente legato al marchese Scipione Maffei (1675-1755), importante studioso ed erudito veronese, assai conosciuto ed apprezzato anche all’estero per la versatilità del suo ingegno e per la molteplicità dei suoi interessi applicati ai più svariati campi del sapere.
La scelta del luogo per l’esposizione delle lapidi del Maffei non fu casuale: il cortile dell’Accademia Filarmonica, di cui lo studioso, dal 1701, era autorevole membro. In quel luogo, fin dai primi decenni del XVII secolo, erano state raccolte numerose iscrizioni già appartenute a collezionisti privati veronesi. Scipione Maffei decise di accrescere il numero delle opere conservate presso l’Accademia, ricercando ed acquistando molti altri documenti epigrafici.
L’attuale sistemazione del Museo, secondo l'ordinamento archeologico di Lanfranco Franzoni, rispecchia solo in parte quella originaria di Maffei per la consistente riduzione degli spazi nel cortile e la costruzione di ben tre piani sopra il portico, avvenute nel XX secolo. L’allestimento si deve all’architetto Arrigo Rudi ed è stato riaperto al pubblico nel 1982.
Inaugurazione 16 ottobre ore 19.30
Museo Lapidario Maffeiano
piazza Bra, 28 Verona
mar-dom 8.30-14, sab 8.30-12.30
intero 4,50; ridotto 3