Marco Ambrosi
Giorgio Bombieri
Davide Dutto
Saluzzo
Rodolfo Morandi
Giovanna Magri
Eric Oberdorff
Daniela Rosi
Opere di sei diversi fotografi. Le immagini in mostra sono in dialogo tra di loro e con il visitatore. Registrando luoghi, sguardi, strumenti, ma anche sensazioni emotive, queste fotografie sono sguardi sulla quotidianita'.
a cura di Daniela Rosi
Inaugura martedì 20 ottobre nella sede di Palazzetto Tito della Fondazione Bevilacqua La Masa la mostra De l’ombre à la lumière, a cura di Daniela Rosi, che presenta una serie di lavori fotografici realizzati da sei diversi fotografi, in collaborazione con persone in stato di detenzione in diversi Paesi come Italia, Francia, Lettonia, Russia, Brasile.
Si tratta di:
Marco Ambrosi, Maison Centrale de Arles, Francia
Giorgio Bombieri, Casa di reclusione femminile, Venezia Giudecca, Italia
Davide Dutto,Casa di reclusione – Saluzzo (Rodolfo Morandi), Italia; CasaCircondariale – Torino (Lorusso e Cotugno), Italia
Giovanna Magri, Casa circondariale di Verona, Montorio, Italia
Eric Oberdorff, Maison d’Arrèt de Nice, Francia;
Klauvdij Sluban,Camp disciplinaire de Kolpino, Saint Péterburg, Russia; Camp disciplinaire, Cesis, Lettonia; Camp disciplinaire de Mojaisk, Russia; Prisons bresilliennes pour mineurs, Mario Covas et Arujà deSao Paulo, Brasile
La mostra è promossa dalla Fondazione Bevilacqua La Masa del Comune di Venezia, in collaborazione con l’Ente formativo “Preface” e l’Associazione di Creativi “Officina delle Nuvole”, con il sostegno delle Cooperativa Rio Terà dei Pensieri e di Lao, laboratorio artisti outsider, e Università Ca’ Foscari di Venezia.
Il titoloDe l’ombre à la lumierefa riferimento non solo a quanto avviene con la fotografia, quando le immagini, nella camera oscura, vengono alla luce, ma anche alla condizione di chi opera nell’ombra e, attraverso il proprio lavoro, emerge all’attenzione dell’interesse collettivo. Lavoro, quindi, come opera fotografica, ma anche, soprattutto, come professione. L’interesse collettivo è sia rappresentato dal contributo che chi lavora offre alla società, sia dall’attenzione a determinati temi che la mostra fotografica può suscitare nel visitatori.
L’esposizione riunisce i lavori di sei fotografi di differenti nazionalità che hanno lavorato in alcune realtà carcerarie in Francia, in Italia, nei paesi dell’Est Europeo e anche Oltreoceano, con approcci diversi fra loro, unendo attitudine artistica e sensibilità umana.
Marco Ambrosi ad Arles ha insegnato la tecnica fotografica a dieci aspirant ifotografi, portandoli ad una competenza professionale e sperimentando con loro le potenzialità della fotografia nell’ambito dell’arte applicata, attraverso un percorso che, dalla tecnica, è sfociato spontaneamente nella composizione creativa e in un risultato artistico.
Giorgio Bombieri a Venezia si è concentrato sulla dignità che il lavoro riesce sempre a restituire a chi lo pratica; il fotografo riesce a cogliere tale dignità nelle espressioni di orgoglio trasmesse dai volti delle donne che tengono in mano strumenti-simbolo del loro lavoro: una vanga, una scopa, un rastrello diventano l’espressione di una “ricchezza” esistenziale recuperata.
Davide Dutto a Saluzzo e a Torino ripercorre, sfidandole a distanza di un secolo e mezzo, le note teorie fisiognomiche di Cesare Lombroso, proponendo unintenso lavoro contro lo stigma. Egli interroga provocatoriamente chiguarda, lo invita a “scoprire” le diverse identità e il discrimine scientifico che distingue la personalità di chi vive nella legalità e di chi, invece, risulta essere un deviante per la collettività.
Giovanna Magri a Verona si è cimentata in un progetto che mette in dialogo la fotografia e la parola e che vede, nella rappresentazione del proprio volto, del proprio “ritratto riscritto”, un’occasione di reinvenzione e di palingenesi della propria identità, la quale, come un’araba fenice, può sempre rinascere.
Eric Oberdorff ha lavorato investigando il rapporto del corpo con lo spazio che lo reclude. Una sorta di presa di possesso, attraverso gli scatti, di uno spazio vitale più grande delle anguste pareti di un luogo di detenzione. I corpi divengono un paesaggio e, oltre l’orto concluso della costrizione e del proprio vissuto, aprono nuovi orizzonti.
Klavdij Slubanda oltre venti anni gira il mondo cercando di stabilire un dialogo artistico con minori che si trovano in una situazione extra-ordinaria, come può essere quella di un carcere, offrendo aloro un mezzo espressivo: la macchina fotografica. Un medium che li mette in condizione di guardare, attraverso un obiettivo, spazi,oggetti, persone che fanno parte del loro quotidiano e che, in quanto isolati dal tutto, assumono una bellezza e dei significati inaspettati.
Le immagini in mostra sono in dialogo tra di loro e con il visitatore, cercando di stabilire con esso una sorta d’intimità. Registrando luoghi, sguardi, strumenti, ma anche sensazioni emotive, queste fotografie sono sguardi su una quotidianità in spazi altrimenti preclusi alla maggior parte di noi.
La mostra è promossa da:
Fondazione Bevilacqua La Masa, Comune di Venezia; Ente formativo “Preface”; Associazione di Creativi “Officina delle Nuvole”
Con il sostegno di: Cooperativa Rio Terà dei Pensieri e Lao, laboratorio artisti outsider,e Università Ca’ Foscari di Venezia.
Inaugurazione 20 ottobre 2015, ore 18.00
Fondazione Bevilacqua La Masa
Palazzetto Tito, Dorsoduro 2826 Venezia
aperto da mercoledì a domenica, dalle10.30 alle 17.30
ingresso libero