Carol Rama
Danh Vo
General Idea
Thomas Saraceno
Santiago Sierra
Maria Lai
Francesco Solimena
Ambrogio Figino
Panfilo Nuvolone
Giuseppe Recco
Mario Nuzzi
Francesco Maltese
Bartolomeo Bettera
Evaristo Baschenis
Guido Cagnacci
Giulio Carpioni
Cesare Dandini
Jusepe de Ribera
Gioacchino Assereto
Francesco Furini
Giuseppe Vermiglio
Giacomo Ceruti
Pietro Bellotti
Giorgio Andreotta Calo'
Francesco Arena
Stefano Arienti
Miroslaw Balka
Rossella Biscotti
Pierre Bismuth
Ra di Martino
Jimmie Durham
Lara Favaretto
Paolo Fresu
Roberto Goffi
Rolf Julius
Karen Kilimnik
Kimsooja
Heinz Peter Knes
Jiri Kovanda
Gabriel Kuri
Antonio Marras
Christoph Meier
Jonathan Monk
Ruben Montini
Paolo Piscitelli
Tobias Putrih
Stephen G. Rhodes
Antonio Rovaldi
Kiki Smith
Akio Suzuki
Luca Trevisani
Oscar Tuazon
Luca Vitone
Gillian Wearing
Sislej Xhafa
Miki Yui
Luca Pozzi
Fred Goudon
Ruben Montini
Alexander Pohnert
Ettore Fico
Davide Dotti
Andrea Busto
Lorena Tadorni
Gianluigi Ricuperati
A partire da questo stimolante tema, 6 mostre costituiscono un percorso con oltre 50 dipinti del XVII e XVIII secolo incentrati sulla caducita' della vita, a confronto con i lavori multimediali di 36 artisti contemporanei internazionali, insieme ad opere site specific di giovani autori, per finire con le foto di Fred Goudon.
Il silenzio delle cose
Vanitas, allegorie e nature morte da collezioni italiane
a cura di Davide Dotti
La mostra
“Il silenzio delle cose. Vanitas, allegorie e nature morte dalle collezioni italiane”
indaga
la genesi, lo sviluppo e le varie articolazioni del soggetto della vanitas in Italia attraverso una
raffinata selezione di dipinti del XVII e XVIII secolo provenienti da collezioni pubbliche e private.
La diffusione della fortunata iconografia seguì in Italia tre filoni tematici differenti: uno,
tradizionale, legato ai modelli d’Oltralpe e spagnoli, basato sulla presenza di oggetti dalla forte
valenza simbolica quali il teschio, la clessidra, la candela consumata, i libri sgualciti, le carte
da gioco, i dadi, il mappamondo e i preziosi; l’altro, strettamente connesso alla “natura morta”,
specialmente di frutta e fiori, pone in risalto gli effetti che il trascorrere del tempo provoca sulle
“cose di natura”; l’ultimo, che ebbe particolare diffusione presso la committenza aristocratica,
incentrato sui dipinti di figura con le allegorie della vita umana, del tempo, della fragilità
dell’esistenza e delle età dell’uomo.
L’esposizione, che si articola secondo un suggestivo percorso iconografico, è suddivisa in due
momenti. Nel primo le affascinanti
vanitates
del misterioso “Maestro della Vanitas” e di Francesco
Solimena, dialogano da un lato con una serie di
memento mori
, e dall’altro con un nucleo
selezionato di “still life” di Ambrogio Figino, Panfilo Nuvolone, Giuseppe Recco, Mario Nuzzi,
Francesco Maltese, Bartolomeo Bettera ed Evaristo Baschenis, dove l’appassimento dei petali,
la coltre di polvere sugli strumenti musicali, le bacature e le imperfezioni della frutta causate dal
trascorrere ineluttabile del tempo assurgono a emblemi della
vanitas.
Il secondo momento vede invece protagonisti dipinti di figura di importanti pittori barocchi quali
Guido Cagnacci, Giulio Carpioni, Jusepe de Ribera, Gioacchino Assereto, Francesco Furini, Giuseppe
Vermiglio, le cui tele campeggiano su “pareti tematiche” rispettivamente dedicate a: Allegoria della
vita umana e del tempo; teste mozzate (di Golia, Oloferne, San Gennaro e del Battista); celebri
suicidi (di Lucrezia, Cleopatra, Ghismunda) e Santi in meditazione col teschio (Girolamo, Maddalena,
Francesco). Chiude la mostra una serie di volti di anziani uomini e donne sciupati dal tempo e
segnati dalle rughe, ritratti con folgorante realismo da Giacomo Ceruti a Pietro Bellotti.
Tra i capolavori esposti si segnala il
Piatto di pesche
di Ambrogio Figino (la prima natura morta
dipinta in Italia intorno al 1591-1594, che anticipa l’esecuzione della
Canestra
di Caravaggio di
almeno tre anni), la sensuale
Allegoria della vita umana
del pittore romagnolo Guido Cagnacci,
il teatrale e melodrammatico
Suicidio di Lucrezia
del maestro del barocco fiorentino Cesare
Dandini, la
Composizione di strumenti musicali e mela
firmata per esteso dal bergamasco
Evaristo Baschenis e la splendida coppia di tele del misterioso “Maestro della Vanitas”, pittore di
probabili origini transalpine attivo tra Roma e Napoli nel terzo quarto del XVII secolo.
L’intrigante soggetto della
vanitas
, ricco come pochi altri di simbologie e rimandi allegorici, sedurrà
con il suo fascino lo spettatore suggerendo una meditazione sulla fragilità della condizione umana.
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Non la parola fine ma la fine delle parole
La donazione Renato Alpegiani
a cura di Andrea Busto e Lorena Tadorni
Ricercatore infaticabile e frequentatore
attento di gallerie e fiere internazionali,
Renato Alpegiani ha scandagliato, fin dai
primi anni Ottanta, tutte quelle correnti
nazionali e internazionali che hanno
determinato una svolta nella odierna
concezione dell’arte contemporanea.
Il percorso espositivo prevede circa 50 opere
– raccolte in differenti anni tra le maggiori
gallerie internazionali – che compongono
una panoramica di altissimo livello culturale
e profilo qualitativo.
Il perno della raccolta ruota attorno al tema
del passaggio tra vita e morte, tra aldiquà
e aldilà. L’unica testimonianza del passare
del tempo, della fragilità e dell’inconsistenza
della vita, sono differenti trasformazioni delle
cose attraverso il loro aspetto esteriore.
Le opere sono realizzate con differenti
tecniche e materiali e spaziano dalla classica
pittura a olio su tela alla più complessa
installazione luminosa, a vere e proprie
“macchine visive” – come nel caso dell’opera
di Lara Favaretto in cui tre ventilatori agitano
in una stanza chiusa una tonnellata di
coriandoli bianchi – o, infine, a piccoli oggetti
da camera – come l’opera di Akio composta
da una semplice lastra di cemento su cui
sono incisi i profili delle orecchie umane
a simboleggiare l’ascolto del vuoto e dello
spazio.
ARTISTI IN MOSTRA
Giorgio Andreotta Calò, Francesco Arena, Stefano Arienti, Miroslaw Balka, Rossella Biscotti,
Pierre Bismuth, Rä di Martino, Jimmie Durham, Lara Favaretto, Paolo Fresu, General Idea,
Roberto Goffi, Rolf Julius, Karen Kilimnik, Kimsooja, Heinz Peter Knes, Jirˇí Kovanda,
Gabriel Kuri, Maria Lai, Antonio Marras, Christoph Meier, Jonathan Monk, Laurent Montaron,
Ruben Montini, Paolo Piscitelli, Tobias Putrih, Carol Rama, Stephen G. Rhodes, Antonio Rovaldi,
Tomás Saraceno, Santiago Sierra, Kiki Smith, Akio Suzuki, Luca Trevisani, Oscar Tuazon,
Luca Vitone, Danh Võ, Gillian Wearing, Sislej Xhafa, Miki Yui.
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Corpi atletici - Dieux du Stade
Fotografie di atleti di Fred Goudon
a cura di Andrea Busto
Dieux du Stade
-
Dèi dello stadio
è il titolo
di un popolare calendario, pubblicato dal
2001, che contiene fotografie di rugbisti
professionisti. Nasce quasi per scherzo
da un’idea di Max Guzzini, presidente
della squadra di rugby francese, che volle
festeggiare in modo diverso la vittoria dello
scudetto e destinare parte del ricavato
in beneficenza. Tutti i modelli ritratti sono
giocatori che militano nel campionato
professionistico francese.
Solo negli ultimi anni sono stati invitati a
posare per il calendario altri sportivi come
calciatori, lottatori e judoka. Gli scatti li
ritraggono in pose che esaltano i loro muscoli,
limitandosi a un nudo artistico e mai volgare.
A Fred Goudon sono state affidate le
fotografie delle versioni 2006, 2014 e
2015. Il percorso espositivo prevede dodici
pose fotografiche che riprendono gli atleti,
in particolar modo i rugbisti, in momenti di
riposo negli spogliatoi delle palestre e degli
stadi o direttamente in studio in pose rilassate
e decisamente erotiche e glamour.
Per Goudon la bellezza è il lasciapassare
per la realizzazione di foto plastiche
e peraccedere alla dimensione
dell’atemporalità della bellezza eterna intesa
come collegamento tra il mondo terreno e
quello idealizzato dell’Olimpo degli eroi classici.
La bellezza dei corpi è anche il modo effimero
per documentare un ideale di uomo legato
allo sforzo fisico che realizza.
Fred Goudon è un fotografo professionista nato a Cannes il 1 giugno 1965 che vive e
lavora a Parigi. Ha mosso i primi passi in campo giornalistico e in seguito si è ritagliato una
parentesi nell’ambito musicale come DJ. Oggi lavora come fotografo di moda ma è soprattutto
conosciuto per aver realizzato alcune edizioni del calendario “Dieux du Stade” e per i suoi libri
di fotografie: “Aqua”, “Bedtime Stories”, “Sunday Morning et Virility” pubblicati dall’editore
Bruno Gmünder.
In occasione di questa prima mostra personale in Italia, realizzata in esclusiva per il MEF,
verrà presentato il calendario “Dieux du Stade” 2016, edizioni Robert Laffont di Parigi e il libro
omonimo, della casa editrice Teneus.
La copertina del calendario è dedicata a Sergio Parisse, rugbista italiano di origine argentina,
capitano della Nazionale italiana.
Il progetto è realizzato nell’ambito di Torino 2015 Capitale Europea dello Sport
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The Messengers of Gravity
Opere site-specific di Luca Pozzi
a cura di Gianluigi Ricuperati
La mostra
The Messengers of Gravity (Messaggeri di gravità)
è composta da tre opere pensate
appositamente per gli spazi del MEF.
La prima,
Wilson Tour Majestic, installata sulla facciata del museo, è il frutto di una
collaborazione diretta tra l’artista e i ricercatori del CMS Experiment - CERN (The European
Organization for Nuclear Research) ed è costituita da un telo di PVC stampato a getto
d’inchiostro (6 x 27 metri) raffigurante il più grande rivelatore di particelle del Large Hadron
Collider di Ginevra, davanti al quale sono state fotomontate in post-produzione digitale delle
palline da tennis giganti volutamente distorte. La più ambiziosa macchina mai costruita
dall’uomo – destinata a sondare i misteri dell’universo facendo scontrare fasci di particelle a
energie vertiginose – diventa una sorta di ponte dimensionale tra due spazi e due discipline:
l’arte e la scienza. Volutamente installata all’ingresso del MEF quest’opera diventa una specie
di “star gate” per il visitatore.
La seconda,
Wilson Tour Loading
1956-2014-2038
, è composta da una serie di nove
fotografie ottenute lanciando e fotografando una pallina da tennis di fronte alle opere di Lucio
Fontana esposte al Museo del Novecento di Milano.
Wilson Tour Loading
1956-2014-2038 è il prodotto di una relazione estetica e filosofica tra differenti periodi storici, culture e artisti ed è
caratterizzato da una voluta ambiguità descrittiva. La problematica affrontata è quella di poter
riprodurre le opere di Lucio Fontana, coperte da copyright dal 1956, prima dello scadere dei
diritti d’autore che saranno liberi solo nel 2038. L’artista ha eluso questo ostacolo modificando
e distorcendo in post-produzione le opere di Fontana rendendole irriconoscibili e aumentando
il concetto di “attesa” fino al 2038 quando saranno nuovamente libere da diritti d’autore e
quindi fruibili e riproducibili da chiunque. L’ostacolo legale del divieto di riproduzione di queste
opere diventa stimolo per una nuova creatività che riflette sul tempo e sulla relazione fra opera
passata e opera contemporanea.
La terza,
Detector
, è costituita da diciassette
duplici elementi (trentaquattro palline da ping-
pong magnetiche e sospese nel vuoto) ancorati
a una superficie dodecagonale realizzata in
alluminio mandorlato anodizzato di 180 cm di
diametro. Il risultato è da intendersi come un
“dispositivo pittorico” pluridimensionale che
permettere la fluttuazione degli elementi al
fine di minimizzare il contatto del colore con la
superficie pittorica.
Luca Pozzi è artista cross-disciplinare e mediatore culturale, il suo interesse si focalizza sulla
creazione di ponti connettivi tra ricerca scientifica e arte contemporanea. In un periodo storico
caratterizzato da Internet e da reti complesse, il suo approccio rispecchia l’importanza di
trovare connessioni innovative.
Consapevole della centralità che l’italia ricopre a livello
internazionale in ambito scientifico e tecnologico,
Luca Pozzi si pone al servizio di una necessaria
e auspicabile espansione del pubblico dell’arte,
sensibilizzando l’opinione pubblica su temi poco
conosciuti attraverso invenzioni visive dal forte impatto
estetico. I progetti che realizza sono spesso il frutto di
un’interazione diretta con istituzioni scientifiche.
Nel caso specifico, in occasione della mostra
Personale “The Messengers of Gravity”,
Luca Pozzi presenta, sull’intera facciata del MEF
di Torino, l’installazione site specific “Wilson Tour
Majestic”, composta da una gigantografia in PVC
a scala 1:1 del rivelatore di particelle CMS con
applicate, in post produzione digitale, palline da tennis
volutamente distorte.
Il risultato nasce dalla collaborazione tra l’artista
e l’esperimento Compact Muon Solenoid (CMS)
localizzato presso l’acceleratore Large Hadron Collider
(LHC) del CERN di Ginevra,
il più potente strumento di indagine a livello
microscopico mai costruito.
In CMS gli scienziati indagano l’ignoto alla frontiera
dell’infinitamente piccolo per rispondere alle domande
fondamentali sul nostro Universo facendo scontrare
fasci di particelle ad altissime energie. Nel 2012 CMS
insieme ad ATLAS, uno degli altri quattro giganteschi
esperimenti funzionanti al LHC, hanno scoperto una
nuova particella il Bosone di Higgs responsabile del conferimento della massa delle particelle
elementari. CMS è anche una delle più grandi collaborazioni scientifiche internazionali della
storia composta da più di 3000 scienziati, ingegneri e studenti. L’Italia, attraverso l’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) insieme alle università ricopre un ruolo centrale all’interno
della collaborazione CMS ed in particolare i fisici torinesi, che costituiscono uno dei gruppi
più numerosi, hanno dato un contributo rilevante nella scoperta del Bosone di Higgs diventato
famoso con il nome di “Particella di Dio”.
Una collaborazione tra arte contemporanea e fisica sperimentale, un esempio d’integrazione
dei saperi.
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Think of me, sometimes
Performance di Ruben Montini e Alexander Pohnert
a cura di Andrea Busto
La performance prevede la presenza dei due artisti che si abbracciano.
Alexander è in piedi mentre Ruben si aggrappa stringendogli il busto con le gambe.
I due artisti si tengono uniti fino a quando uno non ce la fa più a tenere l’altro e di
conseguenza l’abbraccio, la presa, si scioglie.
Nato a Oristano nel 1986,
Ruben Montini
, vive e lavora a Berlino ed è tra i più giovani e
affermati performer italiani. Dopo gli studi al Central Saint Martin’s College of Art & Design
di Londra e, precedentemente, all’Accademia di Belle Arti di Venezia e alla Manchester
Metropolitan University, ha partecipato a diverse mostre collettive e personali in Italia e
all’estero, in istituzioni pubbliche e gallerie private. Protagonista attivo del suo lavoro, guarda
alla storia della performance con particolare attenzione per il linguaggio sviluppato da alcune
artiste femministe e si concentra sul concetto di diversità e dei diritti di genere affrontando temi
urgenti legati alla comunità queer e LGBT e argomenti fortemente incisivi della politica e della
geografia europea contemporanea. Il 31 marzo 2015 esegue la performance
Cosa resta di
noi – Requiem
nell’Oratoire du Louvre di Parigi. Nel 2013, la personale
The Crisis and a Crisis
in the Life o fan Actress
, presso la Galleria Massimodeluca di Mestre. Lo stesso anno partecipa
alla collettiva
Fuck Taboo
, a cura di Carlo Medesani (Galleria Camera16, Milano). Nel 2012 è tra
gli artisti della collettiva
Theatre of Life
, a cura di Dobrila Denegri a Torun, in Polonia (Centro per
l’Arte Contemporanea CocA). Nel 2011 è il più giovane tra gli artisti invitati a partecipare con
un progetto live a
Matter of Action
, a cura di Sara Serighelli, Samuele Menin, Giorgio Maffei (O’
Artoteca, Milano). Nel 2010, durante la sua prima mostra personale alla Galleria Placentia Arte
di Lino Baldini, Piacenza, inaugura il progetto a lungo termine
Registro Per Le Coppie Di Fatto.
Lo stesso anno la sua performance
Certosa
è censurata dal Central Saint Martin’s College of Art
& Design di Londra durante la mostra
Necessary Illusion
alla Bargehouse, ma è poi realizzata
in versione integrale al
The Islington Metal Workshop
, nella mostra
Act Art 8 Censored
a cura
di Marc Massive e Oliver Frost. In reazione all’abrogazione del disegno di legge sul reato di
omofobia e con una citazione che da
Perra
(2005) di Regina Josè Galindo porta a Valie Export,
nel 2009 realizza
Frocio
, a cura di Riccardo Caldura, in cui si tatua la parola “frocio” sulla
gamba sinistra, alla Galleria Contemporaneo di Mestre.
Alexander Pohnert
è nato a Heidelberg nel 1983. Dopo aver sperimentato con il teatro e
la fotografia, ha conseguito la laurea in
Performance and Film Studies
alla
Freie Universität
di Berlino, seguita da un Master in
Performance Studies
che ha terminato nel 2011 con una
tesi dal titolo
“Eroticism of Performance – Performance of Eroticism”
. Durante i suoi studi, ha
assistito vari artisti alla
Haus der Kulturen der Welt
, Berlino, tra cui Joan Jonas, Julie Tolentino
e il gruppo di performer The Lappetites creando il suo primo lavoro video e video-performance,
con entrambi i media, intrecciati e sfruttati come materiali per l’installazione.
Uno dei suoi interessi principali è il movimento e la sua percezione, a partire dal suo primo
video
see/walk
(2008). La genesi di immagini di sé e dell’altro (l’amato), il potenziale
fallimento di produzione dell’immagine e il suo impatto sui processi di rispecchiamento e di
modellamento dell’identità è l’obiettivo principale di opere come
help yourself
(2010), che
gioca con i sensi del tatto, dell’olfatto e del gusto, oltre a performance, video e audio usati
come dispositivi di creazione di immagini. La video installazione
habitat one
(2013), che
giustappone due video in loop, ciascuno
col proprio sonoro di 10 minuti, creato
da Philip Marshall da materiale acustico
raccolto da Pohnert, esplorava lo spazio
di oscillazione tra l’individuo esistente e
lo sperimentare se stesso come un’entità
separabile e un’indifferenziata parte,
inscindibile, di un intero.
Oltre a video e performance ha composto
della video pittura per musica come
set
ikon set remit
per Simon James Phillips
che è stato esposto al Roter Salon /
Volksbühne di Berlino; inoltre, scrive e
produce
sapone
: poesie effimere che
vengono lavate via con l’acqua e il
tatto e scompaiono mentre catturano
olfattivamente le emozioni del fruitore.
Performance realizzata in prima esclusiva,
in collaborazione con la Galleria Massimodeluca di Mestre
Performance sabato 7 novembre 2015 ore 12,30
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Ettore Fico
Paesaggi nature morte e astrazioni degli Anni Sessanta
a cura di Andrea Busto
La poetica di Ettore Fico si è espressa attraverso un vasto corpus di dipinti, tempere, acquerelli, pastelli, incisioni e disegni di un mondo intimo e privato, pochissimo popolato, abitato, più che da persone, dagli oggetti dello studio, dai fiori del suo giardino, dagli animali e da impressioni coloristiche in bilico tra realtà e irrealtà. Per questa nuova mostra al museo a lui dedicato, abbiamo voluto porre l’attenzione su un periodo particolarmente fortunato della sua produzione, quello degli anni Sessanta, in cui le spesse superfici pastose della materia pittorica si aggrappano al supporto della tavola e della tela frammiste a sabbia, terra ed elementi vetrosi che aumentano il volume della massa colorata in bassorilievi coloristici e fisicamente presenti come elementi principali delle composizioni.
Immagine: Luca Pozzi
MEF – Museo Ettore Fico
via Francesco Cigna 114, Torino
da mercoledì a venerdì ore 14-19
sabato e domenica ore 11-19
Dal 5 all’8 novembre aperture straordinarie del MEF:
giovedì 5: 11-19
venerdì 6: 11-19
sabato 7: 11-22
domenica 8: 11-19
B+ARS, caffetteria del MEF, aperto anche a cena
La biglietteria chiude un’ora prima del museo
intero € 10
ridotto € 8 over 65, insegnanti, enti convenzionati
ridotto € 5 dai 13 ai 26 anni e gruppi (minimo 6 persone)
gratuito fino ai 12 anni