Associazione Culturale Satura
Genova
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Sette mostre
dal 13/11/2015 al 24/11/2015
mar-sab 15.30-19

Segnalato da

Associazione Culturale Satura




 
calendario eventi  :: 




13/11/2015

Sette mostre

Associazione Culturale Satura, Genova

Stefano Grondona in 'I quadri hanno gli occhi e mi rodono l'anima', Jacopo Mandich in 'Ibridazioni dinamiche', Carlo Merello in 'Reliquiari d'architettura', Carola Cunzolo in 'Enduring time', Roberta Signani in 'Variazioni sul tema', la retrospettiva su Vettor Pisani e Alessandro Mattia Mazzoleni in 'Le cerniere spazio-temporali. Omaggio ai Maestri Contemporanei'.


comunicato stampa

Stefano Grondona
I quadri hanno gli occhi e mi rodono l'anima

S’inaugura sabato 14 novembre 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “I quadri hanno gli occhi e mi rodono l’anima” di Stefano Grondona a cura di Mario Napoli. La mostra resterà aperta fino al 25 novembre 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato.

Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia.
Erasmo da Rotterdam

Stefano Grondona osserva il mondo con estrema lucidità e ne rappresenta con divertito disincanto tutta la follia e le contraddizioni. Unico nel panorama italiano, realizza opere tridimensionali grazie ad un procedimento di stratificazioni di cartoncini intagliati e distanziati da un materiale semi plastico che gli permette di infondere profondità alla composizione e accentuarne l’effetto drammatico. La scelta della sequenza cromatica dei cartoncini non è prestabilita nella fase progettuale/disegnativa, ma improvvisata in fase di montaggio seguendo l’ispirazione e ricercando gli accostamenti che rendano al meglio contrasti e armonie o accentuino le volumetrie.

L’atto creativo è totalmente libero, risponde solo alle sue esigenze narrative ed espressive, ma nelle sue opere nulla è casuale: come un esperto regista Grondona immagina la trama, predispone la scena e la fotografa, incidendola nella carta – il procedimento elaborato è frutto di anni di sperimentazione in campo fotografico.
Artista visionario e geniale, è capace di tratteggiare scene di perfetta orchestrazione, stilizzando le figure e riducendo al minimo gli elementi compositivi. Interessato all’attualità, tratta solo tematiche contemporanee, illuminando come un faro la verità, ritraendo le incoerenze umane, e rendendole manifeste. Questa aspirazione realista lascia affiorare la sua personale interpretazione della società, sarcastica e spietata, da cui sembra essere esclusa ogni possibilità di sottrarsi ad un destino beffardo e crudele.
La lama che incide con chirurgica perizia i cartoncini colorati corrisponde alla lama intellettuale che disseziona la mente e l’anima senza lasciare margini di fuga a soluzioni consolatorie. Ma più il soggetto è grave, più i colori devono attrarre lo spettatore, affascinarlo in un gioco di antitesi: la gamma cromatica volutamente vivace determina un effetto di straniamento rispetto alla tematica trattata e genera un forte impatto psicologico. Le opere di Grondona si possono ricondurre a filoni tematici la cui ispirazione spazia dal campo letterario, a quello cinematografico: l’immagine sacra, la città nuda, gli strumenti musicali, i Cristi, i vizi, le scene dell’Apocalisse. Influenzato dal Surrealismo, dalla Pop Art, dall’Espressionismo e, in particolare, dall’opera di Bacon e Munch, se ne discosta attraverso l’elaborazione di un linguaggio del tutto originale che non è possibile relegare nella definizione di una sola corrente artistica.

La sua analisi della condizione umana lascia emergere la visione di uomo consapevole del dramma esistenziale, in cui gioca un ruolo fondamentale la percezione dell’identità. Grondona ha saputo rappresentare i tormenti della società contemporanea in cui verità oggettiva e capacità immaginative si mescolano in una concezione filosofica simile a quella che Herzog definiva “verità estatica”: più profonda di quella apparente, banale e superficiale, che si ottiene riproducendo i fatti reali, una verità che scuote l’anima e che si può raggiungere “solo attraverso invenzione e immaginazione e stilizzazione”. (Testo critico a cura di Flavia Motolese)

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Jacopo Mandich
Ibridazioni dinamiche

S’inaugura sabato 14 novembre 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “Ibridazioni dinamiche” di Jacopo Mandich a cura di Flavia Motolese. La mostra resterà aperta fino al 25 novembre 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato. Valore dei materiali, rapporto spazio-fisico/spazio-potenziale e pianificazione concettuale, prerogative di un artista che conosce perfettamente le qualità oggettive dell'ibridazione elementare alla Giovanni Anselmo, o quelle di una struttura meta-reale alla Mario Merz. Un artista “poverista spurio” per quel suo insistere sull'assodata funzionalità (a volte iconico-narrativa, altre volte solo narrativa) nella pertinenza materialmente disfunzionale dell'opera-oggetto (anomalia cara all'arte povera). E in fondo Jacopo Mandich sta a quella corrente come un rivoluzionario allo status quo ante. Logica funzionalità dell'opera, qui si propaga il concetto di “scultura-insidia”, quando il primo termine di questo binomio non significa più (o non unicamente) programmare un sistema plastico nello spazio. “Scultura-insidia” è ciò che puntella la capacità percettivo-soggettiva, richiamando tra gli anfratti di una rappresentazione oggettiva quanto concettuale, nella statica di un movimento imprevisto che Mandich ha trasformato in “quasi fotogramma” a tre dimensioni.

In cui ha immesso la stessa dinamica coercitiva del già citato Anselmo, la medesima agitata energia del più contemporaneo e coetaneo Alberto Tadiello, prossimo all'artista romano per istinto progettuale e cura dei potenziali processi macchinativi esistenti nell'opera. Altrettanto insistente la volontà di Mandich di tenere in pugno il valore estetico dell'insieme creativo; a volte di giocare al realismo di una realtà artificiale, ricostruita ad arte negli innesti polimaterici praticati con volontaria vicendevolezza. Legno, ferro, pietra, scarti di processi industriali, rimasugli di una vita consumata e ancora agibile; materiali privi d'interesse che riconoscono - a mezzo Mandich - il loro potenziale scultoreo-espressivo, coabitano in una sola struttura, impiantati inventano la forma vividamente serpentinata di un fascio muscolare legno-ferroso. Non c'è indicazione se questo Conflitto carnale si spingerà all'autodistruzione o alla serena accettazione. La partita resta aperta. (Testo critico a cura di Andrea Rossetti).

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Carlo Merello
Reliquiari d'architettura

S’inaugura sabato 14 novembre 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “Reliquiari d’architettura” di Carlo Merello a cura di Flavia Motolese. La mostra resterà aperta fino al 25 novembre 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato. C’è una memoria antica che attraversa l’operato di Carlo Merello e poi c’è una mente moderna e razionale.

La consapevolezza di una temporalità tutta umana contrapposta al perdurare di schemi e leggi che sovrastano la vita degli uomini e dei suoi manufatti e che in questo li accomunano. Carlo Merello, artista acuto e sperimentale, è solito affermare che i suoi lavori procedono per progetti con linguaggi espressivi e tecniche autonome con cui cerca di indagare e risolvere, attraverso soluzioni estetiche, problematiche teoriche, ma, guardando dall’esterno il suo lavoro, si può affermare che la costante delle sue opere sia rivelare una traccia dell’anima spirituale e dell’essenza materiale. L’essere architetto ha influenzato, sia nel procedimento sia nelle modalità espressive, il suo approccio con l’arte visuale in cui è sempre presente lo studio delle relazioni tra i valori estetici dell’architettura, quelli contenutistici dell’arte e le loro reciproche modalità rappresentative. L’unica strada possibile per apportare un contributo personale significativo sembra essere superare i risultati già raggiunti, realizzando una pittura “ideale”: una rappresentazione di essa attraverso la sua apparenza, utilizzandone lo stesso involucro concettuale, compositivo e mnemonico. Da questo deriva la tendenza di innestare nelle sue opere riproduzioni pittoriche da citazioni storiche che, estrapolate dal loro contesto e sospese in uno spazio di memoria, creano un effetto straniante e dissertativo sulla complessità di istanze che vertono intorno al ruolo dell’arte e dell’immagine contemporanea.

È il contenuto a dare la forma al contenitore e non viceversa, è molto importante per capire il lavoro di Merello il ruolo fondamentale che gioca la forma, intesa non come aspetto, ma come rappresentazione concettuale e simbolica. La forma è la realtà immediata con cui si può esprimere l’esperienza, l’anima, il pensiero scatenando nello spettatore processi cognitivi complessi e di interpretazione non univoca. Bene riassume la sua poetica il ciclo dei “Reliquiari d’architettura” che coniugano scultura, pittura e design: opere tridimensionali basate sulle forme primarie di rettangolo, ovale, tondo e triangolo costruite in MDF. Sulle superfici interamente giocate sul binomio nero-argento, con motivi a meandro e ad ellissi, le teche lasciano apparire su un fondo oro, riprodotti in grafite su acetato, occhi e mani tratti anche dall’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. I Reliquiari ripropongono la dialettica tra significato e significante. Il termine in sé indica i contenitori adibiti alla custodia per la conservazione e l’esposizione di resti sacri. L’attenzione dell’autore, come di consueto, si focalizza sul contenitore, trasposizione architettonica della casa anch’essa contenitore di elementi sacri come la vita. Il reliquiario diventa così elemento di un’architettura concettuale: al suo interno Merello vi custodisce, non qualcosa di materiale, bensì l’idea della pittura, rappresentata attraverso tre simboli: la luce, le mani e l’occhio. La luce è raffigurata dall’oro, la mani sono l’operosità che costruisce, crea e l’occhio è la percezione, ricorda il senso che ci permette di ammirare la pittura, di introitarla.

L’occhio riporta anche ad un senso di memoria, aggiungendo un’ulteriore suggestione emotiva a questa serie di opere e riallacciandosi alla funzione reale insita nel fenomeno della venerazione delle reliquie e cioè la credenza in una vita ulteriore e in una continuità di azione del defunto. Ritorna l’elemento della memoria, ciò che perdura di noi e si tramanda, riportandoci anche ad un'altra questione centrale nel lavoro dell’artista e cioè la riproduzione mnemonica di immagini. Così come culturalmente, le reliquie possono essere considerate il più antico oggetto di rilevanza antropologica, ancora prima dell'immagine, della parola e della scrittura, così l’opera di Merello si può considerare in sé perfetta espressione di un’arte complessa e autonoma che ridefinisce il rapporto tra l’arte e la comunicazione contemporanea, in cui il significato e la parvenza trovano un perfetto equilibrio armonico.

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Carola Cunzolo
Enduring time

S’inaugura sabato 14 novembre 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “Enduring time” di Carola Cunzolo a cura di Elena Colombo. La mostra resterà aperta fino al 25 novembre 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato. Reportage sociali prima di tutto. Testimonianze dei volti che cambiano, non in una posa statica ma nell’imprevisto del momento. Ed è soprattutto la potenza del bianco e nero a rendere possibile lo sfasamento temporale. Ciascuno spettatore ha l’impressione di essere passato per certe strade, di aver visto certe facce non perché siano veramente famigliari ma perché sono universali proprio come per gli scatti di Leonard Freed.

Inglobando una storia ne sono portatori imperfetti, cioè soggetti inconsapevoli che, per un breve lasso di tempo diventano protagonisti. Ognuno è portato a immaginare un contesto narrativo: si esamina la figura, la si analizza, si cercano i contatti con altre forme conosciute. Si ha la sensazione che si tratti sempre di persone ai margini della società e c’è un po’ della solitudine dei quadri di Hopper o lo sbando casual di “On the Road”, oppure ancora una forma cinematografica che blocca l’azione, ma non la fermano del tutto. Attraverso la rappresentazione iconica di un soggetto, si palesa il mutamento sociale nel suo insieme, esattamente come avveniva nel lavoro di Vivian Maier: ogni immagine è autoreferenziale ma contemporaneamente indica lo sviluppo di un determinato ambiente.

“Nessun uomo è un’isola” e quindi si è destinati a cercare la controparte narrativa di ogni sistema di rappresentazione, fosse anche il meno complesso. Se poi l’oggetto di riflessione è l’individuo, è impossibile non trovare concatenazioni a più livelli. È come se il passato si connettesse al presente nell’intensità dei corpi. Carola Cunzolo non cerca la perfezione, ma ciò che il fisico può raccontare, antropologicamente parlando. Per questo le inquadrature sono sempre dirette e, se non lo sono, è per la volontà di spostare il punto focale verso qualcosa di diverso, unendo magari le parole al ritratto per creare un significato più profondo a livello semiotico. Non è tanto il cambiamento a interessare la fotografa, quanto il momento reso più profondo dall’attenzione che copre l’intero arco di vita e tutte le possibili categorie.

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Roberta Signani
Variazioni sul tema

S’inaugura sabato 14 novembre 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “Variazioni sul tema” di Roberta Signani a cura di Andrea Rossetti. La mostra resterà aperta fino al 25 novembre 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato. In origine era il paesaggio. Senonché i bisogni che sottendono la ricerca di un artista possono cambiare le sue scelte, anche di molto, prestando il fianco alla delineazione di spartiacque che non prevedono ritorno. Così per Roberta Signani è arrivato il tempo di dedicarsi ad un nuovo modo d'intendere la pittura, e di trainare lo sviluppo paesaggistico verso una netta razionalizzazione di ogni tratto pittorico maturato nell'osservazione della realtà, prevedendo perciò una riduzione primaria sulla complementarietà di colori e forme.

È la libera entrata dell'artista spezzina nella cultura visiva promossa dal Movimento Arte Concreta, dove Bruno Munari fu personalità di punta attenta ad un ritorno al significato effettivo, in qualche modo “crudo”, di una pittura messa nelle condizioni di dar valore per prima cosa ai suoi componenti. Un arte che non ha bisogno della realtà (ma nemmeno di eccessivi afflati poetici) per esistere, ma anzi in cui giochi illusori e isterismi soggettivanti hanno cessato di essere necessità. Non per nulla questo attuale rapporto di coesione pittorica tra la Signani e l'artista/designer milanese (come anche con la figura “similare” dello svizzero Max Bill) nasce da un background comune, che s'identifica nella passione per la progettazione oggettuale. L'arte così congetturata diviene un vero luogo di strutturazione, la pittura passa da istintualità libera a progetto precostituito, quindi a farsi valere in quanto tecnica e controllo del proprio esercizio. È il raziocinio che porta l'azione pittorica ad essere metodo applicato, dove il colore (acrilico non a caso) steso con dovizia di precisione tuttavia è un'appendice colour field tirata a lucido, incontrando alcuni stilemi prediletti da artisti quali Noland o Stella; con la loro stessa intenzionale precisione la Signani “delega” a stretti rapporti geometrico-numerici la costruzione dell'opera, districando quindi munariamente transizioni cromatiche pseudo-motorie, teorizzate a mo' di cinetici movimenti di superficie. Geometria e colore trattati da unici elementi costituenti, e il dosaggio di un esigenza concreto-pittorica (svincolata da ogni inganno dimensionale, ma non percettivo) con quella anti-espressionista dell'astrazione post-pittorica americana, sono questi i termini con cui la pittura andrà a riformulare “signanamente” la sua universale concretezza.

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Vettor Pisan
Personale

a cura di Mario Napoli

S’inaugura sabato 14 novembre 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “Vettor Pisani”, retrospettiva a cura di Mario Napoli. La mostra resterà aperta fino al 25 novembre 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato. A quattro anni dalla scomparsa del grande artista Vettor Pisani, morto suicida a Roma nel 2011, per la prima volta SATURA art gallery ospita una mostra personale dedicata alle opere di uno dei più apprezzati maestri dell’arte contemporanea italiana. Personaggio di non semplice collocazione sui binari dell'arte contemporanea, che ha legato alla classicità del mito l'oggettivo “non sense” dei suoi lavori, producendo un'azione provocante, a volte profanatrice dell'arte contemporanea stessa. Tanto che secondo Maurizio Calvesi la sua poetica «colpisce l'arte servendosi dell'arte». Architetto, pittore e commediografo, di Vettor Pisani sfugge persino il dato biografico, ufficialmente nato nel 1934 a Bari; città che all'occorrenza diventa Napoli, città evidentemente molto più consona per presentarsi al pubblico da artista «figlio di un Ufficiale di Marina e di una ballerina di strip-tease». Se non ancora Ischia, isola d'origine della famiglia paterna, dove ipoteticamente vede i natali da «architetto e muratore, Rosacroce: diciottesimo grado dello scozzesismo», come recita un'altra presentazione dell'artista. Il 1970 è il suo anno, quando da perfetto sconosciuto espone per la prima volta a Roma con una mostra dal titolo eloquente sul suo futuro, Maschile, femminile e androgino. Incesto e cannibalismo in Marcel Duchamp, dove la citazione mitica dell'artista francese si divide tra opere del calibro di Suzanne in uno stampo di cioccolato, ovvero la testa della Venere di Milo sovrastata da un peso ginnico. Nello stesso anno la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma lo insignisce del Premio Nazionale Pino Pascali; da lì inizia la sua parabola in ascesa, invitato nel 1972 a Documenta V Kassel ed alla 37ª edizione della Biennale di Venezia (cui ne seguiranno svariate altre fino al 1995), assieme a tre edizioni della Quadriennale di Roma. Poi, negli anni Ottanta, la partecipazione a mostre-retrospettive sull'arte italiana tra New York e Londra. Condottiero fino alla morte (avvenuta per suicidio nell'agosto del 2011) di una ricerca critica sulle immagini, che lo ha portato dal classicismo di alcune fusioni in alluminio alle tecniche miste in cui denunciare la società - adoperando una goliardia sempre molto piccata - è atto dovuto, a sua volta sociale.

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Alessandro Mattia Mazzoleni
Le cerniere spazio-temporali. Omaggio ai Maestri Contemporanei

S’inaugura sabato 14 novembre 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “Le cerniere spazio-temporali, Omaggio ai Maestri Contemporanei” di Alessandro Mattia Mazzoleni a cura di Franco Maria Ilardo e Chiara Letizia Coldorfei Carraresi Tuci. La mostra resterà aperta fino all’8 dicembre 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato. Consolidato atteggiamento dell’arte del Novecento quello di riflettere sul proprio ruolo e modalità, attraverso la riproduzione di immagini note, quasi assurte a icone della cultura contemporanea, quale soggetto e punto di partenza per interventi posteriori, può essere individuato quale background costituente del lavoro di Alessandro Mattia Mazzoleni.

Egli, però, si muove entro quel terreno segnico e allusivo che non rimane ascrivibile nello sterile citazionismo, sicuramente è operazione concettuale, ma veicolare di interrogativi che con grande onestà un giovane artista dovrebbe porsi. Nell’epoca della riproducibilità, della fruizione mercificata e massiva di conoscenze e circolazione delle immagini, il rapporto con la grande Arte del passato risulta un passaggio obbligatorio per raggiungere piena consapevolezza espressiva e, nel caso di Mazzoleni, si è esternato in una produzione artistica articolata e complessa. Il dialogo con i Maestri della pittura da Modigliani a Tapies, da Pollock a Scanavino – solo per citarne alcuni - diventa substrato culturale della nostra quotidianità, perdendo ogni connotazione di alterità ed acquisendo, altresì, una funzione concreta ed arricchente. Sulla scia di questo approccio di confronto con l’altro, si colloca la collaborazione con un altro giovane artista MOMIX, proprio per creare questo passaggio di continuità tra le ricerche passate e quelle future. Riferimento-referente storico, compresenze materiche e duplicità percettivo-allegoriche convergono in una molteplicità di significati, di livelli interpretativi e di lettura che denotano la profondità della ricerca artistica di Mazzoleni. Così come le cerniere applicate come un timbro sulla superficie pittorica creano una sospensione significante sia temporale che spaziale, l’interazione dei piani consecutivi enfatizza la concatenazione delle singole esperienze artistiche.

Una quarta dimensione che unisce e separa, in eguale misura, conferendo un valore evocativo aggiunto e in parte sibillino che, coinvolgendo lo spettatore in un susseguirsi di ipotesi ed attribuzioni, rappresenta forse uno dei valori più interessanti di queste opere. Un’operazione, di per se stessa sostanzialmente basilare e giocata su pochi elementi, genera un potenziale enorme per la capacità di creare interrelazioni. Anche la scelta di dedicarsi alla cardboard art, utilizzando un materiale povero, si è rivelata decisiva nel veicolare la prossimità dell’arte nel quotidiano, non ambito elitario, ma parte integrante e indispensabile del reale. La preziosità dell’arte e, di contro, la sua accessibilità universale, sembrano essere il significato della serie degli Ori, allegoria del concetto di pittura. L’oro concreta il pensiero, quella luce interiore e mentale che attraversa, in maniera impermanente, ogni tipo di prodotto umano, anche l’arte, valicando ogni barriera fisica e temporale. (Testo critico a cura di Flavia Motolese).

Inaugurazione 14 novembre ore 17

Associazione Culturale Satura
piazza Stella, 5/1 Genova
da martedì a sabato ore 15.30-19.00
ingresso libero

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