Nato nel 1961 a Pola (Croazia) vive e lavora a Novigrad. Ha allestito, a partire dal 1984, una sessantina di mostre personali in vari Pesi d’Europa, principalmente Croazia, Slovenia, Italia e Germania. Ha partecipato a circa 200 collettive internazionali in diversi Paesi del mondo. La sua attività maggiore è però stata dedicata alle installazioni ed alle ambientazioni realizzate in diverse località in corrispondenza di grandi eventi internazionali.
Nato nel 1961 a Pola (Croazia) vive e lavora a Novigrad.
Si è diplomato in Arti Figurative nel 1986 alla Facoltà di Pedagogia di Fiume.
Dal 1987 è membro dell’Associazione degli Artisti croati.
Ha allestito, a partire dal 1984, una sessantina di mostre personali in vari Pesi d’Europa, principalmente Croazia, Slovenia, Italia e Germania.
Ha partecipato a circa 200 collettive internazionali in diversi Paesi del mondo.
La sua attività maggiore è però stata dedicata alle installazioni ed alle ambientazioni realizzate in diverse località in corrispondenza di grandi eventi internazionali.
La consuetudine di ripartire il tempo in periodi più o meno lunghi (epoche, secoli, decenni ecc.) ha sostanzialmente valore strumentale alla conoscenza, è quasi sempre innaturale ed artificiosa, non può effettivamente incidere sulle cose o sugli uomini.
Ma non v’è dubbio che le scadenze periodiche finiscono per aver peso in molti casi su aspettative, scelte e comportamenti: sicché, una qualche forma di condizionamento del momento storico è percepibile nella personalità di chi, per esempio, ha vissuto - per usare un’espressione trita - a cavallo di due secoli.
Ancora più riconoscibili sono i caratteri che connotano epoche di transizione da una fase all’altra della storia, generale o locale; l’annotazione che accompagna alcuni eventi, di collocarsi "prima" o "dopo" rispetto alla nascita di uno Stato, ad una guerra o ad una grande trasformazione sociale ha sicuramente un valore non più artificioso ma anzi in qualche caso determinante.
Gli anni che stiamo vivendo si svolgono all’insegna di una grande transizione, non solo per la convenzione discussa del passaggio di millennio - che pure è stato fonte di grandi suggestioni - ma anche e soprattutto per la serie infinita di eventi straordinari e di trasformazioni profonde che il mondo ha subito in ogni settore della vita.
La "classificazione" degli uomini di questa generazione non potrà , quindi, prescindere dai dati biografici dal momento che ciascuno di noi è stato, coscientemente o inconsciamente, testimone di questi grandi processi di modificazione, le cui tracce resteranno inevitabilmente presenti non solo nella vita ma anche e soprattutto nei caratteri dell’individuo e della sua opera.
Nel caso specifico di Ãanino Bozic, il primo dato significativo è il radicamento in Istria, vale a dire in una regione che il carattere transnazionale deve in primo luogo alla collocazione geografica di confine immediato tra civiltà diverse; inoltre, alla serie innumerevole di invasioni e conseguenti stratificazioni sociali e culturali subite; infine, alla storia recente che ne ha fatto una sorta di avamposto.
Nasce probabilmente da questa condizione inalienabile la curiosità culturale perennemente insoddisfatta che lo spinge a guardare con acuto interesse alle civiltà , tanto a quelle che ancora conservano caratteri primigeni quanto a quelle che ostentano gli assunti finanche esasperati della tecnologia più avanzata.
L’arco di tempo vissuto, inoltre, lo ha portato a sperimentare il socialismo della ex Jugoslavia, la caduta del muro di Berlino con le conseguenti modificazioni, la nascita della Repubblica di Croazia e la sua travagliata evoluzione - compresa la guerra con la Serbia - fino alle attuali prospettive di nuova Europa.
Anche a voler ipotizzare la più assoluta indifferenza a questi eventi epocali, non v’è dubbio che la sua formazione umana ha subito le conseguenze di un processo così rapido e radicale.
Ma anche la sua personalità culturale - e, conseguentemente, la grafia artistica - ha registrato, inevitabilmente, gli stessi spostamenti, determinando svolte e divagazioni spesso fondamentali, a cui ha anche contribuito il fatto che in un’età convulsa come quella che si sta vivendo la cifra più immediata della cultura è l’assoluta indifferenza delle proposte e la più totale anarchia delle linee di ricerca.
Ne risulta la convivenza quasi naturale ed armonica, nel lavoro di Bozic, di elementi eterogenei e spesso antitetici, dal rigore freddo delle geometrie al calore estroverso del colore nelle sue qualità più accese, dall’uso degli acciai satinati al recupero dei materiali più diversi, dalle installazioni alle performances ogni volta lasciando libero l’estro di adeguarsi allo spazio e di inventare straniamenti suggestivi e coinvolgenti.
L’allestimento realizzato per la mostra di Rovigno può ben a ragione intendersi come una sorta di summa di questa condizione generale dello spirito: peraltro, essa conclude in qualche modo un lungo ciclo di riflessione e di sperimentazione che comprende, su un versante, contatti molteplici con le espressioni più attualizzate della ricerca sulla forma per sé, essenziale e rigorosa; contemporaneamente, segue immediatamente esperienze di incontri non effimeri con civiltà agli antipodi, dall’Indonesia agli Stati Uniti; e, soprattutto, si colloca sulla linea di una puntigliosa serie di esperienze per straniare la realtà e confondere i linguaggi e la storia, le convinzioni e gli assiomi.
L’utilizzo delle opere monocrome per creare effetti di ambiente, piuttosto che allestire una canonica esposizione, propone il senso generale della cultura visiva nel secolo XX che si è svolto sostanzialmente all’insegna dell’estetico nel sociale, per cui l’opera non è solo l’oggetto immobile da fruire per sé stesso, restandone staccati, ma diventa l’ambiente in cui lo spettatore si muove, fino a creare una sorta di simbiosi tra il visitatore e l’opera che vive, si anima, si agita e si modifica in relazione alla percezione visiva del fruitore.
Storicamente, sarebbe facile il richiamo alla motivazione di fondo del concettualismo, vale a dire l’intento, per l’artista, di offrire ipotesi di interpretazione invece che opere finite.
Ma la mobilità imprevedibile del lavoro di Bozic si fonda soprattutto sulla trasgressione; e, nel momento stesso che si tenta un "incasellamento", saltano fuori da ogni parte elementi dissonanti che frustrano qualsiasi tentativo di sistematica definizione.
Esaminando nella loro specificità i singoli lavori, il nuovo tentativo di catalogazione porterebbe verso il senso della nuova pittura, dal momento che, nell’organizzazione dello spazio, sono utilizzate superfici dipinte con caratteri quasi canonici, come per sperimentare ogni possibilità di elaborazione della materia pittorica per raggiungere effetti di matericità monocromatica, articolazione e movimento della luce, improbabili profondità spaziali.
Il gusto sensuale della manipolazione del colore lo spinge fino a toccare il gusto del cromatismo per sé proprio di un certo astrattismo lirico da cui riprende il piacere delle grandi campiture e delle stesure più o meno ordinate, più o meno casuali della materia.
Ma, su un altro livello, si affaccia il senso rigoroso e razionale dell’arte programmatica, specialmente nella preferenza accordata alle forme pure ed alla loro disposizione nello spazio.
Ma anche questa verità appare parziale e non soddisfacente di tutte le pulsioni che danno vita all’allestimento.
L’ammirazione quasi sensuale per la natura e la sua capacità di modellare le cose e gli uomini sembra talora essere la cifra dominante della scelta dei materiali che non rappresentano, nel lavoro di Bozic, un elemento né marginale né casuale ma partecipano di una più convinta intenzione anarchica di muoversi liberamente tra i generi; il punto estremo, già toccato, può considerarsi quello dei capelli veri usati per marcare linee, piani e masse; ma anche in questa esperienza Bozic si muove senz’altro ai margini dell’arte povera nella preparazione dei supporti di dipinti, realizzati con materiali del quotidiano opportunamente adattati o piegati all’uso.
In definitiva, la trasgressione e la sistematica deviazione dagli assunti sembrano rappresentare una sorta di credo in cui convergono tutte le pulsioni più interessanti senza concedersi a nulla e, con questo intervento, Bozic si propone come uomo del suo tempo, figlio di esperienze variegate e spesso diametralmente opposte, con le quali ha sempre un approccio libero e anarcoide ma che sempre riesce ad interpretare con rigore e chiarezza di elaborazione per darne una versione personale ed intrigante.
Enzo di Grazia
Inaugurazione sabato 7 ottobre ore 18
In quella occasione sarà presentato il pannello realizzato per il 2000 - 2001
CATALOGO IN MOSTRA INVITO
Orario di apertura: dal martedì al sabato h 16-19.30
Ass. Cult. La Roggia - v.le Trieste, 19 P.B. 167 - 33170 Pordenone tel. e fax 0434 552174