Si inaugura la mostra personale di Marco Filippetti presso la Galleria Joansen, uno spazio espositivo che promuove la sperimentazione tra arte e design. Affrontando il problema della riproducibilità industriale, l'arte trova un nuovo canale di comunicazione, la serialità , tema che sicuramente costituisce il nucleo centrale ed originale della pittura di Filippetti.
Si inaugura la mostra personale di Marco Filippetti presso la Galleria Joansen, uno spazio espositivo che promuove la sperimentazione tra arte e design.
Affrontando il problema della riproducibilità industriale, l'arte trova un nuovo canale di comunicazione, la serialità , tema che sicuramente costituisce il nucleo centrale ed originale della pittura di Filippetti. Giovane pittore, noto anche come grafico e già apprezzato da un gruppo di collezionisti sia italiani che esteri, la cui pittura è costituita da serie di quadri riferiti ad uno stesso tema, affrontato da angolazioni differenti, che alla fine della serie realizzano una ricerca unica e mai definitiva.
Con questa mostra Filippetti giunge alla sua quinta esposizione e, per la prima volta, usa pigmenti organici, quali il bitume ed il catrame su supporto ligneo. Il colore dominante, il nero, ricorda la sua prima esposizione, dal titolo Epifania, anch'essa costituita da una serie di quadri neri. C'è dunque un chiaro richiamo tra questa mostra, dal titolo Facies e la sua prima esposizione. Al buio, Filippetti, non vede le forme, ma ne percepisce la consistenza, la materia, come nella fase alchemica della nigredo, la prima delle quattro trasformazioni fondamentali che la materia deve subire per diventare pietra filosofale. Una trasformazione che attraversa i quattro segni della natura, terra, acqua, aria e fuoco, per poi tornare terra. La serialità , per Filippetti, è una necessità che, passando da una serie ad un'altra e da un'opera all'altra, lascia aperta la possibilità di una continuità espressiva che non si esaurisce. La sua è una pittura figurativa, tutta incentrata sulla presenza umana svelata in una dimensione pittorica in cui, essa, rivela la propria assenza. Figure e volti si dissolvono sotto i colpi pesanti del pennello che senza pietà sgretolano l'identità della natura umana, a richiamare alla mente André Masson (per la libertà espressiva con cui rimescola apparenza e sostanza) e Francis Bacon (per la naturalezza con cui mostra l'anima nascosta e demoniaca dell'umanità ). L'immagine nasce come per sorpresa da un atto creativo che è sempre tensione, dal momento che la tensione genera emozione. Ma è anche una pittura di contrasto che però non fa polemica, limitandosi a mostrare ed accostare i contrari. Una superficie liscia, la masonite, sulla quale nulla attecchisce, lavorata con l'aglio fino ad ottenere una superficie porosa, su cui stratificare il gesso. Su questa nuova superficie Filippetti traccia dei segni graffianti e dipinge usando colori forti e metallici, per sottrarre presenza fisica ai volumi umani. Le figure, sempre riconoscibili per la loro ovvia apparenza, sono ridotte a porzioni d'identità , che si ricompongono in unità soltanto alla fine della serie. Con questa esposizione, Facies, Filippetti dà un volto nuovo alla sua pittura che, tornando su se stessa, apre un'ulteriore ipotesi di ricerca. Se, infatti, la serialità è regolata dalla ripetizione, la regola ad essa sottesa è la differenza.
Inaugurazione 18 Ottobre 2000 ore 19:00
GALLERIA JOANSEN Via della Pelliccia, 44a/b - Roma
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