Perugi artecontemporanea
Padova
via Giordano Bruno, 24/B
049 8809507 FAX 049 8809507
WEB
Ciao! Manhattan
dal 17/12/2004 al 28/2/2005
049 8809507 FAX 049 8809507

Segnalato da

Perugi artecontemporanea




 
calendario eventi  :: 




17/12/2004

Ciao! Manhattan

Perugi artecontemporanea, Padova

Recent Painting from New York. Il 2004 volge al termine e molti pittori newyorkesi continuano a cimentarsi con i risultati degli imponenti esperimenti forgiati dal progetto Modernista; molti di loro attraverso la lente della Pop Art, una delle ultime accezioni moderniste, o primo movimento post-modernista, a seconda dei punti di vista. Opere di Ann Craven, Marc Handelman, Enoc Perez, Helen Sadler, Pieter Schoolwerth, Ryan Steadman. A cura di Joseph R. Wolin


comunicato stampa

----english below

Recent Painting from New York

a group show with

Ann Craven, Marc Handelman, Enoc Perez, Helen Sadler, Pieter Schoolwerth, Ryan Steadman

a cura di Joseph R. Wolin

Ancora oggi, mezza decade dopo l’inizio di un nuovo millennio, sarebbe difficile sopravvalutare l’eredità del Modernismo. La tradizione occidentale della pittura, per fare un esempio pertinente, una tradizione molto più antica, fu irrevocabilmente cambiata dalle idee e dalle pratiche del movimento che definì il ventesimo secolo. Il 2004 volge al termine e la maggior parte dei pittori di New York continuano a cimentarsi con i risultati degli imponenti esperimenti forgiati dal progetto Modernista; molti di loro attraverso la lente della Pop Art, una delle ultime accezioni moderniste, o il primo movimento post-modernista dell’arte, a seconda dei punti di vista. Un umore di sapore Warholiano sembra infatti essersi impossessato del mondo dell’arte newyokese e Andy sembra esservi inevitabilmente presente. Potremmo anche considerare che, considerata la natura implacabile degli eventi recenti, un distacco (d)Andy potrebbe essere un istinto di conservazione, se non una delle poche prese di posizione possibili.

Enoc Perez e Ann Craven prendono a cuore l’affermazione di Warhol: “Io sono una macchina”. Il primo approssima la propria tecnica pittorica ai processi meccanici di riproduzione; la seconda replica a mano le immagini, in maniera seriale. Perez dipinge immagini fotografiche che hanno un significato personale e culturalmente specifico; la sua recente serie di hotel rappresenta edifici della metà del secolo di Puerto Rico in cui è nato, mentre le nature morte provengono da pubblicità di rum con frutta e cocktail caraibici. Queste immagini puntano il dito ad una storia condivisa d’ottimismo progressista e colonialismo turistico. Perez crea i suoi quadri come dei disegni elaborati, applicando pastelli ad olio come fossero una serie di decalcomanie, un colore alla volta. Questo metodo di pittura sui generis, analogo ad un processo di stampa quadricromatico, conferisce ai sui dipinti un aspetto ruvido, abraso, come una fotografia o cartolina invecchiata, enfatizzando il senso di passato e nostalgia già intrinseche alla fotografia da cui parte. Perez osserva con uno sguardo spassionato l’eredità spuria del modernismo con i suoi soggetti: il suo cancellare la mano dell’artista dalle sue superfici – che sembrano più essersi “sviluppate” a formare una fotografia piuttosto che essere state applicate dirette da consapevolezza – è come uno sconfessare il culto del se della pittura modernista.
Ann Craven, d’altro canto, dipinge con abilità virtuosistica, come un maestro del Moderno, ripetendo un piccolo numero d’immagini più e più volte. Craven dipinge uccelli, uccelli tropicali, animali domestici raccolti qua e là tra le pagine di libri sugli animali domestici e sulla natura, mescolandoli a sfondi presi da altri libri o dai suoi studi della natura. Dipinge gli sfondi minutamente, pennellandoli per far sembrare le piante ed i fiori dipinti fuori fuoco, sfocati. Gli uccelli siedono su questi terreni, il loro piumaggio e’ dipinto con pennellate lunghe, cariche e sicure, che creano una texture nel rappresentare se stesse, sgli sfondi, ma non parte di essi. La disparità nell’esecuzione è analizzabile come differenza di distanza focale, facendo riferimento all’origine fotografica dei dipinti, nell’iterazione della loro natura composita. Il forte sentore modernista del lavoro di Craven – le immagini singolari ed audaci, dipinte con segno personale e riconoscibile– è negato dalla dolcezza kitsch dei suoi soggetti e dalla loro ripetizione, duplicata da quella stessa mano in vari formati, colori, e configurazioni.

Anche Helen Sadler dipinge partendo da fotografie, nel suo caso fermi immagine di ragazzine adolescenti che urlano in video di concerti rock. Giovani donne rapite, in atteggiamenti d’estasi o agonia, sopraffatte dalle emozioni, o paralizzate dall’adorazione, un intero spettro di atteggiamenti di fan degli ultimi quattro decenni appare nei dipinti di Sadler: dai Beatles a Britney Spears. Sadler fotografa lo schermo del suo televisore mentre trasmette video di concerti, e poi dipinge le immagini con tempera all’uovo su piccoli pannelli di circa la stesa misura degli scatti da cui traggono origine. Come i pannelli dipinti con la tempera ad uovo del trecento, i suoi dipinti rappresentano santi martiri, aggiornati per l’epoca moderna, figure completamente incantate dagli oggetti della loro adorazione, che non si vedono. Usando una forma espressiva degli albori della pittura, il primo rinascimento, crea degli altari secolari per il culto della cinematografia e dell’estetica delle istantanee, due dei più distintivi tropi del secolo modernista.

Anche Pieter Schoolwerth si rivolge ai grandi maestri del passato, ma come loro dipinge tanto dal vivo quanto da fotografie, mettendo in posa la propria famiglia, gli amici, e conoscenti in atteggiamenti e ambientazioni più o meno naturali. Dipinge scene da pittura di genere, immagini di vita americana contemporanea, ma le sue immagini strizzano l’occhio all’allegoria, una modalità decisamente non modernista, e utilizza le vorticose strategie compositive del Barocco: ampi vortici di figure ed azioni che conducono l’occhio nella profondità dello spazio, rivoltandolo e riportandolo alla superficie del dipinto. Schoolwerth usa anche la tecnia della narrazione continua, dipingendo le figure in momenti temporali diversi all’interno della stessa ambientazione, un approccio pittorico popolare nel rinascimento ma che anche richiama gli studi sul movimento di Muybridge o le rappresentazioni temporali del futurismo. In una serie recente, l’artista complica ulteriormente queste tattiche, raddoppiando le figure nei dipinti e rendendone una con pennellate fluide e uniformi che denotano una sorta di naturalismo trasparente, l’altra con un impasto discontinuo che potrebbe connotare espressività. Sembrano parabole di bellezza, ma non hanno un testo esplicito che vi dia senso. I soggetti manifesti di Schoolwerth suggeriscono una visione realista, mentre la stilizzazione delle figure, al limite della caricatura o del fumetto, e la loro subordinazione alle necessità della linea compositiva lo allineano alla American Scene Painting o alle grandes machines dei salon. Nonostante il suo apparente rifiuto delle regole del modernismo, potremmo dire che quella di Schoolwerth è una sensibilità Pop che abita il corpo di un discepolo del Tiepolo o , forse, il contrario.
Come fece Warhol nei suoi Disasters, Marc Handelman sfrutta il glamour della catastrofe. Attingendo le sue immagini da fonti tanto disparate quanto i paesaggi romantici della American Hudson River School del diciannovesimo secolo, le fotografie di manovre militari ed esplosioni dall’Iraq, le scene Kitsch di Thomas Kinkade, che si autoproclama il pittore più popolare degli Stati Uniti, vendendo in “gallerie” nei centri commerciali di tutto il paese, Handeman dipinge immagini di deflagrazioni apocalittiche, strutture non plausibili, e paesaggi sconcertanti.

Spesso immagina tali scene dal di sotto, dando il punto di vista di un cadavere alle rappresentazioni di edifici che cadono o crateri che si formano nella terra a causa delle detonazioni.
La luce gioca un ruolo chiave in questi dipinti, vaporizzando viste e strutture di un bianco accecante o polverizzando la terra ed il paesaggio di giallo infuocato o viola incandescente. Fasci di luce e proiettili traccianti illuminano un cielo blu notte. L’interesse di Handeman risiede nella retorica visiva del potere, dall’alta posizione di vantaggio del conquistatore, o dal punto di vista sotterraneo dello sconfitto. Le sue immagini, pur affondando le radici nella storia dell’arte, nella fotografia e nella cultura pop, sono anche profondamente indebitate agli ideali Modernisti dell’Espressionismo Astratto, e molte delle sue tele sembrano quasi completamente astratte. Tuttavia prevale un curioso distacco; sia le sue esplosioni annientanti che i suoi panorami distopici rimangono stranamente privi di sangue.

Ryan Steadman cita il Modernismo nella maniera più diretta possibile, dipingendo strutture piatte, astratte, di componenti geometriche seriali, talvolta a colori, talvolta in grisaille. Diagonali bianche, nere e grigie formano la strada di una città, bande orizzontali verdi ed arancione indicano un campo da gioco, rettangoli impilati di molti colori formano un muro di mattoni. Figure dipinte con pennellate ampie, abbozzate approssimativamente in un impasto spesso, abitano queste pianure, cadendo per strada, giocando nel campo, arrampicandosi sul muro. Le costruzioni pop moderniste- come vignette di lavori di Judd, Andrei o Noland- delineano e fanno lo sgambetto a esseri umani espressionisti e gestuali in un qualche tipo di metaforica farsa grossolana.
La pittura incisiva di Steadman deride i rigori modernisti e minimalisti ma indica al contempo la loro posizione fondamentale nella strutturazione del mondo. Le figure stanno in apparente opposizione al loro mondo, ma la loro interazione con esso crea una poetica comica ma melanconica.
Joseph R. Wolin

Nell'immagine un lavoro di Enoc Perez

opening Sabato 18 dicembre 2004 dalle 18.30

Orari: dal lunedì al sabato dalle 14.30 alle 20.30
Mattina e festivi su appuntamento

Perugi artecontemporanea
Padova – 35124 Via Giordano Bruno 24 b

----english

Ciao ! Manhattan
Recent Painting from New York

a group show with

Ann Craven, Marc Handelman, Enoc Perez, Helen Sadler, Pieter Schoolwerth, Ryan Steadman
curated by Joseph R. Wolin

Even now, half a decade into the new millennium, we would be hard pressed to overestimate the legacy of Modernism. The Western art of painting, to take a pertinent example, a much older tradition, was irrevocably altered by the ideas and practices of the twentieth century’s defining movement. At the end of 2004, most painters in New York continue to grapple with the results of the grand experiments wrought by the Modernist project, and many do so using the lens of Pop Art, which was either one of Modernism’s last gasps or the first post-Modern movement in art, depending on how one looks at it. A Warholian mood, in fact, seems to have gripped the New York art world and Andy’s presence feels inevitable. And we might even consider that in the implacable face of current events, for an American artist a (d)Andified detachment might be an act of self-preservation, if not one of the few stances possible.

Enoc Perez and Ann Craven take Warhol’s dictum, “I am a machine,” to heart. The former approximates his painting technique to mechanical processes of reproduction; the latter replicates images serially by hand. Perez paints photographic images that bear personally and culturally specific significance; his recent series of hotels picture mid-century buildings in his native Puerto Rico, while still lifes derived from rum advertisements feature Caribbean cocktails and fruit. These images point to a shared history of progressive optimism and touristic colonialism. Perez creates his pictures as elaborate drawings, applying oil pastel as a series of transfer rubbings, one color at a time. This sui generis painting method, analogous to a four-color printing process, gives his paintings a rough, abraded appearance like a distressed snapshot or postcard, emphasizing the sense of “pastness” and nostalgia already inherent in the source photograph. Perez casts a dispassionate eye on the mixed inheritance of Modernism with his subjects; his erasure of the artist’s hand in his surfaces—surfaces that appear more to have “developed” like a photograph than to have been applied by a directing consciousness—reads like a disavowal of Modernist painting’s cult of the self.

Ann Craven, on the other hand, paints with bravura facility like a Modern master, repeating a small number of images over and over again. Craven paints birds, tropical birds, house pets, gleaned from the pages of pet guides and nature books, mixing and matching them with backgrounds taken from other books or from her own studies of nature. She paints the backgrounds thinly, brushing them out so that the plants and flowers depicted are blurred, out of focus. The birds themselves sit on top of these grounds, rendered with a loaded brush, feathers depicted with long, sure strokes that embody texture as they denote themselves, in the backgrounds, but not of them. The disparity in facture parses as difference in focal range, referencing the images’ origins in photographs as it iterates their composite character. The high Modernist overtones of Craven’s work—bold arresting images painted with an identifiable and self-evident hand—is negated by the kitsch sweetness of her subjects and by their repetition, duplicated in that same hand in various sizes, colors, and configurations.

Helen Sadler, too, paints from photographs, in her case stills of screaming teenage girls from movies of rock concerts. Rapt young women, in attitudes of ecstasy or agony, overcome with emotion or paralyzed by adoration—an entire spectrum of fandom of the last four decades appears in Sadler’s paintings, from the Beatles to Britney Spears. Sadler photographs her television screen while playing concert films, then paints the images in egg tempera on small panels about the size of the snapshots that are their source. Like the egg-tempera painted panels of the trecento, her paintings depict martyr saints, updated for the modern age as figures completely enthralled by the unseen objects of their worship. Using the medium of painting’s birth, the early Renaissance, she fashions secular altarpieces for the cults of the cinematic and the snapshot aesthetic, two of the Modernist century’s most distinctive tropes.

Pieter Schoolwerth also looks to the Old Masters, but like them paints from life as much as from photographs, posing his family, friends, and acquaintances in more or less natural attitudes and settings. He paints genre scenes, images of contemporary American life, but his pictures flirt with the brink of allegory, a decidedly non-Modernist modality, and he employs the swirling compositional strategies of the Baroque: sweeping loops of figures and actions that lead the eye deeply into space, twisting it around and bringing it back out to the picture plane. He also uses the technique of continuous narrative, depicting figures at different moments in time within the same setting, a pictorial approach popular in the Renaissance but also recalling Muybridge’s motion studies or the temporal representations of Futurism. In a recent series, the artist complicates these tactics further by doubling figures in the paintings and rendering one with the smooth, fluid brushwork that denotes a kind of transparent naturalism, the other with a choppy impasto that might connote expressiveness. They seem like parables of beauty yet lack an explicit text to give them meaning. Schoolwerth’s ostensible subjects suggest a realist vision, while the stylization of his figures, one verging on caricature or cartoon, and their subordination to the demands of the compositional line align him with American Scene Painting or the grandes machines of the salon. Despite his apparent rejection of Modernist dictates, Schoolwerth’s is a Pop sensibility, we might say, residing in the body of a follower of Tiepolo, or, perhaps, vice-versa.

As did Warhol in his Disasters, Marc Handelman mines the glamour of catastrophe. Deriving his images from sources as disparate as the romantic landscapes of the American Hudson River School of the nineteenth century, photographs of military maneuvers and explosions coming from Iraq, and the kitsch scenes of Thomas Kinkade, who bills himself as the most popular painter in the United States, selling at “galleries” in shopping malls across the country, Handelman paints apocalyptic images of blasts, implausible structures, and unsettling landscapes. He often imagines his scenes from below, giving a corpse-eye view to depictions of edifices falling down or craters being formed in the earth by detonation. Light plays a key role in these paintings, whether vaporizing vistas and structures with blinding white or pulverizing land and landscape with fiery yellow and searing violet. Searchlights and tracer bullets illuminate a midnight blue heaven. Handleman’s concerns lie with a visual rhetorics of might, from the high vantage of the conqeror or the subterranean viewpoint of the vanquished. His images, while rooted in art history, photography, and pop culture, also owe a huge debt to the high Modernist ideals of Abstract Expressionism, and many of his canvases seem almost entirely abstract. Yet a curious detachment prevails; both his annihilating bursts and his dystopian panoramas remain strangely bloodless.

Ryan Steadman references Modernism in the most direct way, painting flat, abstract structures of serial geometric components, sometimes in color, sometimes in grisaille. Diagonals in white, black and gray form a city street; horizontal bands of green and orange designate a playing field; stacked rectangles of many colors make a brick wall. Figures painted in broad strokes, loosely sketched in thick impasto, inhabit these flatlands, falling on the street, playing in the field, climbing over the wall. The Pop Modernist constructions—like cartoon Judds, Andres or Nolands—delimit and trip up expressionist, gestural humans in some sort of metaphoric slapstick. Steadman’s hard edge painting mocks Modernist and Minimalist rigors, but at the same time points to their fundamental position in structuring the world. The figures stand in apparent opposition to their world, but their interaction with it creates a comic yet wistful poetry.
Joseph R. Wolin

Image: a work by Enoc Perez

opening Saturday 18th December 2004
From 6,30 pm onwards (until 28st February 2005)
Monday - Saturday 2.30-8.30 pm - Mornings and holidays by appointment

Perugi artecontemporanea - via Giordano Bruno 24 b - Padova - ITALY

IN ARCHIVIO [44]
Amateurs
dal 17/3/2011 al 17/4/2011

Attiva la tua LINEA DIRETTA con questa sede