Una mostra dedicata al tema del gioco come fonte di ispirazione ma anzitutto come sedimento della memoria ludica dentro cui recuperare piccoli rituali irrinunciabili. In mostra, il treno, l'aereo, la conta per stare sotto a tana e il gioco dell'oca, evocano percorsi ciclici da ripetere piu' e piu' volte.
Corrado Sassi, Sandro Mele, Marco Bernardi, Claudio Martinez
Una mostra dedicata al tema del gioco come fonte di ispirazione ma
anzitutto come sedimento della memoria ludica dentro cui recuperare
piccoli rituali irrinunciabili, regole mai scalfite dal tempo, sensazioni
intatte come la meraviglia e l'imprevisto. In mostra il treno, l'aereo, la
conta per stare sotto a tana e il gioco dell'oca, evocano percorsi ciclici
da ripetere più e più volte, come ogni gioco antico che si rispetti.
Tutto ciò che resta tra i sensi più puri dell'infanzia riaccende la sfida
a recuperare i tabù della sconfitta contro l'avversario, della scoperta di
un nascondiglio, del possesso e della perdita immediata. Qualsiasi gioco
serio di per sè, ma solo nel momento in cui si capisce che è un gioco ci
si riappropria dell'idea salvifica che tutto quello che ci accade è
soltanto una commedia e va presa come tale.
La mostra collettiva è un site-specific work pensato per lo spazio
temporaneo AKA e gli artisti selezionati hanno interpretato liberamente
gli aspetti simbolici del tema prescelto.
Nella prima installazione di Sandro Mele il percorso immaginario compiuto
dal modellino aereo sospeso è anzitutto un processo di evoluzione mentale.
Due opere ai lati destro e sinistro raffigurano la prima un bambino di 6
mesi rapito dal semplice movimento, e un secondo bambino di 6 anni che
invece desidera l'oggetto per se'. Entrambi guardano al centro della
stanza, dove nel frattempo l'aereo continua a ruotare, mantenendo l'idea
di movimento in loop nello spazio per contrastare la fissità dello stupore
nel quadro. La traccia musicale del gruppo Minimono è parte integrante del
lavoro.
La condizione del gioco diviene pensosa nel secondo lavoro di Mele
collocato dietro la parete, dove un bambino tiene tra le mani un
aeroplanino di carta come se volesse proteggerlo da tutto e da tutti. Il
percorso circolare del volo sospeso è come una linea immaginaria di fuga
che esorcizza il presente e restituisce la riflessione sul passato, lo
cristallizza, e ci riconsegna il senso primigenio dell'incanto di fronte a
una cosa mai vista prima.
Caratterizzate da una chiara tensione verso l'interlocutore le opere di
Sandro Mele dialogano con lo spettatore e fissano scenari pubblicamente
intimi. L'ossimoro contenuto in un simile intento manifesta un'aura di
riservatezza propria dei gesti che appartengono alle persone ignare di
venir osservate nel quotidiano.
Il lavoro di Mele si sviluppa sul territorio, rubando espressioni private
e, sempre senza stabilire relazioni con il soggetto, ne coglie aspetti
inconsci di estrema naturalezza formale.
Le opere nascono dal primitivo supporto fotografico, che viene poi limato
e trasformato in tecnica mista su tavola con un approccio quasi vandalico
sull'opera, sfregiando la foto come se fosse un graffito per poi
riportarlo alla forma pittorica atttraverso un'amplificazione dei piani di
lettura, doppie esposizioni e inserimenti di altra materia anch'essa
destinata a fondersi con il lavoro fotografico sopra un piano unico e
levigato ma denso di livelli.
Dietro la bellezza del quadro ottocentesco dedicato al Gioco dell'Oca, il
lavoro di Corrado Sassi sembra proporre un intervento digitale in forma
manuale. Coniuga gli opposti, apre nuove prospettive e invita a una doppia
analisi da lontano e da vicino mentre l'opera offre due impatti
differenti, laddove la gamma dei colori e il rigore dei tondi di lana
cuciti sulla tela raffigurante il gioco rurale dell'andirivieni, si
fondono con una vista del totale che pare trattato in photoshop.
L'intervento di lana sull'arazzo è giocoso quanto il senso dell'opera, ma
l'ordine cromatico e grafico è studiato per armonizzarsi con l'aspetto
contadino del quadro che a sua volta rimanda al passatempo rassicurante di
un percorso a dadi.
Dopo la discesa nel basement, entriamo in una projectroom, destinata a
ospitare rotaie, vagoni e una motrice. Sul trenino generazionale di
Marco Bernardi è in gioco il rigore esecutivo-formale di una locomotiva
che traina un carico di umanità appartenente ad ogni età , laddove
leggerenza e consistenza, sogno e incubo si fondono in un medley di resina
guidata dall'occhio vigile dell'unico essere che potrebbe avere la
possibilità di guidare o guidarci. L'opera consiste di otto
parallelepipedi e vagoni su ruote. All'interno delle carrozze è racchiusa la
testa di uomini che rappresentano le generazioni che si susseguono. In
locomotiva è montata la faccia di un vecchio sulla cui cima termina
un'antenna con un occhio inscritto nel triangolo. Via via l'età diminuisce
fino a terminare con due neonati gemelli. L'intero treno si muove su un
binario circolare compiendo sempre lo stesso percorso. Contro la
possibilità che un bambino non riesca mai a uscire dal gioco, la
simulazione del gioco qui è seria: essere testimoni del reale vuol dire
essere giocati dal gioco. Smontare le regole e supporre nuove regole
sarebbe l'obiettivo di tutta l'umanità . Se non si riesce in questo compito
secondo l'artista non si riescono a formulare nuove ipotesi sulla propria
coscienza. E' un lavoro sulle illusioni e le disillusioni, dove il treno è
simbolo di lontananza e incontri. L'opera ridotta in scala rappresenta
l'illusione di cui può farsi carico un treno e la disillusione di un
giocattolo, che qui però ha le stesse regole della vita reale, in perpetua
marcia e in conduzione alternata.
Nel video Marco Bernardi e Claudio Martinez situato in fondo all'ultima
stanza, una bambina che non vediamo, ma di cui ci raggiunge distintamente
la voce, sta contando da 1 a 99, come fosse una cantilena. Il luogo dove è
stata ripresa potrebbe essere la parete della galleria e pertanto quando
giungiamo nelle vicinanze dell'opera, in fondo al labirinto di stanze, la
bambina sembra essere fisicamente là ¬ prima di noi.
Ogni volta che ci avviciniamo si gira, e dopo averci punta il dito contro,
grida: Tana!.
Lo spazio dell'installazione video è volutamente occultato come lo è lei,
fisicamente, a nascondino. Ognuno di noi diventa per forza di cose un
prigioniero che soltanto chi si salva potrà a sua volta salvare. La
posizione del video ci riporta alle prese con la paura di venir scoperti,
e con il senso di colpa latente che a volte coglie chiunque abbia fatto
qualcosa che altri non devono sapere.
Raffaella Guidobono/Kroitnjiz
A cura di Raffaella Guidobono
AKA
Via del Pellegrino 128 - Roma