Associazione Culturale Satura
Genova
piazza Stella, 5/1
010 2468284 FAX 010 6046652
WEB
Cinque mostre a Satura
dal 18/3/2005 al 6/4/2005
010 2468284 FAX 010 6046652

Segnalato da

Satura




 
calendario eventi  :: 




18/3/2005

Cinque mostre a Satura

Associazione Culturale Satura, Genova

Pietro Pignatti attinge al repertorio iconografico della Pop Art. Paesaggi desolati nella pittura ad olio di Paolo Aliverti. Igor Sadovy con visioni delle foreste e delle steppe russe. Mostri, Mantra e Mandala di Fabrizio Lupo. 'Erano circa le 11' di Elisabetta Oneto


comunicato stampa

Pietro Pignatti, Paolo Aliverti, Igor Sadovy, Fabrizio Lupo, Elisabetta Oneto

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, sono cinque le mostre che s’inaugurano a SATURA
(piazza Stella 5/1 Genova) sabato 19 marzo 2005.

La < sala maggiore > ospita la mostra personale di Pietro Pignatti, curata da Mario Pepe
La < sala prima > ospita la mostra personale di Paolo Aliverti, curata da Mario Pepe.
La < sala colonna > ospita la mostra personale Igor Sadovy, curata da Mario Napoli
La < sala il pozzo> ospita la mostra personale di Fabrizio Lupo, curata da Mario Napoli.
La < sala portico > ospita la mostra personale di Elisabetta Oneto, curata da Mario Napoli


Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Pietro Pignatti. A cura di Mario Pepe.

Pignatti attinge al gigantesco repertorio iconografico della Pop Art, generato da un complesso fenomeno di riduzione alla cultura urbana di massa, allo stereotipo, con l’ostentata manomissione dei segni e dei significati. Gli artisti Pop prelevano immagini dal paesaggio urbano e le manipolano usando i simboli e le tecniche dei mass media, dal fumetto alla fotografia, dai manifesti alle scritte al neon. Pietro Pignatti parte dalle fotografie banali dei viaggi con gli amici scattate sugli sfondi panoramici previsti dalla pubblicità e le trasforma in immagini fantastiche con un notevole gusto della manipolazione realizzato mediante una violenta riduttività coloristica. Sono evidenti le influenze dei clichè di comunicazione di massa che attraverso simboli visivi standardizzati parlano un linguaggio kitsch autocelebrativo. Basti pensare a quelle foto di Elvis Presley o dei Beetles inserite in paesaggi impossibili e sottoposte a coloriture accese che le rendono simili nel metodo iconografico e nel messaggio subliminare agli ex-voto che si trovano nei santuari. Ma il fare di Pignatti si distacca dal carattere antiespressivo ed oggettuale della Pop e dalla voluta superficialità del suo sensazionalismo, per attingere al repertorio del profondo. L’eccesso narrativo che caratterizza quasi tutti gli artisti Pop, in Pignatti diventa capacità controllata di far uscire il racconto dal linguaggio specifico della visione per aggiungergli un contenuto metafisico. La tecnica dello spiazzamento relazionale tra i personaggi e l’ambiente che li contiene, collega il suo iperrealismo col fascino misterioso del surreale. I suoi personaggi-amici tolti brutalmente dalla tranquillizzante realtà quotidiana si ritrovano dentro spazi invasi da accesi cromatismi che annullano i dati ottici organizzativi della prospettiva, o si muovono sull’orlo di abissi in prossimità di pianeti roteanti che rendono ancora più evidenti le metafore esistenziali. Nei worlds of interiors, il senso di estraneazione dovuto alla collocazione dei personaggi di una storia nel contesto di un’altra, viene equilibrato da un misurato senso della composizione ed un sapiente controllo della forma e del colore. Gli amici che provengono da foto diverse si ritrovano nelle sale di un palazzo nobiliare; il giovane in accappatoio si materializza in un’improbabile palazzina Liberty, dalla quale può anche ritornare alla spiaggia di origine; l’uomo che dà le spalle all’attrice dal volto fascinoso è stato catapultato in una villa californiana, di cui è lecito sospettare un’esistenza di mera immagine pubblicitaria. Nelle opere di Pignatti si coglie il senso dell’uomo contemporaneo che si ritrova in situazioni di assoluta alienazione, anche quando percorre gli spazi confortevoli delle località vacanziere, in atmosfere inquietanti per le condizioni di precarietà del passaggio umano, le cui uniche impronte sono quelle rilevabili dalla macchina fotografica.

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Paolo Aliverti. A cura di Mario Pepe.

Anche attraverso la pittura del paesaggio si trasmettono le testimonianze e le elaborazioni della cultura del proprio tempo. Nel secolo appena trascorso la distruzione della cultura del passato e dell’ambiente naturale in cui si manifestava è stata sistematicamente perseguita dallo sviluppo industriale. I paesaggisti ancora desiderosi di rappresentare habitat umani mediante connotazioni pittoriche tradizionali hanno avuto le loro difficoltà ad isolare contesti non ancora degradati. Se Van Gogh fosse vivo oggi cosa potrebbe dipingere “en plain air” se non orrendi capannoni industriali? A pittori come Paolo Aliverti non è rimasto quindi che guardare l’esistente con occhi rassegnati alla consapevolezza che il paesaggio odierno è fatto di queste enormi strutture fatiscenti che annientano l'uomo e non gli lasciano spazio. Come racconta l’artista: “Ho vissuto per un trentennio di fianco ad una ferrovia dismessa e ad una storica industria chimica per il trattamento della plastica. Giocavo sui binari andando alla scoperta di quei mondi favolosi ed incomprensibili. Mi perdevo in quei paesaggi desolati e senza un’ anima. C'erano porte sempre chiuse e che avrebbero portato chissà dove, c'erano scambi arrugginiti che era possibile manovrare, c'erano polveriere abbandonate, locomotori in rovina.” Nostalgia, malinconia e rabbia nel ricordo di un paesaggio artificiale ma al tempo stesso misterioso conducono il pittore alla decisione di testimonianza e di riscatto delle proprie memorie. Ed ecco che i paesaggi desolati di Aliverti si nobilitano dei colori e dei segni della pittura ad olio acquisendo in questo modo significati plurimi e contradditori. La consapevolezza del degrado viene decantata dal filtro benevolo della memoria; la scelta di stesure del colore che ricordano gli impressionisti su strutture normalmente ricoperte da vernici industriali diventa operazione ironica mentre il taglio delle immagini viene usato per fornire uno spiazzamento temporale all’iconografia del paesaggio. Così, il panorama di Tribiano è sviluppato in larghezza, alla maniera dei vedutisti settecenteschi che celebravano la grandezza del signore attraverso la magnificenza del paesaggio. La ciminiera di Melegnano, occupando da sola tutto lo spazio verticale, si collega immediatamente alla funzione delle torri medioevali garanti dell’identità urbana, facendosi invece interprete dell’effimero e simbolo dell’inevitabile degrado del paesaggio moderno. Non ci sono persone e quindi vita che possa attecchire nelle tele di Aliverti, solo i cieli sulla Snia contemplano lo scempio come contemplavano nel seicento la tranquillità della campagna italiana con la stessa indifferenza e consapevolezza che anche le tracce dell’archeologia industriale della società dello sviluppo verranno cancellate.

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Igor Sadovy. A cura di Mario Napoli.

Nato in Ucraina e cresciuto nel freddo Nord della grande Russia, Igor Sadovy ha sempre portato nell’alveo della sua arte, anche nelle immagini più contemporanee e tecnologiche, l’incantato stupore che la sua anima fanciulla provava davanti alle visioni delle vaste foreste e delle sconfinate steppe della madrepatria. Pittore nell’anima, anche se nelle diverse fasi della sua vita ha dovuto seguire altri itinerari tra cui una laurea in lingue romanze e un diploma in fisioterapia sono solo due delle principali tappe, ha finalmente rilevato la sua prodigiosa tecnica e grande creatività in un flusso di lavoro artistico ininterrotto che da anni è diventato il suo scopo di vita. L’influenza della madre, anatomopatologa con una sensibilità acuta per l’arte e il disegno in particolare, resta la base da cui Sadovy ha poi maturato una sua tecnica che lontana dalle influenze del mainstream artistico contemporaneo, si è poi a questo sorprendentemente saldato in un trionfo iconografico dagli accenti iperrealistici e tutto teso alla relazione tra arte, tecnologia e significanze sociali. Dalla passione per le tecniche del disegno e dell’acquerello dell’infanzia e prima adolescenza, passa in breve, a strumenti più complessi, sperimentando in solitudine una sua personale visione del mondo. Esce allo scoperto in patria, partecipando a molti concorsi per giovani pittori durante gli anni di studio universitario e quelli, duri ed avventurosi, del servizio militare. La pittura resta in quei momenti il solo occhio su una realtà che di giorno in giorno si fa più dura in una Unione Sovietica che va verso il disfacimento. Approda in Italia nel 1989, una nuova miniera di colori, forme e sensazioni va ad alimentare la sua creatività che ben presto si estrinseca in una rinnovata ricerca pittorica che lo porta a confrontarsi in varie mostre a Genova, Bologna, Torino e Milano. I suoi quadri raggiungono inoltre il mercato internazionale in mostre a Los Angeles e Monticarlo. La componente simbolista e mistica della cultura madre russa, riemerge nella nuova serie di opere sulle quali Sadovy sta conducendo una ulteriore fase di ricerca iconografica. Oggetti abbandonati, simboli di un mondo teso alla catastrofe, mezzi di distruzione che mai vorremmo vedere, vengono accostati con squisito gusto allegorico ai volti innocenti di gente comune in una sintesi di pensiero artistico di rara potenza espressiva. Nel 2003 Sadovy si è imposto all’attenzione della critica tra i finalisti del Premio Arte 2003.

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra < Mostri, Mantra e Mandala > di Fabrizio Lupo. A cura di Mario Napoli.

Ogni dipinto è un pensiero che cerca una forma per estendersi, un inno alla libertà di espressione. Tutti i segni che usiamo sono riscritture di simboli antichi che abitano dentro di noi e producono immagini, a volte mostruose, a volte celesti. Un leggerissimo filo lega tra loro le tavole policrome riconducendole alle tradizioni popolari. Un filo nascosto nel soggetto, nella tecnica o nei decori, ci conduce nella terra di Sicilia piena di segreti da disseppellire, segreti della natura trasfigurata dagli uomini che si vestono da demoni durante la Settimana Santa, segreti scolpiti nelle statue dei santi protettori portati a spalla da altri uomini, segreti contenuti nelle nicchie dove le statue degli antenati vegliano i vivi dall’interno delle loro edicole votive che si trovano ad ogni angolo della città vecchia, a Palermo come a Genova. Il mediterraneo è patria di Ulisse, viaggiatore del tempo e dello spazio e la civiltà delle macchine non potrà mai distruggere la natura che tutto genera nei cicli alterni dell’amore e dell’odio tra i popoli. Ma in un mondo dove bene e male si intrecciano inestricabili, la guerra dei popoli, al di là di tutte le atrocità, ci conduce inesorabilmente verso la fusione delle religioni, le culture colonizzate vengono nel tempo assimilate producendo canti di rara bellezza. Gli Arabi di Sicilia fecondano i Normanni invasori nella meraviglia delle loro cattedrali, madri del gotico di tutta l’Europa. I Neri d’America producono musica e graffiti tribali che fecondano l’intero globo. Cosa produrranno i Magrebini di Genova mentre profumano i caruggi con i loro biscotti al miele e riempono di “rabischi” le loro vetrine colorate? La pittura descrive questo ed altro ma senza didascalia e se questo stesso scritto è didascalia allora è descrizione del pensiero e non dell’immagine che sfidando qualsiasi titolo resta comunque forma pura, senza altra possibile definizione che non sia l’osservazione stessa.

L'attività principale di Fabrizio Lupo è la scenografia teatrale con un particolare interesse per le tradizioni popolari. Ha lavorato a bottega nel laboratorio di realizzazioni scenografiche del Teatro Massimo per dieci anni, apprendendo le tecniche pittoriche artigianali. Negli ultimi anni si è dedicato in particolar modo alla realizzazione di eventi spettacolari e feste popolari, curando scenografie e luminarie, carri devozionali e allegorici, regie di opere liriche e di eventi. Ha ideato con il compositore Francesco La Licata l’opera lirica “L’angelo e il Golem” una rappresentazione in linea con le sue ricerche antropologiche. Il Carro Trionfale da lui ideato per il Festino di Santa Rosalia degli anni 2000 e 2001 a Palermo, sfila da due anni nella Quinta Strada di New York per il Columbus Day.

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra < Erano circa le 11 > di Elisabetta Oneto. A cura di Mario Napoli.

Erano circa le 11 quando mi accorsi che aspettavo un bambino ed erano circa le 7 del mattino quando mi resi conto che di lì a poco sarei diventata madre …stavo per impazzire di gioia.. non tenni conto pero, che per uno strano meccanismo quasi zen, la felicità deve essere controbilanciata da una contaminazione negativa cosi che la mente rimanga integralmente equilibrata nella sua dimensione di realtà.

Alcuni di questi lavori, sono piccole rappresentazioni strettamente autobiografiche che rappresentano questo stato d’animo vissuto in prima persona. Presi in prestito dalla fase neonatale, sono stati dipinti e fissati degli oggetti simbolo, su di una base marmorea (che può avere una connotazione di freddezza e distacco) e contraddistinti da un piccolo e a volte quasi impercettibile, agli occhi meno attenti, elemento di disturbo, che, in pratica rovina la festa!!! L’icona del disturbo ha diverse valenze dal semplice piercing nel pupazzetto di gomma che prega, alla mosca nel latte del biberon…

Il tutto alleggerito comunque da un velo d’ironia !!!!!!! .

In altri casi invece, come in Poesia, ci sono narrazioni, raccolte, di momenti nostalgici che ripercorrono i cortili della memoria. I lavori di piccola dimensione, sono tasselli di una storia e versi di una poesia che vuole raccontare un infanzia normale o pressoché tale.

Questi lavori sono realizzati con tecnica varia fissati sotto resina bicomponente per sottolineare la necessità di prolungarne la durata.

SATURA
Pietro Pignatti, Paolo Aliverti, Igor Sadovy, Fabrizio Lupo, Elisabetta Oneto

Inaugurazione: sabato 19 marzo ore 17.00

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, sono cinque le mostre che s’inaugurano a SATURA

(piazza Stella 5/1 Genova) sabato 19 marzo 2005.

La < sala maggiore > ospita la mostra personale di Pietro Pignatti, curata da Mario Pepe
La < sala prima > ospita la mostra personale di Paolo Aliverti, curata da Mario Pepe.
La < sala colonna > ospita la mostra personale Igor Sadovy, curata da Mario Napoli
La < sala il pozzo> ospita la mostra personale di Fabrizio Lupo, curata da Mario Napoli.
La < sala portico > ospita la mostra personale di Elisabetta Oneto, curata da Mario Napoli


Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Pietro Pignatti. A cura di Mario Pepe.

Pignatti attinge al gigantesco repertorio iconografico della Pop Art, generato da un complesso fenomeno di riduzione alla cultura urbana di massa, allo stereotipo, con l’ostentata manomissione dei segni e dei significati. Gli artisti Pop prelevano immagini dal paesaggio urbano e le manipolano usando i simboli e le tecniche dei mass media, dal fumetto alla fotografia, dai manifesti alle scritte al neon. Pietro Pignatti parte dalle fotografie banali dei viaggi con gli amici scattate sugli sfondi panoramici previsti dalla pubblicità e le trasforma in immagini fantastiche con un notevole gusto della manipolazione realizzato mediante una violenta riduttività coloristica. Sono evidenti le influenze dei clichè di comunicazione di massa che attraverso simboli visivi standardizzati parlano un linguaggio kitsch autocelebrativo. Basti pensare a quelle foto di Elvis Presley o dei Beetles inserite in paesaggi impossibili e sottoposte a coloriture accese che le rendono simili nel metodo iconografico e nel messaggio subliminare agli ex-voto che si trovano nei santuari. Ma il fare di Pignatti si distacca dal carattere antiespressivo ed oggettuale della Pop e dalla voluta superficialità del suo sensazionalismo, per attingere al repertorio del profondo. L’eccesso narrativo che caratterizza quasi tutti gli artisti Pop, in Pignatti diventa capacità controllata di far uscire il racconto dal linguaggio specifico della visione per aggiungergli un contenuto metafisico. La tecnica dello spiazzamento relazionale tra i personaggi e l’ambiente che li contiene, collega il suo iperrealismo col fascino misterioso del surreale. I suoi personaggi-amici tolti brutalmente dalla tranquillizzante realtà quotidiana si ritrovano dentro spazi invasi da accesi cromatismi che annullano i dati ottici organizzativi della prospettiva, o si muovono sull’orlo di abissi in prossimità di pianeti roteanti che rendono ancora più evidenti le metafore esistenziali. Nei worlds of interiors, il senso di estraneazione dovuto alla collocazione dei personaggi di una storia nel contesto di un’altra, viene equilibrato da un misurato senso della composizione ed un sapiente controllo della forma e del colore. Gli amici che provengono da foto diverse si ritrovano nelle sale di un palazzo nobiliare; il giovane in accappatoio si materializza in un’improbabile palazzina Liberty, dalla quale può anche ritornare alla spiaggia di origine; l’uomo che dà le spalle all’attrice dal volto fascinoso è stato catapultato in una villa californiana, di cui è lecito sospettare un’esistenza di mera immagine pubblicitaria. Nelle opere di Pignatti si coglie il senso dell’uomo contemporaneo che si ritrova in situazioni di assoluta alienazione, anche quando percorre gli spazi confortevoli delle località vacanziere, in atmosfere inquietanti per le condizioni di precarietà del passaggio umano, le cui uniche impronte sono quelle rilevabili dalla macchina fotografica.

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Paolo Aliverti. A cura di Mario Pepe.

Anche attraverso la pittura del paesaggio si trasmettono le testimonianze e le elaborazioni della cultura del proprio tempo. Nel secolo appena trascorso la distruzione della cultura del passato e dell’ambiente naturale in cui si manifestava è stata sistematicamente perseguita dallo sviluppo industriale. I paesaggisti ancora desiderosi di rappresentare habitat umani mediante connotazioni pittoriche tradizionali hanno avuto le loro difficoltà ad isolare contesti non ancora degradati. Se Van Gogh fosse vivo oggi cosa potrebbe dipingere “en plain air” se non orrendi capannoni industriali? A pittori come Paolo Aliverti non è rimasto quindi che guardare l’esistente con occhi rassegnati alla consapevolezza che il paesaggio odierno è fatto di queste enormi strutture fatiscenti che annientano l'uomo e non gli lasciano spazio. Come racconta l’artista: “Ho vissuto per un trentennio di fianco ad una ferrovia dismessa e ad una storica industria chimica per il trattamento della plastica. Giocavo sui binari andando alla scoperta di quei mondi favolosi ed incomprensibili. Mi perdevo in quei paesaggi desolati e senza un’ anima. C'erano porte sempre chiuse e che avrebbero portato chissà dove, c'erano scambi arrugginiti che era possibile manovrare, c'erano polveriere abbandonate, locomotori in rovina.” Nostalgia, malinconia e rabbia nel ricordo di un paesaggio artificiale ma al tempo stesso misterioso conducono il pittore alla decisione di testimonianza e di riscatto delle proprie memorie. Ed ecco che i paesaggi desolati di Aliverti si nobilitano dei colori e dei segni della pittura ad olio acquisendo in questo modo significati plurimi e contradditori. La consapevolezza del degrado viene decantata dal filtro benevolo della memoria; la scelta di stesure del colore che ricordano gli impressionisti su strutture normalmente ricoperte da vernici industriali diventa operazione ironica mentre il taglio delle immagini viene usato per fornire uno spiazzamento temporale all’iconografia del paesaggio. Così, il panorama di Tribiano è sviluppato in larghezza, alla maniera dei vedutisti settecenteschi che celebravano la grandezza del signore attraverso la magnificenza del paesaggio. La ciminiera di Melegnano, occupando da sola tutto lo spazio verticale, si collega immediatamente alla funzione delle torri medioevali garanti dell’identità urbana, facendosi invece interprete dell’effimero e simbolo dell’inevitabile degrado del paesaggio moderno. Non ci sono persone e quindi vita che possa attecchire nelle tele di Aliverti, solo i cieli sulla Snia contemplano lo scempio come contemplavano nel seicento la tranquillità della campagna italiana con la stessa indifferenza e consapevolezza che anche le tracce dell’archeologia industriale della società dello sviluppo verranno cancellate.

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Igor Sadovy. A cura di Mario Napoli.

Nato in Ucraina e cresciuto nel freddo Nord della grande Russia, Igor Sadovy ha sempre portato nell’alveo della sua arte, anche nelle immagini più contemporanee e tecnologiche, l’incantato stupore che la sua anima fanciulla provava davanti alle visioni delle vaste foreste e delle sconfinate steppe della madrepatria. Pittore nell’anima, anche se nelle diverse fasi della sua vita ha dovuto seguire altri itinerari tra cui una laurea in lingue romanze e un diploma in fisioterapia sono solo due delle principali tappe, ha finalmente rilevato la sua prodigiosa tecnica e grande creatività in un flusso di lavoro artistico ininterrotto che da anni è diventato il suo scopo di vita. L’influenza della madre, anatomopatologa con una sensibilità acuta per l’arte e il disegno in particolare, resta la base da cui Sadovy ha poi maturato una sua tecnica che lontana dalle influenze del mainstream artistico contemporaneo, si è poi a questo sorprendentemente saldato in un trionfo iconografico dagli accenti iperrealistici e tutto teso alla relazione tra arte, tecnologia e significanze sociali. Dalla passione per le tecniche del disegno e dell’acquerello dell’infanzia e prima adolescenza, passa in breve, a strumenti più complessi, sperimentando in solitudine una sua personale visione del mondo. Esce allo scoperto in patria, partecipando a molti concorsi per giovani pittori durante gli anni di studio universitario e quelli, duri ed avventurosi, del servizio militare. La pittura resta in quei momenti il solo occhio su una realtà che di giorno in giorno si fa più dura in una Unione Sovietica che va verso il disfacimento. Approda in Italia nel 1989, una nuova miniera di colori, forme e sensazioni va ad alimentare la sua creatività che ben presto si estrinseca in una rinnovata ricerca pittorica che lo porta a confrontarsi in varie mostre a Genova, Bologna, Torino e Milano. I suoi quadri raggiungono inoltre il mercato internazionale in mostre a Los Angeles e Monticarlo. La componente simbolista e mistica della cultura madre russa, riemerge nella nuova serie di opere sulle quali Sadovy sta conducendo una ulteriore fase di ricerca iconografica. Oggetti abbandonati, simboli di un mondo teso alla catastrofe, mezzi di distruzione che mai vorremmo vedere, vengono accostati con squisito gusto allegorico ai volti innocenti di gente comune in una sintesi di pensiero artistico di rara potenza espressiva. Nel 2003 Sadovy si è imposto all’attenzione della critica tra i finalisti del Premio Arte 2003.

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra < Mostri, Mantra e Mandala > di Fabrizio Lupo. A cura di Mario Napoli.

Ogni dipinto è un pensiero che cerca una forma per estendersi, un inno alla libertà di espressione. Tutti i segni che usiamo sono riscritture di simboli antichi che abitano dentro di noi e producono immagini, a volte mostruose, a volte celesti. Un leggerissimo filo lega tra loro le tavole policrome riconducendole alle tradizioni popolari. Un filo nascosto nel soggetto, nella tecnica o nei decori, ci conduce nella terra di Sicilia piena di segreti da disseppellire, segreti della natura trasfigurata dagli uomini che si vestono da demoni durante la Settimana Santa, segreti scolpiti nelle statue dei santi protettori portati a spalla da altri uomini, segreti contenuti nelle nicchie dove le statue degli antenati vegliano i vivi dall’interno delle loro edicole votive che si trovano ad ogni angolo della città vecchia, a Palermo come a Genova. Il mediterraneo è patria di Ulisse, viaggiatore del tempo e dello spazio e la civiltà delle macchine non potrà mai distruggere la natura che tutto genera nei cicli alterni dell’amore e dell’odio tra i popoli. Ma in un mondo dove bene e male si intrecciano inestricabili, la guerra dei popoli, al di là di tutte le atrocità, ci conduce inesorabilmente verso la fusione delle religioni, le culture colonizzate vengono nel tempo assimilate producendo canti di rara bellezza. Gli Arabi di Sicilia fecondano i Normanni invasori nella meraviglia delle loro cattedrali, madri del gotico di tutta l’Europa. I Neri d’America producono musica e graffiti tribali che fecondano l’intero globo. Cosa produrranno i Magrebini di Genova mentre profumano i caruggi con i loro biscotti al miele e riempono di “rabischi” le loro vetrine colorate? La pittura descrive questo ed altro ma senza didascalia e se questo stesso scritto è didascalia allora è descrizione del pensiero e non dell’immagine che sfidando qualsiasi titolo resta comunque forma pura, senza altra possibile definizione che non sia l’osservazione stessa.

L'attività principale di Fabrizio Lupo è la scenografia teatrale con un particolare interesse per le tradizioni popolari. Ha lavorato a bottega nel laboratorio di realizzazioni scenografiche del Teatro Massimo per dieci anni, apprendendo le tecniche pittoriche artigianali. Negli ultimi anni si è dedicato in particolar modo alla realizzazione di eventi spettacolari e feste popolari, curando scenografie e luminarie, carri devozionali e allegorici, regie di opere liriche e di eventi. Ha ideato con il compositore Francesco La Licata l’opera lirica “L’angelo e il Golem” una rappresentazione in linea con le sue ricerche antropologiche. Il Carro Trionfale da lui ideato per il Festino di Santa Rosalia degli anni 2000 e 2001 a Palermo, sfila da due anni nella Quinta Strada di New York per il Columbus Day.

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 19 marzo 2005 alle ore 17.00, la mostra < Erano circa le 11 > di Elisabetta Oneto. A cura di Mario Napoli.

Erano circa le 11 quando mi accorsi che aspettavo un bambino ed erano circa le 7 del mattino quando mi resi conto che di lì a poco sarei diventata madre …stavo per impazzire di gioia.. non tenni conto pero, che per uno strano meccanismo quasi zen, la felicità deve essere controbilanciata da una contaminazione negativa cosi che la mente rimanga integralmente equilibrata nella sua dimensione di realtà.

Alcuni di questi lavori, sono piccole rappresentazioni strettamente autobiografiche che rappresentano questo stato d’animo vissuto in prima persona. Presi in prestito dalla fase neonatale, sono stati dipinti e fissati degli oggetti simbolo, su di una base marmorea (che può avere una connotazione di freddezza e distacco) e contraddistinti da un piccolo e a volte quasi impercettibile, agli occhi meno attenti, elemento di disturbo, che, in pratica rovina la festa!!! L’icona del disturbo ha diverse valenze dal semplice piercing nel pupazzetto di gomma che prega, alla mosca nel latte del biberon…

Il tutto alleggerito comunque da un velo d’ironia !!!!!!! .

In altri casi invece, come in Poesia, ci sono narrazioni, raccolte, di momenti nostalgici che ripercorrono i cortili della memoria. I lavori di piccola dimensione, sono tasselli di una storia e versi di una poesia che vuole raccontare un infanzia normale o pressoché tale.

Questi lavori sono realizzati con tecnica varia fissati sotto resina bicomponente per sottolineare la necessità di prolungarne la durata.

SATURA
Piazza Stella 5/1 - Genova

IN ARCHIVIO [144]
Black Light Paintings
dal 27/11/2015 al 8/12/2015

Attiva la tua LINEA DIRETTA con questa sede