La vita sulla terra, prima mostra del Progetto Distacco. Solidi volumi e plastiche geometrie, con sporadici riferimenti al quotidiano, costruiscono paesaggi carichi di materia pittorica pronta ad esplodere. La pittura sembra essere un diaframma che tiene prigioniero l'artista tra presente e passato, tra conscio e inconscio.
La vita sulla terra
ASSOCIAZIONE CULTURALE MIA (MEET IN ART)
Con il Patrocinio di COMUNE DI ROMA - Assessorato alle Politiche Culturali
1^MOSTRA DEL PROGETTO PRIMO DISTACCO
quattro mostre più uno spazio
Curatore: Daniela Ciotola
Direzione artistica: Cristiano e Patrizio Alviti
IL PROGETTO
Gli artisti Cristiano e Patrizio Alviti danno vita ad una serie di eventi
espositivi che siano isole di suggestioni e di riflessioni, e che possano
essere per un ognuno esperienza formativa, stimolo ad affinare la
consapevolezza del proprio sentire e agire secondo coscienza. Cercare di
proporre attraverso l'arte un modello di vita alternativo, rispetto a quello
standardizzato dalla comunicazione di massa, anche quando si tratta di
mostre, segnalate come sensazionali, magari difficili da fruire, ma alle
quali si deve presidiare solo per essere alla moda o peggio acculturati.
'Primo Distacco' sarà aperto da quattro interessanti artisti, diversi per
età e formazione, Giorgio Manacorda, Igina Colabucci Balla, Giuseppe La
Leggia e Claudio Franchi, un solo spazio d' ascolto, un solo tema a più
voci. Per tutti al centro del loro racconto c'è la figura umana, plasmata
con ilcolore o con il metallo, comunque solida, vibrante, deforme,
essenziale. Quattro individui, quattro storie, nessuna storia, centomila storie.
LA 1^MOSTRA
La sua pittura ha una dimensione temporale, non è un tempo storico ma una
sospensione, un attimo infinito che ha una sua profondità . Si potrebbe
definire una sorta di memoria del genere umano?
Il nostro tempo interiore non è storico: è antropologico. Nel nostro modo di
pensare non esiste diacronia. Le immagini si accostano fuori dalla storia.
Per questo i quadri si fanno facendoli. Se ci fosse il progetto e poi
l'esecuzione non sarebbe più arte. Per me la pittura è l'adesione
dell'essere all'esserci (direbbe Heidegger). In altri termini: è la
possibilità , ch e è sempre data come possibilità , di aderire 'perfettamente'
a ciò che siamo come specie: non solo animali pensanti, ma animali capaci di
creare, quindi sempre in contatto con la nostra storia ancestrale.
La vita sulla terra
Solidi volumi e plastiche geometrie, con sporadici riferimenti al quotidiano, costruiscono paesaggi carichi di materia pittorica pronta ad esplodere. Uno spazio corposo, compresso, profondo e immobile, quasi opprimente, tanto che si prova il desiderio di mettere le mani sul quadro, staccarne un pezzo, scavare il fango, i sassi, le foglie e farne uscire l’energia primordiale, istintiva che racchiude. La pittura sembra essere un diaframma che tiene prigioniero l’artista tra presente e passato, tra conscio e inconscio, dove il conscio si esprime attraverso il fare arte e l’inconscio nel non sapere cosa questa voglia significare, ma che risponde semplicemente all’esigenza di farla. L’opera allora ha valore in quanto esperienza sensoriale, effetto visivo immediato per chi la realizza e per chi la fruisce e non più veicolo di un messaggio pensato.
Laddove il caso suggerisce un ambiente, un laconico sfondo, il segno maturo e inconfondibile dell’autore, traccia le coordinate di un sentimento fosco, dirompente, pessimista, appassionato, tetro e necessario.
Quando il paesaggio poi si consuma e si sintetizza in colature di vernice e graffi sulla “pelle del ponte†che sanguina colore rosso vivo, si materializzano, inattesi, gli ignoti personaggi di Manacorda: grigi passanti, solenni comparse dell’ermetico pentagramma dell’artista, una drammaturgia ieratica, visionaria, estenuata ed estenuante. Presenze assolute che si autodefiniscono in un loro spazio, completamente avulse da quello in cui sono poste con un’assurdità quasi kafkiana, poiché non si sa da dove arrivino né dove stiano andando; ondeggiano nell’ambiguità di essere cariche di significato e l’ esserne totalmente prive. Rimandano a chi guarda l’inadeguatezza e la difficoltà di collocarle.
Su tavole, tele e cartoni di scarto assemblati, ordinate dalla mano paziente di Giorgio Manacorda, le costanti del suo essenziale alfabeto: case ed edifici, nature morte e cupi paesaggi desertici, sagome nascoste da un cappello. Sullo trama di un vissuto personale, di cui l’artista non concede spiegazione, all’interno di una logica consequenziale e d’insieme, prendono vita le icastiche e suggestive argillose opere di un autore poliedrico: poeta, saggista e drammaturgo.
Manacorda esprime tutta l’inquietudine e l’incomunicabilità del nostro tempo, avvicinandosi nel linguaggio pittorico, all’arte Informale del ‘900, e in particolare all’Art Brut di Dubuffet, che negli anni ’50 concentrò i suoi interessi sui linguaggi della creatività spontanea, utilizzando ogni tipo di tecnica (pittura laccata, a olio, collage) e materiali (tra cui oggetti ritrovati, ghiaia, giornali, elementi vegetali) alla ricerca di una manualità istintiva e di una bellezza primitiva, non contaminata da canoni classici.
Allo stesso modo Manacorda cerca nella potenza della creazione pittorica una esperienza esistenziale che “si faccia facendosiâ€, come lui stesso dice dei suoi quadri, che superi l’intellettualismo, che ha caratterizzato la sua formazione letteraria, e che sia “la possibilità di adesione dell’essere all’esserci, aderire perfettamente a ciò che siamo come specie: non solo animali pensanti, ma animali capaci di creare, quindi sempre in contatto con la propria storia ancestraleâ€.
Immagine: “ hohe promenade â€# 8, cm 130 x 110, acrilico e smalto con sabbia
INAUGURAZIONE GIOVEDI' 14 APRILE 2005, ORE 18
MIC STUDIO - Via de' Delfini 35 - ROMA
Orario: 10 Â 19 domenica chiuso