Fra i molti artisti della sua generazione che verso il 1920, dopo l'avventura della prima avanguardia, optano per un 'ritorno all'ordine', Morandi e' il solo a cercare un Ordine con la maiuscola. Ragione del suo procedere e' infatti la verifica di un assoluto nel naturale. Morandi amava, prima di dipingere, schierare gli oggetti, misurarli con l'occhio, raggrupparli nel modo piu' idoneo, piu' ricco di compensi e di rapporti, o di vuoti e sospensioni. In mostra 40 opere tra dipinti, disegni, acquarelli e opere grafiche
Morandi amava, prima di dipingere, schierare i propri oggetti
nell'invisibile scacchiera dello spazio, misurarli con l'occhio, raggrupparli
nel modo più idoneo, più ricco di compensi e di rapporti, o di vuoti e
sospensioni. Anche per questo prediligeva le bottiglie, che spostava e componeva
sul piccolo palco posto di fronte al cavalletto. Quando dipingeva un paesaggio,
sceglieva un taglio rarefatto e concentrato; relativo, è vero, a una momentanea
condizione di luce e di ora, in cui non è però da cogliere la fluiditÃ
indifferente del tempo, bensì la presa, intensa, della durata.
Fra i molti artisti della sua generazione che verso il 1920, dopo
l'avventura della prima avanguardia, optano per un "ritorno all'ordine", Giorgio
Morandi è il solo a cercare un Ordine con la maiuscola. Ragione del suo
procedere è infatti la verifica di un assoluto nel naturale. Nel vagliare i
rapporti di luce, di volume, di distanza, il suo sguardo sembra figgere al
proprio asse gli oggetti, guidando un segno esile e perentorio, tremante e
fermissimo. Qualunque sia la disposizione data agli elementi naturali dello
spazio luminoso, questo quadra sempre ad un modo; è una tensione vibrante ma
perfettamente omogenea che Morandi ottiene, verificando che ogni punto "tenga"
senza il pur minimo cedimento o sfasamento nella vibrazione.
Alla fine del secondo decennio del secolo la sua pittura attraversò
un breve e originalissimo periodo "metafisico". In quegli anni il suo stile fu
cristallino e lineare, lasciando ogni tremore, ogni palpito, ogni lievito della
materia. Pose in bilico le sue sagome geometriche entro spazi vitrei, senza
ripetere lo stupore dechirichiano, ma suggerendo il mistero nella trasparenza e
nella sospensione di spazi svuotati d'aria, dove un alito di vento non potrebbe
insinuarsi senza portare scompiglio nei peregrini equilibri. Erano teche della
mente, in cui non allignava il fenomenico, ovvero il naturale.
Ben presto però l'osservazione del naturale riconquistò la sua
attenzione, nel recupero di un impasto pittorico segretamente animato, che si
ispirava anche agli antichi maestri, in un arco che Morandi estese da Piero
della Francesca (idolo di quegli anni) a Rembrandt e a Chardin. Ora la
profondità dell'indagine luminosa non esclude la relatività della percezione,
della "impressione". Nell' "impressione" però, ovvero nell'apparenza offerta
dalla luce, Morandi non cercava l'effimero ma piuttosto, meditativo e
segretamente religioso quale era, l'impronta di un'intima rivelazione. Ed ecco
la precisione estrema, perspicua, dei punti più nitidamente percepiti, delle
relazioni spaziali fra gli oggetti individuati nelle loro posizioni, e
l'imprecisione, o l'ineffabilità , ai limiti talvolta del fantomatico, delle zone
che la percezione trascura nei suoi sintetici aggiustamenti. Questi telai
millimetrati della visione luminosa, divengono così espressione della chiarezza
e insieme del mistero, del razionale e del magico, termini non contraddittori ma
complementari in quanto attributi del trascendente.
Maurizio Calvesi
Immagine: Giorgio Morandi, Paesaggio, 1942, olio su tela, cm 27.5x52
Vernissage: 15 aprile 2005. ore 19,30
Palazzo Wedekind
Piazza Colonna, 366 Roma
Orari: da Martedi a Giovedi: ore 10-19
Venerdi e Sabato: ore 10-22
Domenica: ore 10-19
Lunedi chiuso