La scoperta dell'America. A cura di Luigi Fassi. La capacita' ipertestuale dell'artista pare destinata ad un'espansione semantica senza limiti, tanto piu' dispiegata quanto piu' manipola in piena liberta' l'immaginario fumettistico americano, scoprendolo nella sua fertilita' concettuale e contaminandolo con la ricchezza della mitologia greca-classica.
La scoperta dell'America
a cura di Luigi Fassi
In una celebre opera di Roy Lichtenstein datata 1964, Apollo Temple, la genialitÃ
dell'artista newyorchese restituiva nuova vita ai resti di un tempio greco,
ridisegnandone l'immagine con i colori felicemente brillanti e invasivi della Pop
Art americana. L'immagine ha l'aspetto di una scoperta entusiastica, come un bambino
che venga a conoscenza di un mondo meraviglioso e provi a renderlo suo, aggredendolo
di colori e fantasie personali. Lichtenstein aveva già realizzato molteplici opere
sulla cultura classica, come le Entablatures degli anni Settanta, in cui citava,
reinterpretandoli liberamente, i fregi e i cornicioni del neoclassicismo americano
anni Trenta, in una spericolata traduzione culturale a doppio livello, dalla grecitÃ
antica-all'America-alla Pop Art. L'aspetto più sorprendente di queste operazioni di
Lichtenstein sta nella loro natura ipertestuale, nella capacità di connettere tra
loro elementi assai diversi, mediante un immaginario ludicamente inarrestabile, ma
sorprendente per rigore logico e forza intuitiva.
Non è dissimile la strategia di Alessandro Dal Pont, nel cui lavoro in mostra la
capacità ipertestuale pare destinata ad un'espansione semantica senza limiti, tanto
più dispiegata quanto più l'artista manipola in piena libertà l'immaginario
fumettistico americano, scoprendolo nella sua fertilità concettuale e contaminandolo
con la ricchezza della mitologia greca-classica. Il cortocircuito visivo cui Dal
Pont consegna la popular culture americana e la mitologia greca, è una leva
d'Archimede mediante la quale l'artista inscena una deriva semiotica complessa, dove
ogni elemento diventa figura di qualcos'altro. La mostra si caratterizza così come
una partita doppia, un'ipotesi concettuale in cui Dal Pont opera come un doctor
subtilis, pronto a rispondere con acribia concettuale all'operazione di scoperta del
classicismo da parte dell'artista newyorchese, operando un'inversione radicale che
riscopre il pop americano immergendolo nella tradizione mitologica occidentale. Non
è un'operazione indolore. Dal Pont stravolge infatti la superficie patinata della
Pop Art e del fumetto americano, la loro tronfia piattezza paradisiaca, mediante un
recupero della storia e della complessità culturale. È come se l'artista aprisse un
orizzonte oscuro e travagliato, costringendo la popular culture a farsi corpo
storico, subendo la mediazione della vita e della sua ineluttabile finitezza. La
mitologia greca è così figura ancestrale del Vecchio Continente, della sua
tradizione e della sua consapevolezza filosofica e culturale. La cromia
bidimensionale del fumetto si fa articolata tridimensionalità scultorea, la grafia
puntinata di Lichtenstein diventa viva materia organica e l'uniformità della
tessitura pop lascia il posto a una struttura metamorfica misteriosa. La mostra
diventa un viaggio di andata e ritorno America-Europa, in una specularità geografica
e culturale che appare raffinato esercizio di stile, ma è soprattutto operazione
umanistica, pronta ad offrire un nuovo paradigma di confronto con le forme
culturali.
L'animazione Due Dee rivela le inconfondibili sagome fumettistiche di Paperina e
Nonna Papera intente a specchiarsi reciprocamente, in una sorprendente
manifestazione di identità metamorfica. Così come Lichtenstein si serviva dello
specchio e dell'idea di riflesso per innescare la duplicazione concettuale di
immagini che informa tutto il suo lavoro, nell'intuizione ipertestuale di Dal Pont,
l'identità di Nonna Papera-Paperina rinvia, per specularità , alle figure mitologiche
di Demetra e Persefone. Nella tradizione ellenica, Core-Persefone è in perfetta
continuità con la madre, è Core-figlia pronta a diventare Core-moglie, futura sposa
di Ade e con questi signora degli Inferi nell'Erebo. La corrispondenza armonica tra
Madre e Figlia, le due dee, come venivano chiamate nel mito e nel culto, è destinata
a infrangersi e disperdersi nella tensione che si apre fra i due contendenti,
Demetra e Ade, per il possesso di Persefone. Popcorn è una cernita di sessantamila
chicchi di mais, prodotto originario del Nuovo Mondo, sconosciuto in Europa sino
all'impresa di Colombo. Nella sua dorata grandiosità , l'opera è ideale
rappresentazione di Demetra, dea delle messi e della fertilità , fonte sorgiva di
vita e benessere per gli uomini e le campagne. Quasi un prezioso periplo divino,
Popcorn è attraversato da un'aura metafisica, che lo rende perfetta presenza
misterica, immagine simbolica dei riti eleusini dedicati a Demetra. Ma il titolo
dell'opera, nella sua prima metà , segnala anche l'uso metaforico che ne fa
l'artista, individuandolo come passaggio semantico dall'America all'Europa, dalla
Popular culture alla mitologia classica. REM si contrappone a Popcorn già nella
posizione abbassata, cupa e funerea. Come un corpo rigido immerso nel sonno, le sue
pupille si muovono febbrilmente, inseguendo immagini misteriose, sino a un lento
soffocamento per asfissia, rappresentato dal decesso delle mosche all'interno degli
occhi-bicchieri. È come se l'opera stessa avesse uno sguardo, una visione oscura e
claustrofobica, costruita però mediante le forme di un'estetica giocosa, suggerita
per rapidi cenni antropomorfizzati alla nostra fantasia immaginativa. È un signore
degli Inferi vagamente pop, quello che l'artista ci presenta, invisibile come vuole
la tradizione mitologica, ma simile ad un elemento grafico disperso di uno
storyboard fumettistico o di un cartone animato. La commistione più emblematica tra
sintassi pop e semantica simbolica, raggiunge il suo vertice ne Gli Sposi, il lavoro
più complesso ed enigmatico di Dal Pont. L'opera appare come una rappresentazione
sintetica di un festoso sposalizio, di una raggiunta condivisione, celebrata e
simboleggiata da un uso concettuale del fumetto, in un contrappunto di iconografie
maschili e femminili, tra grazia e levità , comunione e ingenuità . Ma l'armonia
dell'insieme si rivela solo fittizia, ammorbata da dettagli inquietanti e
sepolcrali, destinati a svelarsi poco a poco precipitando l'opera in un abisso
inestricabile. I contenitori, infatti, rammemorano due sarcofaghi, due ritratti
mortuari, in cui la parte rossa maschile è tesa sul filo sottile di un bilico
periglioso, abbandonata alla propria deriva e ormai prossima a cadere. Gli
occhi-bicchieri sui lati alludono allo sguardo delle due entità , e permettono di
rilevare, nel corpo interno delle scatole, un misterioso foro circolare, punto di
contatto imperfetto ed estremo tra i due amanti, così come in contatto sono i due
lacrimatoi superiori, dove ancora il rosso maschile pare sospinto verso la caduta
dalla sua controparte femminile. Come in una sorta di esplosione scultorea, ogni
dettaglio interiore si palesa all'esterno, ogni elemento è tassello in un
cartografia di corrispondenze continue, e l'opera disegna una simmetria perfetta di
amore-morte, un ritratto di un'unione fosca e dolente, come quella di Ade e
Persefone nell'oscuro regno dei morti. La discesa all'Erebo della fanciulla divina
segna la perdita definitiva dell'infanzia di Core-Persefone, l'inizio traumatico
dell'età adulta e la rottura dell'unità ideale con Demetra. Così Gli Sposi ha
l'aspetto dimesso e malinconico di una festa adolescenziale appena conclusasi, con i
bicchieri di carta abbandonati ancora colmi, i regali riposti in un angolo e le
smorfie di Paperino che sembrano malinconicamente provare a trattenere l'eco degli
schiamazzi e delle grida di poco prima. Oppure i due ritratti paiono due fiori
sovrapposti con gli steli spezzati, due corolle in versione cubista, adagiate e
sopite per sempre, negli ultimi attimi di esalazione della loro essenza aromatica.
La matassa concettuale dipanata da Dal Pont si fa così labirinto di ascolto tra
storie e culture diverse, segnando le forme di una strategia artistica tesa sul filo
di ricordi, citazioni e dettagli onirici. Già l'Apollo Temple di Lichtenstein sembra
metafora di un sogno, sospeso com'è tra realtà e immaginazione, in un viaggio
fantastico e prodigioso alla scoperta della grecità e della tradizione classica.
Nella volontà di Dal Pont di dare continuità alle tradizioni e smussare i contrasti
tra le culture, agisce una forte dimensione ermeneutica, l'intuizione cioè che la
verità non si dà per selezione, ma per arricchimento. Estetica pop e mitologia,
popular culture e grecità non sono dunque alternative in contraddizione, bensì
paradigmi culturali accostabili e manipolabili, quasi dei readymade, dei vettori
semiotici esemplari di un'operazione artistica tesa alla moltiplicazione dei
significati. Come se nel tempio di Lichtenstein ci fosse un uomo dormiente, intento
a sognare la mostra e immaginare tutto un mondo di infiniti rimandi e armonie, tra
passato e presente, realtà e fantasia, riflesso e identità .
Luigi Fassi
Alessandro Dal Pont è nato a Feltre (BL) nel 1972, vive e lavora a Belluno.
Per ulteriori informazioni contattare la galleria
Inaugurazione: lunedì 30 maggio alle ore 19.00
Galleria Alberto Peola
via della Rocca 29
Torino
Orario: da lunedì a sabato dalle 15.30 alle 19.30, mattino su appuntamento